Il salvataggio della speleologa e l’ossessione per la sicurezza

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“La Repubblica” riporta la notizia secondo la quale gli inquirenti stanno indagando per capire se l’Abisso Bueno Fonteno, la grotta che due giorni fa ha restituito alla vita Ottavia Piana, trentadue anni, speleologa, “era sicura” (così, testualmente, nel titolo. La notizia fa seguito ad una serie infinita di polemiche sui social da parte di chi ha sostenuto (con delle espressioni che mi ricordano le vicende degli stupri): “in fondo se l’è cercata”, “nessuno la costringeva ad entrare in quella grotta”.
Quanto sta accadendo su questa vicenda mi induce a qualche riflessione che, spero, possa essere chiarificatrice.
Premetto che ho provato anch’io l’esperienza della speleologia “difficile”, nel 1991. Nove ore nell’allora ignota – a gran parte del mondo speleologico (solo il Gruppo Grotte del CAI di Novara aveva iniziato ad esplorarla l’anno prima) – Grotta di ‘Ntoni Maria, alle falde del Monte Sant’Elia in territorio di Lamezia Terme, Calabria. Calate di corda su pareti dirupate, umide, fangose; arrampicate improbabili; passaggi strettissimi strisciando sul ventre; giravolte in cunicoli grandi come un oblò; guadi di fiumi sotterranei. Ne sono uscito vivo. Ma per l’epoca in cui facemmo quell’esperienza, con una certa imprudenza, se avessi avuto un incidente laggiù, difficilmente mi sarei salvato, come invece è accaduto, 33 anni dopo, ad Ottavia. Non sono più tornato in quel genere di grotta perché mi riconosco non sufficientemente preparato, limitandomi a esperienze in grotte con minori pericoli, sebbene non turistiche.
Ottavia ha resistito sino a che i soccorritori (in gran parte volontari) sono arrivati e, fra mille difficoltà, con una dedizione ed una perizia indicibili, l’hanno imbarellata, curata, portata in salvo. 80 ore è durato l’intervento. 159 uomini, fra tecnici del Soccorso Alpino e Speleologico del CAI (volontari), Vigili del Fuoco, medici e infermieri si sono avvicendati nelle operazioni di salvataggio.
Fatte queste premesse, mi pare che le polemiche sui social e l’inchiesta degli inquirenti dimostrino, ancora una volta, la deriva del pensiero che domina le nostre società ipertecnologiche, artificializzate, urbanizzate, che hanno completamente perso di vista il contatto con la natura.
Viviamo in una società in cui ubriacarsi in un locale notturno è considerato un rischio ammesso e se poi, per qualche ragione, finisci per sfracellarti con l’auto contro un muro nessuno ti viene a chiedere conto del costo dei soccorsi. Al contrario se vai in montagna, in grotta, in barca e ti succede un incidente, sei stato un pazzo e qualcuno proporrà puntualmente di farti pagare il conto. E magari la magistratura aprirà un’inchiesta per capire se sulla montagna vi fossero stati corrimano, in grotta l’illuminazione pubblica, nel mare dei salvagente.
Bisognerebbe capire che il rischio è insito in qualunque attività noi compiamo quotidianamente, sia essa lavorativa (come dimostrano i continui incidenti sul lavoro), sia essa fatta nel tempo libero, per passione, studio, sete di conoscenza, come è stato per Ottavia. Il rischio, nelle cose della vita, non è mai evitabile. È solo mitigabile, con la prudenza e la perizia necessarie. Ma la possibilità di un incidente non può mai essere esclusa.
Mi viene però in mente un’altra considerazione da fare, sulla vicenda. La maggior parte dei “benpensanti”, di coloro cioè che si omologano a ciò che pensano e fanno le masse ben indottrinate, è ossessionata dall’illusione della sicurezza. Oggi, chi vive in città crede che si possa “mettere in sicurezza” qualunque cosa: un sentiero, un viale alberato, una parete di roccia, una grotta, per l’appunto. Ma perché, i media propagano l’illusione della sicurezza? La risposta è che cercando spasmodicamente la sicurezza tutti noi siamo pronti a scambiarla con la privazione della libertà e della privacy. Ogni passo avanti nella sicurezza implica una maggiore opportunità di controllo per chi governa le nostre vite: amministrazioni pubbliche, autorità, venditori di merci e prodotti, creatori di bisogni inesistenti.
Maggior sicurezza, dunque, implica sempre il raggiungimento di ulteriori traguardi in quei livelli di controllo delle masse che hanno quasi raggiunto la perfezione in paesi governati da regimi dittatoriali come la Cina ma che sono del tutto simili a quelli che stiamo cercando di creare nelle democrazie occidentali. Questa è la vera ragione per cui i governi e i media propagano l’illusione della sicurezza. E qual è il campo delle attività umane nel quale si può indurre le persone a credere nella sicurezza e nello stesso tempo ad amare la propria schiavitù (oltre che la propria ignoranza), come intuì Aldous Huxley? È esattamente quello delle attività al contatto con la natura, dove le polemiche sugli incidenti sono strumentali alla tesi secondo la quale solo l’artificio e la tecnica umana possono offrire sicurezza. Come nel caso di Ottavia Piana e dell’Abisso Bueno Fonteno. La prima “avrebbe fatto bene a starsene a casa” e il secondo “avrebbe dovuto essere munito di ascensore.”

* Avvocato e scrittore

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