Tra nuovi e vecchi leader, il 2025 s’annuncia l’anno del cambiamento

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Negli ultimi anni, il panorama politico globale ha subito trasformazioni significative, segnate dall’ascesa di nuovi leader che incarnano visioni, approcci e priorità diverse. Questo fenomeno riflette una crescente domanda di cambiamento da parte delle popolazioni, ma pone anche interrogativi su quale direzione stia prendendo il mondo sotto queste nuove guide. Un aspetto distintivo dell’attuale contesto globale è la frammentazione della leadership.

 

 

Nel corso del 2024, il panorama geopolitico globale ha visto un avvicendamento significativo tra i leader che hanno lasciato la scena internazionale e quelli che stanno emergendo come nuove figure di spicco. Tra nomi celebri e nuovi protagonisti, il cambiamento segna una fase cruciale nelle dinamiche di potere globale.

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Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca

Ma sicuramente uno degli eventi più importanti del 2024, destinato a incidere sugli equilibri internazionali, è stata la vittoria elettorale di Donald Trump, che da gennaio prossimo tornerà alla Casa Bianca dopo aver sconfitto  la vicepresidente uscente Kamala Harris. La sua campagna si è concentrata su temi come il rilancio economico,  politiche  migratorie più rigide e un approccio isolazionista in politica estera. Trump ha promesso di mettere “l’America al primo posto” anche sul fronte energetico, riducendo la dipendenza dagli alleati stranieri e rinegoziando accordi commerciali. Non solo. Con Trump nuovamente alla guida degli Stati Uniti, è probabile che si assista a una recrudescenza delle tensioni con l’Europa, ad esempio sul fronte Nato. Durante il suo primo mandato, aveva più volte criticato i paesi europei per i loro inadeguati contributi all’Alleanza, minacciando persino di ritirare gli Stati Uniti dal Patto. Il suo ritorno alla Casa Bianca riaprirà questa ferita, costringendo gli alleati a  riconsiderare il loro approccio alla difesa comune e ad aumentare significativamente i propri investimenti militari. Sul fronte economico, Trump non ha mai nascosto la propria inclinazione per le politiche protezionistiche e l’imposizione di dazi su prodotti come acciaio, alluminio e auto cosa che potrebbe mettere a rischio settori chiave delle economie europee. La sua retorica dell’”America First” contrasta con gli sforzi dell’Ue di promuovere un commercio globale basato su regole condivise. Un passo indietro  ci si deve aspettare anche negli sforzi globali per il contrasto al cambiamento climatico. Durante la sua prima presidenza, Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, indebolendo la leadership internazionale su questo fronte. L’Europa, che si è posta come capofila nella transizione verde, potrebbe trovarsi isolata, con difficoltà crescenti nel convincere altri attori globali a seguire il suo esempio senza il supporto degli Stati Uniti. Trump ha adottato un approccio ambiguo nei confronti della Russia durante il suo primo mandato, suscitando preoccupazioni in Europa orientale. Un suo ritorno è destinato a creare incertezze sulla solidità dell’impegno americano nel contenere le ambizioni di Mosca, soprattutto nel contesto della guerra in Ucraina. Allo stesso tempo, un approccio più aggressivo nei confronti della Cina rischia di mettere l’Europa in una posizione difficile

La nuova Siria 

In Siria, il 2024 ha segnato la fine del lungo governo di Bashar al-Assad, che ha dominato la scena politica del paese per oltre due decenni. La transizione è avvenuta in un contesto di pressioni interne e internazionali, con un nuovo primo ministro emergente: Mohammed al-Bashir. Al-Bashir, già premier del “governo di salvezza” che amministrava la provincia di Idlib, è stato designato capo del governo di transizione della nuova Siria. Con un profilo pragmatico e una profonda conoscenza delle dinamiche locali, Mohammed al-Bashir si trova ora di fronte al difficile compito di ricostruire il paese devastato dalla guerra civile e di riconquistare la fiducia della comunità internazionale. Questo cambio di leadership rappresenta una rara opportunità per la Siria di uscire dall’isolamento diplomatico e affrontare le sue profonde crisi umanitarie. Un altro nome che ha attirato l’attenzione sull’ultimo scorcio di questo 2024 che sta per finire è quello di Abu Mohammad al-Jolani, leader di Hay’at Tahrir al-Sham, una formazione jihadista operante nel nord-ovest della Siria. Al-Jolani si è progressivamente spostato verso una narrativa più politica, cercando di riposizionarsi come interlocutore legittimo nella complessa situazione siriana. Questo passaggio da leader militare a figura politica potrebbe rappresentare un tentativo di sfruttare il vuoto di potere lasciato dal declino di Assad per guadagnare influenza a livello regionale.

La Nato di Rutte

Nel contesto della Nato, il 2024 ha visto un importante avvicendamento con l’elezione di Mark Rutte come nuovo Segretario Generale. L’ex primo ministro dei Paesi Bassi subentra dopo un decennio a Jens Stoltenberg. Durante il discorso inaugurale, Rutte ha dichiarato: “Posso lavorare bene sia con Harris sia con Trump”, sottolineando la sua volontà di mantenere un dialogo efficace con gli Stati Uniti indipendentemente dalla leadership. Ha inoltre lanciato un monito alla Cina, avvertendo che il sostegno all’invasione russa dell’Ucraina “avrà un impatto sui suoi interessi”. Rutte ha anche preso una posizione decisa contro le minacce nucleari di Vladimir Putin, affermando che “non si deve cedere” di fronte a tali provocazioni. Il suo mandato si concentrerà sul rafforzamento dell’unità tra gli stati membri e sull’adattamento della NATO alle nuove sfide globali.

Uk, il ritorno dei laburisti 

In Gran Bretagna, il 2024 ha segnato la fine dell’era dei conservatori, con un cambiamento radicale nella leadership del paese. Dopo anni di governo conservatore, il Partito Laburista ha conquistato una schiacciante vittoria elettorale, portando al potere il nuovo primo ministro Keir Starmer. Starmer si è impegnato a ripristinare la fiducia nella politica e a affrontare le disuguaglianze economiche. Questo passaggio di potere segna un punto di svolta nella politica britannica, con un’agenda focalizzata su welfare, transizione verde e riforme costituzionali. Ma gli esordi non sembrano essere stati promettenti… Il bilancio di questa svolta per il momento, non è un granché. I termini utilizzati dalla stampa britannica, di destra e di sinistra, per descrivere questo nuovo inizio raccontano di delusione e confusione. Starmer è partito con il piede sbagliato. La prima crisi è arrivata a sole due settimane dall’insediamento del suo governo quando, era il 23 luglio, il suo gabinetto si è rifiutato di eliminare il tetto ai sussidi per le famiglie con più di due figli introdotto dai conservatori nell’ambito delle politiche di austerità. Poi la manovra ha completato il quadro.  Uno dei suoi punti centrali è l’aumento delle entrate fiscali, con un obiettivo di raccolta di 40 miliardi di sterline. È l’incremento più alto almeno dagli anni Novanta, e potenzialmente dagli anni Settanta, un dato che evidenzia la portata storica del provvedimento.

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Il fallimento del modello di Macron 

Il 2024 è stato un anno difficile per la Francia. “Macron ha perso il filo della sua presidenza”.  Così Le Monde ha stigmatizzato il problema di fondo che la crisi politica francese ha evidenziato col fallimento dell’intero progetto del presidente, che se ha stravinto le elezioni del 2017, non è riuscito con i suoi governi costituiti sia da ministri ex gollisti che ex socialisti,  a replicare il modello di Charles de Gaulle. Ha puntato tutto solo su sé stesso e quando dalle elezioni europee dello scorso giugno è uscita trionfante la destra di Marine Le Pen, ha scelto di sciogliere l’Assemblée Nationale e di indire le elezioni in un mese. Una mossa a sorpresa piena di azzardi ma che ha funzionato. Il blocco nazionale ha arginato l’avanzata dello Rn, ma ha avuto come effetto quello di paralizzare l’Assemblea Nazionale, uscita dalle urne incapace di formare maggioranze stabili di governo. Una situazione resa ancor più fragile dalla rigidità opposta dalla sinistra, contraria a larghe intese. E’ nato cosi prima il governo  minoritario di Michel Barnier, che presto si è arenato sul bilancio e spesa sociale. E al quale è succeduto in questi giorni l’esecutivo del centrista Francois Bayrou.

La Germania in crisi 

E in parallelo alla Francia ha viaggiato quest’anno la Germania con la fine del governo di Olaf Scholz, le elezioni anticipate che dovrebbero tenersi il 23 febbraio, e un’economia che non sta andando. È di inizio dicembre il report dell’Ocse che colloca il paese agli ultimi posti tra quelli industrializzati, con una crescita stimata per il 2025 dello 0,7%, pochi punti percentuale al di sotto di quella italiana (+0,9%).

Il Brasile e l’Argentina

Altre situazioni calde, le troviamo in Brasile, dove Luiz Inácio Lula da Silva sta affrontando un secondo mandato impegnativo, segnato da tensioni politiche interne e dalla necessità di gestire le questioni ambientali legate alla deforestazione dell’Amazzonia. Lula sta cercando di bilanciare crescita economica e sostenibilità, mentre lavora per rafforzare il ruolo del paese sulla scena internazionale. Ma le sue condizioni di salute, il 10 dicembre, il presidente, 79 anni, è stato operato d’urgenza per drenare un ematoma alla testa, comparso in seguito a una caduta subita a Palazzo Alvorada, rischiano di complicare il quadro. In Argentina, le elezioni del 2024 hanno portato al potere un nuovo governo che si è trovato ad affrontare una crisi economica senza precedenti, con un’ inflazione alle stelle e crescente insoddisfazione popolare. La priorità del nuovo presidente è stata stabilizzare l’economia e ripristinare la fiducia dei cittadini. Javier Milei nei suoi primi dieci mesi di governo è riuscito a rallentare la corsa dell’inflazione, raggiungere il pareggio di bilancio e a diminuire i rischi, che comunque permangono.

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Negli ultimi anni, il panorama politico globale ha subito trasformazioni significative, segnate dall’ascesa di nuovi leader che incarnano visioni, approcci e priorità diverse. Questo fenomeno riflette una crescente domanda di cambiamento da parte delle popolazioni, ma pone anche interrogativi su quale direzione stia prendendo il mondo sotto queste nuove guide. Un aspetto distintivo dell’attuale contesto globale è la frammentazione della leadership. Molti leader emergenti provengono da movimenti populisti, nazionalisti o ambientalisti, ciascuno con obiettivi specifici. Questa diversità rende difficile trovare un terreno comune nelle questioni globali come il cambiamento climatico, la sicurezza internazionale e la gestione delle pandemie. Ad esempio, mentre alcuni leader si concentrano sull’autarchia economica e sulla sovranità nazionale, altri promuovono una maggiore integrazione internazionale. Questa dicotomia crea tensioni nei consessi multilaterali come le Nazioni Unite e il G20, dove il consenso è fondamentale per affrontare le sfide globali. Un altro elemento chiave è l’influenza delle nuove tecnologie. I leader di oggi devono confrontarsi con un mondo sempre più digitalizzato, in cui l’intelligenza artificiale, i social media e la cyber sicurezza stanno ridefinendo le regole del gioco. Alcuni governanti hanno sfruttato queste tecnologie per consolidare il loro potere, utilizzando strumenti di sorveglianza di massa e manipolazione dell’informazione. Altri, invece, cercano di regolamentare l’uso di queste innovazioni per proteggere la privacy e i diritti dei cittadini. La capacità di gestire questa rivoluzione tecnologica è un fattore critico che definirà il successo o il fallimento di molti leader. In particolare, la competizione tecnologica tra potenze come Stati Uniti, Cina ed Europa potrebbe determinare nuove gerarchie globali.

La crisi climatica è forse la questione più urgente che i nuovi leader devono affrontare. Mentre alcune nazioni investono massicciamente in energia rinnovabile e politiche sostenibili, altre rimangono ancorate ai combustibili fossili per motivi economici o politici. I nuovi leader che promuovono una transizione verde stanno cercando di bilanciare le esigenze immediate di crescita economica con l’urgenza di mitigare il cambiamento climatico. Tuttavia, la mancanza di un approccio coordinato rischia di aggravare le disuguaglianze globali, con i paesi più poveri che pagano il prezzo più alto per l’inazione collettiva. In molte democrazie, i nuovi leader stanno sperimentando pressioni crescenti legate alla polarizzazione politica e alla sfiducia nelle istituzioni. La capacità di mantenere un dialogo aperto e inclusivo diventa cruciale per evitare che le divisioni interne si trasformino in crisi politiche.

In parallelo, alcuni regimi autoritari hanno consolidato il loro potere presentandosi come alternative più stabili rispetto alle democrazie occidentali, attirando consenso anche oltre i propri confini. Questo scenario apre un dibattito su quale modello di governance sia più adatto ad affrontare le sfide del XXI secolo. Nel prossimo decennio, sarà cruciale osservare come questi leader affronteranno temi come la disuguaglianza economica, le migrazioni, la transizione energetica e la regolamentazione tecnologica. La storia recente dimostra che le decisioni prese oggi plasmeranno non solo le loro nazioni, ma anche il destino del pianeta.L’unica certezza è che la leadership globale non può permettersi di ignorare le interconnessioni che legano le sfide locali a quelle globali. Solo attraverso un approccio collaborativo e lungimirante si potrà costruire un futuro più equo e sostenibile.

 

 

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