Giovedì 12 dicembre, attorno alle 20, due ragazze minorenni hanno colpito alla gola un giovane 22enne con un coccio di bottiglia in via Castelmenardo, in pieno centro città. Le indagini sono ancora in corso, ma sembra che il movente dell’aggressione sia stato il tentato furto di un cellulare, che ha provocato una lite tra due gruppi di giovani, con una reazione aggravata dall’effetto di droga e alcool. Il ragazzo è ancora in ospedale in prognosi riservata e al momento gli indagati per il tentato omicidio sono otto, tutti giovanissimi. Ne abbiamo parlato con Luca Sartorato e Marco Possagnolo, rispettivamente presidente e direttore del Ceis di Treviso, che gestisce le più grandi strutture di accoglienza, sostegno terapeutico e riabilitazione per persone con problemi di dipendenze e salute mentale nella provincia di Treviso. Offre consulenza, assistenza e sostegno professionale alle persone, alle famiglie e alla popolazione per promuovere il benessere e la funzionalità individuale, stimolando occasioni di confronto e reti sociali per promuovere una cultura di accoglienza e integrazione.
Quali sono gli aspetti che colpiscono di più in questa vicenda?
È preoccupante il fatto che queste sostanze siano assunte in piazza, mentre prima l’assunzione era relegata in spazi chiusi e marginali ed era accompagnata a una ritualità più impegnativa. La ketamina, invece, ma non solo quella, è molto facile da assumere, e per questo tra i giovani è più accettata e ormai sdoganata.
Di che cosa si tratta esattamente?
Tecnicamente la ketamina è un analgesico dissociativo e l’effetto fondamentale è quello di creare dissociazione, meno sensibilità a quello che succede attorno, e quindi possibilmente anche alle conseguenze di ciò che si fa. È una sostanza che ultimamente si trova abbastanza facilmente in giro e viene usata in particolare dai ragazzi giovani, che la assumono perché dà una sorta di euforia e di maggiore disinibizione. La sua combinazione con l’alcool è difficile da gestire, perché ne aumenta gli effetti.
È in qualche modo significativo il fatto che l’autrici di questo gesto siano due ragazze?
Fino allo scorso anno, la maggior parte delle persone che assistiamo nei nostri centri erano uomini; nel 2024 invece, soprattutto il Cpa (Centro di Pronta Accoglienza), che ha il polso sulla situazione emergenziale, vede un ingresso maggiore di donne. Non è un fenomeno solo nostro: i dati a livello nazionale raccontano un aumento delle donne che assumono sostanze e soprattutto alcool. Le persone che noi accogliamo hanno un livello di dipendenza e di compromissione della salute mentale superiori alla media, quindi donne che arrivano da un lungo passato di dipendenza o di marginalità o di problemi di salute mentale; è come se chiedessero aiuto e supporto adesso, maggiormente rispetto agli anni scorsi, quando forse riuscivano a trovare risposta nei servizi del territorio e quindi a mantenere una vita regolare e naturale, mentre oggi le problematiche medico-sanitarie e le fragilità psicologiche sono arrivate a un livello tale da richiedere aiuto specialistico.
Come arrivano i ragazzi ad assumere queste sostanze? Da cosa sono guidati?
Quello che notiamo è un’intensificazione delle fragilità, che rischiano poi di diventare psicopatologie. Incontrando le classi con i progetti di prevenzione nelle scuole, la sensazione è che all’interno di un contesto fragile la possibilità di manifestazioni particolari, anche devianti, è maggiore; non è un caso che assistiamo anche a un aumento nell’uso di psicofarmaci e sedativi come ansiolitici e antidepressivi. I ragazzi hanno un grado di sofferenza psicologica aumentato da esperienze di vita traumatiche, fin da giovani, familiari ma non solo: sono molti di più quelli che affrontano esperienze pericolose ed estreme, e questo li segna. Se i ragazzi giovani non trovano una risposta a queste loro fragilità, si rispondono con quello che trovano, cioè compagnie e amici che a volte li aiutano, ma che altre volte li coinvolgono nel provare attività particolari, e oggi hanno anche più strumenti per ricercarle.
Quali sono le riflessioni che dovremmo fare noi adulti alla luce di questi fatti?
La violenza di fatti come quello di giovedì sera è determinata da un contesto sociale, di gruppo di appartenenza, che normalizza alcuni comportamenti. Treviso è un capoluogo di provincia e quindi un catalizzatore dei giovani, anche dai comuni limitrofi: ci sono quattro o cinque posti principali dove si riuniscono a bere e a divertirsi. Il mondo dei giovani però è composto da una grande percentuale di persone in gamba, che vivono la socialità e le relazioni in modo normale e sano, e da una piccola percentuale che purtroppo oggi sceglie di divertirsi unendo ketamina e alcool. Quello che manca a tutti i giovani in generale è una valida alternativa. Quali altri spazi di aggregazione hanno a disposizione? Stiamo investendo abbastanza sulla creazione di questi spazi, sulla prevenzione a scuola, sull’educazione degli educatori, per esempio degli allenatori sportivi? La scuola occupa solo una parte del tempo dei ragazzi, alle elementari e alle medie fanno anche molto sport, quindi gli allenatori dovrebbero essere educati a leggere le dinamiche interne ai gruppi di giovani e a capire cosa accade loro attorno, dovrebbero essere sostenuti nell’insegnare non solo a giocare ma anche a stare in contesto sociale. Nel resto del tempo libero, dobbiamo trovare per i giovani spazi di potenziamento scolastico, accompagnamento alla scuola, orientamento al lavoro, soprattutto per i ragazzi in situazioni di marginalità. Senza dimenticare che la fragilità oggi è più diffusa, anche tra gli adulti, quindi stiamo lavorando sul supportare le giovani coppie, dando loro spazi di aggregazione e confronto? Bisogna avere il coraggio di lavorare su ciò che non funziona per ottenere il cambiamento, perché senza sofferenza e fatica non c’è cambiamento. I giovani hanno bisogno anche di sbagliare, di essere rimproverati quando serve, ma anche di essere ascoltati e accompagnati.
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