“LA MAFIA A LATINA È STATA CREATA”

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Reset, concluse le arringhe difensive per gli imputati del processo che contesta l’associazione mafiosa a diversi membri del clan Travali/Di Silvio

È il giorno conclusivo delle arringhe difensive di un processo difficile, lungo e di importanza rilevante per la città di Latina, seppur ormai relegato all’ambiente giudiziario del Tribunale di Latina. Si tratta del processo derivante dalla maxi indagine di DDA capitolina e Squadra Mobile di Latina denominata “Reset”, l’approdo investigativo finale della prima indagine e poi processo chiamato “Don’t Touch”. Alla sbarra la maggior parte dei membri del clan Travali/Di Silvio, oltreché ad altri pezzi del crimine pontino: da Luigi Ciarelli ad Alessandro Zof, individuati come i fornitori di hashish e marijuana per conto del sodalizio.

Oggi, 23 dicembre, l’anti-vigilia di Natale ha visto le arringhe degli avvocati Gaetano Marino e Angelo Palmieri che difendono Costantino “Cha Cha” Di Silvio, il noto criminale latinense delineato come capo e poi detronizzato dai nipoti Angelo e Salvatore Travali.

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L’avvocato Marino ha difeso anche la posizione di Riccardo Pasini, ricordando l’assoluzione rimediata dalla Corte d’Appello di Roma per il processo “Don’t Touch”. In quel frangente, Pasini era accusato, come nel processo “Reset”, di essere stato l’intermediario di informazioni investigative che il poliziotto Carlo Ninnolino avrebbe passato al clan Travali (anche Ninnolino è stato assolto dalla Corte di Cassazione). Ebbene, l’avvocato Marino ha ricordato che fu il procuratore generale della Corte d’Appello a porgere le scuse a Pasini per poi chiedere l’assoluzione, successivamente ottenuta, dalla accuse di associazione per delinquere e rivelazione di segreto d’ufficio.

La difesa di quello che fu amico stretto dell’ex deputato di Fratelli d’Italia, Pasquale Maietta, ha messo in dubbio la credibilità dei collaboratori di giustizia, in primis Renato Pugliese e Agostino Riccardo. Riguardo al potere intimidatorio di “Cha Cha”, l’avvocato Marino ha minimizzato, sostenendo che in fin dei conti appena cinque negozianti su centinaia e centinaia a Latina sono stati coinvolti nelle estorsioni. Non c’era clima di terrore insinuato da Cha Cha, ossia da un presunto “capo dei capi” della criminalità pontina che, in realtà, secondo la difesa, non aveva potere di assoggettamento alcuno del territorio.

E non vale, tale potere intimidatorio, neanche nei confronti dell’avvocato Gianluca La Starza, la cui credibilità è stata messa in dubbio avendo sul groppone una vicenda intricata di informazioni riservate e presunta escort nel calcio a 5.

Ma ad essere ancora più definitivo contro le accuse della DDA è il decano degli avvocati penalisti pontini, Angelo Palmieri, che per Cha Cha, difeso più volte in diversi processi, utilizza parole da titolo giornalistico. Innanzitutto, non ci sono veri pentiti in questa storia, “i pentiti”, quelli veri, sono di “Sant’Agostino”. E sul sodalizio che avrebbe terrorizzato una città, introducendosi anche negli ambienti politici, amministrativi e nel Latina Calcio, l’avvocato Palmieri è ancora più netto: “La mafia a Latina è stata creata, è una cosa che fa ridere“. Quella vera, di “mafia”, si trova in Calabria, anche se: “A Roma è stata portata da Pignatone” che ha imbastito “Mafia Capitale” per poi essere smentito dalle sentenze.

“A Latina – secondo l’avvocato Palmieri – non c’è mai stata una estorsione violenta“. Prova ne è il fatto che “non c’è stato nessuno che ha denunciato”; peraltro in questo processo “non è mai emersa una pistola, un’arma, un fatto violento”. Le vittime “sono state chiamate dalla Polizia, nessuno mai ha denunciato”, senza contare che l’ex dirigente della Squadra Mobile di Latina, Giuseppe Pontecorvo, che ha firmato l’informativa agli atti del processo e che ha coordinato le indagini non sarebbe nessuno: “Per me Pontecorvo – ha detto l’avvocato Palmieri – è un paese in provincia di Frosinone”

La mafia, quindi, a Latina, sarebbe “a parole“, inventata da una “stampa malefica”. In Italia, non è come nella “civile Inghilterra, dove il certificato penale si svela a fine processo”. E immancabile è anche il riferimento a Enzo Tortora, il presentatore televisivo accusato ingiustamente dai collaboratori di giustizia campani quaranta anni fa. Sarebbe colpa della società e dello Stato italiano se “Cha Cha”, “figlio di uno zingaro”, “senza avere avuto possibilità di una educazione”, non è stato recuperato sin dalla prima condanna in giovane età.

A parlare anche gli avvocati Cencioni e D’Amico che hanno difeso la posizione di Cristian “Schizzo” Battello, l’apriliano considerato dagli inquirenti il reggente per conto di Angelo Travali della piazza di spaccio del quartiere popolare Toscanini.

Chiesta l’assoluzione anche per Mirko Albertini da parte dell’avvocato Alessia Vita, la quale, insieme ala collega Marco Lucentini, ha difeso anche Alessandro Zof, per cui è stata chiesta l’assoluzione e, in subordine, per un capo d’accusa (la fornitura di circa 100 chili di marijuana) l’intervenuta prescrizione. L’avvocato Vita ha messo in discussione la logica investigativa con cui si è passati dal processo “Don’t touch”, per cui i Travali sono stati condannati all’associazione per delinquere semplice, al processo “Reset”, nel quale è contestata l’associazione mafiosa.

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Infine, è stata la volta degli avvocati Pasquale Cardillo Cupo e Camillo Irace che hanno l’onere di difendere colui che è considerato il capo clan: Angelo Travali. In realtà, l’avvocato Cardillo Cupo difendeva la posizione anche di altri indagati tra cui Francesca De Santis. Per l’avvocato Cardillo Cupo i collaboratori di giustizia non sono credibili: Agostino Riccardo è “un gran bugiardo”, alla pari di Renato Pugliese “più abile a sviare le domande. Riccardo, secondo il legale, è l’unico in Italia ad aver rimediato una condanna a soli 8 anni di reclusione per associazione mafiosa, in ragione della sua collaborazione con lo Stato. “Altri collaboratori lo hanno denunciato perché si stava mettendo d’accordo con altri personaggi per incastrare altre persone e dicevano che la Procura pendeva dalle sue labbra”. Insomma, “un pentito” per nulla credibile, quanto Pugliese di cui è stata tirata in ballo la storia dello zio che avrebbe minacciato uno degli imputati, Riccardo Pasini, per conto del medesimo Pugliese: “O paghi o verrai tirato in ballo nel calderone di nuovo”.

La tesi dell’avvocato Cardillo Cupo è che Pugliese e Riccardo abbiano voluto solo vendicarsi di Angelo Travali che li aveva dileggiati perché confidenti di Polizia, prima di essere collaboratori di giustizia. E, in una arringa molto dura contro l’accusa, anche le bordate alla DDA che ha dato credito a un collaboratore di giustizia come Maurizio Zuppardo, da ottobre destituito dalla stesso Ministero dell’Interno come “collaboratore mendace”: “Ha rischiato di far finire in carcere quattro Carabinieri con le sue dichiarazioni”.

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Il processo riprenderà il 10 gennaio quando potrebbero esserci le repliche dei pubblici ministeri e le contro-repliche della difesa. Quello che è certo è che, entro il 16 gennaio, ci sarà una sentenza su una vicenda lunga anni che, lo si voglia o meno, fa parte della storia giudiziaria della città di Latina.





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