Siria, il francescano Karakach: il popolo in cerca di sicurezza e giustizia

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Nelle parole del parroco di Aleppo, il racconto dell’incontro tra i vescovi e i rappresentanti dei gruppi che hanno rovesciato Assad. “I cristiani si interrogano su quale sarà il loro destino, tra il timore per eventuali radicalizzazioni e la speranza di poter tranquillamente praticare la propria religione”

Roberto Paglialonga – Città del Vaticano

“Dopo 54 anni di governo degli Assad la gente è disorientata e continua a provare sentimenti misti di gioia e sollevazione, ma anche di ansia rispetto al futuro”. È concitato nella sua testimonianza a “L’Osservatore Romano” il francescano della Custodia di Terra Santa e parroco della comunità di Aleppo, in Siria, padre Bahjat Karakach. Il quale aggiunge come, dopo un paio di giorni di euforia e caos generale per le strade, la situazione adesso sia tornata tutto sommato sotto controllo. “Anche se – avverte – diverse persone esprimono preoccupazione per il fatto che Israele avanza, con il suo esercito, nei territori siriani, occupando la città di Quneitra e il monte Sheik. E qualcuno addirittura teme che invada tutta la Siria!”

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La vita nelle strade di Aleppo

Le speranze dei cristiani

I cristiani si interrogano in queste ore su quale sarà il loro destino, tra timori per eventuali radicalizzazioni del nuovo contesto e speranze di poter praticare tranquillamente la propria religione in una Siria che sarà profondamente diversa da quella degli ultimi anni. Proprio per questo, racconta, “c’è stata una riunione tra tutti i vescovi ed alcuni membri del clero aleppino con dei rappresentanti delle nuove autorità nel salone parrocchiale della nostra chiesa di San Francesco”. Da queste ultime sembrano essere arrivare parole al momento incoraggianti: “Si sono dimostrati amichevoli, hanno dato risposte concrete e ragionevoli, ma al contempo piene di ottimismo, sul futuro del Paese”. La preoccupazione maggiore è anzitutto “quella di garantire sicurezza e soddisfare l’emergenza delle prime necessità, poi si procederà a fornire i servizi necessari perché le attività riprendano il loro corso normale. Hanno anche annunciato l’apertura dell’aeroporto di Aleppo, nei prossimi giorni, per cominciare a ricevere gli aiuti umanitari e anzi auspicano che dall’Occidente riprendano i voli internazionali, visto che molti siriani desiderano rientrare almeno per vedere i loro cari.”

Chiesa ad Aleppo

Chiesa ad Aleppo

Le promesse del nuove autorità

Il frate spiega poi che per le comunità cristiane sono arrivate garanzie dagli interlocutori circa la possibilità di continuare tutto ciò che esse hanno fatto finora. “I beni ecclesiastici saranno restituiti e le scuole private cristiane continueranno la loro missione educativa, perché queste ‘c’erano prima di Assad e ci saranno dopo’, ci hanno detto nell’incontro i membri dei gruppi guidati da Abu Mohammed al-Jolani”. Essi hanno anche ammesso che in questa fase “non c’è un progetto predeterminato per il futuro della Siria, ma tutto dipenderà dalla volontà del popolo che ha il diritto di decidere insieme la forma del governo. E quando il vescovo caldeo di Aleppo, Antoine Audo, ha ricordato il ruolo dei cristiani nella cultura araba, essi hanno ribadito che noi non siamo stranieri ma parte essenziale di questo Paese”.

La liberazione dei detenuti politici

In queste ore a impressionare il mondo, e naturalmente in primis gli stessi siriani, sono le immagini che vengono diffuse delle carceri ora aperte per liberare i detenuti politici. Tra queste, anche la famigerata prigione di Sednaya. “Ciò che viene trasmesso su quei luoghi di morte non può non rievocare le immagini dei campi di concentramento nazisti”, dice. Centinaia di migliaia di persone “detenute per tutta la vita senza alcun processo, in condizioni al di sotto di ogni standard di umanità, oggetto di torture spaventose, spesso ridotte a essere fantasmi a causa della fame e delle torture. Questa ferita si aggiunge alle altre del popolo siriano: moltissime famiglie non osavano nemmeno dire che un loro caro era scomparso nelle carceri del regime, il terrore li costringeva a tacere, ma la sofferenza nel cuore li consumava dentro”. Ora che queste carceri sono state aperte “tutti corrono per sapere se qualche loro parente o amico è ancora in vita, o se le loro capacità mentali consentono ancora di riconoscere” chi viene per tirarli fuori da lì.

La richiesta di giustizia

Ieri è iniziato il periodo di transizione, con la prima riunione per il passaggio di consegne tra l’ex premier, Mohammad al-Jalali, e il capo del governo designato, Mohammad al-Bashir. “Ciò che tutti i siriani ora chiedono – conclude – è giustizia, non solo riguardo agli uomini del regime ma anche rispetto a chi l’ha sostenuto per molti anni, privando la popolazione dei diritti più basilari. Desideriamo giustizia perché il carcere che ha detenuto tutti i siriani più di cinquant’anni non si ripeta mai nella storia”.

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