Lazio-Inter: per i proprio colori, per il ricordo di Siniša

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Olimpico vestito a festa per il posticipo del lunedì dove, davanti a 57.000 spettatori, la Lazio ospita l’Inter. Un match atteso con trepidazione dal popolo biancoceleste dopo le roboanti vittorie ottenute sui campi di Napoli e Ajax, mentre per i nerazzurri si tratta di una tappa fondamentale per dare continuità alla propria stagione e non perdere contatto con il primo posto, anche in virtù della gara in meno da recuperare a Firenze.

Con le due tifoserie storicamente gemellate, all’esterno dello stadio il clima è a dir poco rilassato: molte meno camionette del solito, tifosi che possono accedere attraverso qualsiasi prefiltraggio e sciarpe con i rispettivi colori che si mischiano senza problemi. Anzi, è molto facile imbattersi in diverse comitive che sorseggiano birra insieme prima di avvicinarsi ai propri settori. Una volta all’interno il primo ricordo, congiunto, va a Siniša Mihajlović, di cui proprio oggi cadono i due anni dalla triste morte. Il centrocampista serbo, dopo esser approdato in Italia con la maglia della Roma, è passato alla Sampdoria e poi alla Lazio, dove ha vissuto i migliori anni dell’era Cragnotti, vincendo uno scudetto, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, due Coppe Italia e due Supercoppe Italiane, chiudendo poi la carriera da calciatore proprio con la maglia dell’Inter. Ovviamente il ricordo più immediato legato alla sua figura riguarda il potente tiro di sinistro, che rappresentava quasi sempre “una sentenza” in occasione di punizioni e rigori. Non a caso quando lo speaker invita tutto il pubblico a celebrarne la memoria, dalla Nord si leva potente, assieme a uno striscione e una bandiera con il suo volto, il coro “E se tira Sinisa è gol”.

Quando la gara sta per iniziare, lo stadio si colora con le classiche sciarpate sulle note degli inni, mentre nel settore ospiti i gruppi nerazzurri stanno entrando alla spicciolata e solo a match iniziato si sistemeranno con pezze, tamburi e megafoni. Per l’occasione lo striscione apposto sulla vetrata ricorda Gabriele Sandri e, ovviamente, riceve cori e applausi da parte di tutti i presenti. La Nord parte subito forte, riuscendo in più frangenti a portarsi dietro buona parte dello stadio e cercando di spronare una Lazio che nelle prime battute sembra giocarsela a viso aperto. Tante le bandiere e i due aste costantemente tenuti in alto, mentre i battimani coinvolgono tutto il settore fungendo da vero e proprio “collante”. Attorno al 40′ la parità in campo si rompe, con un rigore assegnato agli ospiti dopo la consultazione del Var. Un gol che, di fatto, spacca in due i capitolini, lanciando la squadra di Inzaghi che riesce anche a raddoppiare prima del duplice fischio, per poi dilagare nella ripresa e sbancare l’Olimpico con un clamoroso 0-6. La terza sconfitta più pesante di sempre in A per i biancocelesti, che avevano subito un passivo peggiore soltanto in due occasioni e sempre contro l’Inter: nella stagione 1960/1961 (7-0) e in nel 1933/1934 (8-1). L’imbarcata tuttavia non sembra scalfire la Nord che, con orgoglio, continua a cantare e colorare la curva, alzando addirittura i decibel dopo lo 0-4 e chiudendo con una bella sciarpata su “I giardini di Marzo” e riservando comunque un grande applauso alla squadra dopo il triplice fischio: del resto finora gli uomini di Baroni hanno davvero ben figurato e la sconfitta di stasera – seppur arrivata in dimensioni inaspettate – viene configurata come un incidente di percorso, con la squadra che probabilmente è rimasta tramortita dal micidiale 1-2 degli avversari sul finire del primo tempo.

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Ovviamente c’è tripudio per i tantissimi interisti che, oltre al settore ospiti, occupano anche piccole porzioni di curva e tribuna circostanti. Un’esultanza che sembra a più riprese rispettosa, ma ovviamente euforica considerata la prestazione maiuscola dei Bauscia. Da un punto di vista prettamente ultras, il tifo organizzato nerazzurro, come detto, riesce a sistemarsi solo a partita iniziata, cominciando un po’ in sordina ma crescendo poi con il passare del tempo. Sappiamo bene che per questo genere di tifoserie non è mai facile convogliare nei cori tutta quella grandissima porzione di presenti che frequenta gli stadi poche volte all’anno, provenendo spesso da ogni parte d’Italia. Così i lanciacori fanno appello alle “hit” più in voga, che vengono seguite discretamente per alcuni minuti. Appare anche chiaro come le ultime, nefaste, vicende che hanno visto coinvolti gli interisti abbiano un po’ scombussolato l’ordine e la crescita che si era ampiamente vista negli ultimi anni, quando la Nord sia in casa che in trasferta aveva veramente cominciato a fare bene il tifo, incentrando molto del suo operato sull’organizzazione della parte folkloristica del tifo stesso. Quest’oggi anche il colore è relegato più che altro nel quadrato in basso, dove sventolano alcuni bandieroni dei gruppi e altri con i semplici colori sociali.

Negli ultimi minuti c’è ampio spazio per cori contro gli avversari comuni (romanisti e milanisti) che accomunano storicamente le due curve, oltre che per gli ultimi scambi di stima che suggellano ancora una volta questo gemellaggio. Quando i 57.000 dell’Olimpico cominciano a sfollare, dentro rimangono ancora per un po’ gli ultras, per eseguire gli ultimi cori, smontare gli striscioni e lasciare lentamente le gradinate. All’esterno il traffico si congestiona, con molti supporter interisti che si dirigono verso il Lungotevere, dove sono parcheggiati numerosi pullman che li attendono per far ritorno a casa. Per i romani ci sarà modo e tempo di riscattarsi nella prossima partita di Lecce, dove troveranno un’avversaria tutt’altro che semplice ma dove sicuramente saranno intenzionati a tirar fuori l’orgoglio per cancellare la serataccia e soddisfare il pubblico che li seguirà in Salento. Per l’Inter invece due impegni consecutivi a San Siro, contro Udinese (Coppa Italia) e Como, per un derby Lombardo che manca da circa vent’anni e che farà riemergere una vecchia rivalità basata su amicizie e rivalità intrecciate.

Testo Simone Meloni
Foto Agenzia



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