“Mio figlio è morto per la droga, l’abisso di Rogoredo lo ha inghiottito prima di Natale”

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MILANO – “Io non ho visto mio figlio per 4 anni e mezzo. Era sparito. L’ho ritrovato a Rogoredo, irriconoscibile. La droga lo ha reso schiavo”. A raccontare la sua tragedia è una donna, una madre sessantenne che vive fuori dalla Lombardia – chiede l’anonimato – e che ce l’ha messa tutta per salvare suo figlio. Schiavo dell’eroina? “Di sostanze non meglio specificate – sottolinea – perché a Rogoredo, e non solo, vendono di tutto”. Questa donna ha appena perso suo figlio. Un macigno sul cuore, arrivato una manciata di giorni prima di Natale. Ma ora vuole provare con le sue parole a salvare chi è ancora in tempo: “Per rinascere andate via da lì. Lasciatevi abbracciare da chi può aiutarvi: familiari, volontari, operatori. Non lasciate mai più che sia la droga a comandarvi”.

Quanti anni aveva suo figlio?

“Ne aveva 36”.

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Come è iniziato tutto?

“Anni fa ha cominciato a fare uso di sostanze. In casa ce ne siamo accorti, abbiamo provato ad aiutarlo ma a un certo punto non si riusciva più a gestire: era diventato completamente dipendente dalla droga. Quindi ha accettato di entrare in comunità. Prima una, poi un’altra, ma non voleva starci. Finché è finito in strada. Aveva in testa un’idea tutta sua, come se bastasse non essere visto da noi per non farci preoccupare. Ma invece noi familiari eravamo preoccupati, eccome. Si era spostato in un’altra regione, era arrivato fino a Milano. Io lo cercavo, invano. Non sapevo dove sbattere la testa, non avevo nessun appiglio”.

E come ha fatto a trovarlo a Rogoredo?

“Grazie a una volontaria. Vedeva mio figlio regolarmente, lui a poco a poco si è aperto con lei, raccontandole pure qualcosa di sé. Questa donna a un certo punto è riuscita a farsi dare da lui il mio numero, promettendogli che mi avrebbe contattata solo in caso di emergenza. Ma per fortuna mi ha chiamata subito. Così, d’accordo con lei, un pomeriggio d’estate sono partita e ho raggiunto Rogoredo”.

Com’è stato vedere il posto per la prima volta?

“Traumatico. Devastante. Ricordo una scala, vicino all’uscita della metropolitana, percorsa da persone alla ricerca di dosi. Non immaginavo una cosa del genere”.

E suo figlio?

“Quando l’ho visto è stato straziante. Uno choc vederlo nelle condizioni in cui era. Lo ricordavo come un giovane abituato a farsi tre docce al giorno, con abiti impeccabili. E me lo sono ritrovato davanti con vestiti sporchi, scarpe rovinate, barba lunga. Era irriconoscibile. Non immaginavo potesse essere così in difficoltà. Ci siamo parlati, ho cercato di convincerlo a entrare in una comunità ma lui non ne voleva sapere. Sono però riuscita a convincerlo a tornare a casa; è stato seguito dal Sert ma non è stato sufficiente: alternava momenti in cui si impegnava per cambiare vita, anche lavorando come giardiniere o come cameriere, ad altri in cui puntualmente ricascava nel tunnel della dipendenza”.

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Ed è tornato a Rogoredo?

“Sì. Aveva dei punti di riferimento, sapeva dove mangiare, dove dormire al caldo. Ma a un certo punto sono subentrati dei problemi di salute che si sono aggravati. Il tracollo è iniziato quando si è ferito a una gamba scavalcando un cancello. Si è fatto male vicino alla tibia e la ferita si è infettata. La sua volontaria di fiducia lo ha accompagnato al pronto soccorso. Io mi sono precipitata lì. Non dimenticherò mai le parole della dottoressa: “Signora, i parametri di suo figlio non sono compatibili con la vita“. Mi è crollato il mondo addosso. Ma in qualche modo mio figlio ha recuperato, è stato tre mesi in ospedale, gli sono state fatte delle trasfusioni, ha seguito terapie. Però, una volta uscito, non ha voluto proseguire il percorso entrando in una struttura adeguata, che potesse aiutarlo a uscire dalla dipendenza. Il suo chiodo fisso era Rogoredo”.

La sua salute è poi peggiorata?

“Sì. Lo scorso anno ha avuto un grave problema al cuore, dovuto al sistema circolatorio ormai compromesso. Ha affrontato un intervento delicatissimo. Poi ha accettato di entrare in una comunità, dove ha conosciuto una ragazza. Ma già si stava lasciando andare. Non ha più lottato. Lo hanno trovato su un treno nel Milanese alcuni giorni fa. Addormentato. È morto poco dopo in ospedale, non sono riuscita neppure a salutarlo. Io ho fatto di tutto per strapparlo alla morte e non mi sarei mai fermata. Da madre io non ho mai perso la speranza”.

Ha conosciuto altre madri nella sua situazione?

“Sono tante che vanno a cercare i figli a Rogoredo. Alcuni di questi ragazzi hanno anche problemi psichiatrici, purtroppo. Dobbiamo capire che non possiamo metterci al posto dei nostri figli: solo loro possono salvare sé stessi, con la loro forza e la loro volontà. Noi però dobbiamo stare al loro fianco, fare il possibile. E senza sentirci in colpa”.

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