I governi «a processo» per la crisi climatica. Attesa per il verdetto dell’Aia che potrebbe cambiare le sorti della lotta per il clima

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Questa settimana sono terminate le audizioni alla Corte internazionale di giustizia che ruotavano tutte intorno a una domanda: cosa sono obbligati a fare i governi per frenare il surriscaldamento globale?

Il futuro della lotta ai cambiamenti climatici si decide, almeno in parte, all’Aia. Per la prima volta nella sua storia, la Corte internazionale di giustizia si sta occupando di clima. Più nello specifico, sta cercando di rispondere a una domanda: cosa sono obbligati a fare i governi per frenare il surriscaldamento globale? Tra il 2 e il 13 dicembre, i giudici dell’Aia hanno ascoltato novantuno testimonianze scritte e novantanove interventi orali di governi, organizzazioni non governative e movimenti per il clima. Ora è il momento di tirare le fila e emettere un verdetto, atteso con trepidazione dagli attivisti di tutto il mondo, e che, pur non essendo vincolante, potrebbe segnare una svolta nella lotta alla crisi climatica.

La battaglia di Vanuatu per non scomparire dalla mappa

Lo storico procedimento in corso all’Aia è stato aperto su impulso di Vanuatu, uno Stato insulare situato 1750 chilometri a est dell’Australia e che conta circa 300mila abitanti. Secondo il World Risk Index elaborato nel 2021 dall’Università delle Nazioni Unite, Vanuatu è al primo posto della classifica mondiale degli Stati più a rischio a causa dei cambiamenti climatici. Al pari di tanti altri piccoli Stati insulari, il Paese rischia di scomparire del tutto entro la metà del secolo a causa dell’innalzamento dei mari, ma anche di fenomeni meteorologici estremi come uragani e inondazioni, resi sempre più frequenti proprio dall’aumento della temperatura globale. «Stiamo affrontando eventi climatici gravi, che hanno un impatto sui mezzi di sostentamento, sulla cultura e sulle vite della nostra gente», racconta a Open Arnold Kiel Loughman, procuratore generale di Vanuatu.

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Nel 2019, un gruppo di studenti di giurisprudenza dell’Università del Pacifico del Sud ha iniziato a mettersi al lavoro per trovare soluzioni legali e giuridiche per combattere la crisi climatica. Il loro appello è stato raccolto dal governo di Vanuatu, che ha sottoposto le proposte degli studenti all’assemblea generale dell’Onu e poi alla Corte internazionale di giustizia. «Questo sforzo è guidato dall’urgente necessità di affrontare la crisi climatica e amplificare le voci delle nazioni vulnerabili. Oltre a questa iniziativa – spiega Loughman – Vanuatu guida anche gli sforzi per riconoscere l’ecocidio come crimine internazionale e per promuovere un trattato globale per la non proliferazione dei combustibili fossili».

Cosa dovranno decidere i giudici dell’Aia

Il tribunale dell’Aia sarà chiamato a stabilire, forse una volta per tutte, quali siano gli obblighi da parte dei governi in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici, ossia di riduzione delle emissioni di gas serra. Ma c’è anche un quesito, strettamente collegato al primo, che riguarda le conseguenze giuridiche di tali obblighi. In altre parole, cosa succede se i governi non rispettano gli accordi sul clima che hanno firmato in sede internazionale? «Per Vanuatu, questo procedimento riguarda la giustizia climatica. Ci auguriamo di vedere un parere della Corte che chiarisca che le leggi internazionali sulla responsabilità degli Stati devono essere applicate a quanto gli Stati fanno o non fanno», insiste il procuratore generale del piccolo Stato insulare.

Un’immagine aerea di Port Vila, Vanuatu (Dreamstime/Michael Bluschke)

Come sono andate le audizioni

La sentenza della Corte di giustizia internazionale arriverà con ogni probabilità nei primi mesi del 2025. Nel frattempo, i giudici dell’Aia hanno ascoltato il parere di tutti i Paesi coinvolti, a cui sono stati concessi trenta minuti ciascuno per far valere le proprie ragioni. Le audizioni, che si sono svolte dal 2 al 13 dicembre, sono state seguite passo per passo dai principali movimenti per il clima. Gli Stati più dipendenti dai combustibili fossili, a partire dall’Arabia Saudita, hanno detto senza mezzi termini che dal loro punto di vista i documenti firmati alle Cop (le conferenze annuali dell’Onu sui cambiamenti climatici) non hanno alcun valore legale. L’intervento degli Stati Uniti è stato uno di quelli più discussi. Margaret Taylor, rappresentante del dipartimento di Stato americano, ha difeso l’Accordo di Parigi del 2015 – quello che ha fissato l’impegno per i governi di mantenere il riscaldamento globale «ben al di sotto» della soglia dei due gradi – e la Convenzione Onu sul clima del 1992, che ha istituito le Cop e riconosciuto ufficialmente per la prima volta il problema della crisi climatica.

Secondo Washington, questi due documenti rappresentano «la più chiara, specifica e aggiornata espressione del consenso dei Paesi nella lotta al cambiamento climatico» e non c’è bisogno di alcun obbligo legale aggiuntivo. Questa posizione – condivisa anche da Australia, Cina, Regno Unito e tanti altri governi – è stata criticata dai movimenti per il clima e dagli Stati del sud globale, ossia quelli che meno hanno contribuito al surriscaldamento globale ma allo stesso quelli più esposti ai rischi che ne derivano. «Il riconoscimento di nuovi obblighi legali richiederebbe azioni e finanziamenti molto più incisivi per il clima. E questo minerebbe gli interessi dei colossi dei combustibili fossili, da cui dipendono così fortemente le economie del Nord Globale», incalza Arnold Kiel Loughman.

Perché è importante e cosa cambierà per la lotta alla crisi climatica

Quello in corso all’Aia è un procedimento potenzialmente storico. Non solo perché si tratta della prima volta che la Corte di giustizia internazionale – il tribunale con la più alta giurisdizione al mondo – si occupa della materia, ma anche perché potrebbe portare grossi cambiamenti alla lotta per il clima. Il parere che pronunceranno i giudici non sarà vincolante, ma potrebbe avere un peso politico e giuridico enorme. Politico, perché influenzare i negoziati di tutte le future conferenze dell’Onu sul clima. Giuridico, perché diventerebbe un elemento di giurisprudenza in grado di cambiare le sorti delle migliaia di cause climatiche in corso in tutto il mondo, che – quelle sì – possono essere vincolanti. «Il parere della Corte – spiega ancora il procuratore generale di Vanuatu – avrà un grosso peso morale e legale. Plasmerà le politiche globali sul clima e servirà anche come strumento cruciale per promuovere la giustizia climatica».

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Un’immagine delle audizioni svolte alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, nei Paesi Bassi, 4 dicembre 2024 (EPA/Robin Van Lonkhuijsen)

Nella foto di copertina: Un manifestante a Manila, nelle Filippine (EPA/Francis R. Malasig)



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