a cura di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano in ausiliaria e componente del Direttivo della NATO Defense College Foundation – Un tempo fulcro della riaffermazione russa sulla scena mondiale, oggi la Siria rappresenta un chiaro l’esempio della fragilità delle alleanze costruite sulle reciproche convenienze.
IL CREMLINO FA PERNO SU HAFTAR
Bashar al-Assad è stato sostenuto per anni dalla potenza aerea, dai mercenari e dalla propaganda di Mosca, tuttavia non è riuscito a sopravvivere alla pressione del dissenso interno e della situazione regionale. Per il Cremlino questo crollo non è stato soltanto una battuta d’arresto, ma anche un’opportunità di adattamento, qualcosa che si aggiunge allo sforzo già in atto teso allo spostamento verso sud, nel Mediterraneo (quindi sempre più vicino all’Italia) di uomini e sistemi d’arma. Il trasferimento di truppe e di hardware nella Libia orientale evidenzia la nuova situazione strategica, con il comandante dell’Esercito nazionale libico (LNA) Khalifa Haftar, nella Cirenaica, che si copre le spalle in modo robusto. Tutti gli occhi sono puntati su di lui, mentre gli Stati occidentali cercano di dissuaderlo dal consentire la creazione di un nuovo perno navale russo in Mediterraneo.
LE BASI DI PUTIN NEL MEDITERRANEO
Questo assestamento strategico scaturito dal crollo del regime baathista a Damasco, pone in evidenza la determinazione di Putin in politica estera russa. Non si tratta, infatti, esclusivam,ente della sostituzione di uno stato proxy con un altro, bensì di vera e propria continuità. Quando nel 2019 i jet fighter russi decollarono dalla base aerea di Hmeimim facendo rotta in Libia per sostenere l’offensiva di Haftar su Tripoli, si trattò di una silenziosa prova generale parte di un più ampio mutamento strategico. Un’ambizione, quella russa nel Mediterraneo, che non costituisce affatto una novità, poiché affonda le sue radici nella storia, al XVIII secolo, quando Mosca costituì la propria flotta navale in quelle acque calde allo scopo di contrastare la presenza dominante ottomana e proiettare il suo potere suo marittimo.
PENETRAZIONE RUSSA IN AFRICA
Ora, mentre il ruolo russo in Siria potrebbe conoscere una evoluzione piuttosto che dissolversi, il trasferimento in Libia assume invece le forme di rampa di lancio per l’Africa, con la Libia che fungerebbe quindi non da terreno dove ripiegare, bensì quale parte di una strategia di lunga termine per proiettare la propria presenza nel continente. I parallelismi tra Assad e Haftar vanno oltre la loro comune dipendenza dal patrocinio russo. Entrambe sono figure autoritarie dimostratesi disposte a barattare la sovranità per sopravvivere. L’autocrate siriano ha offerto ai russi un punto d’appoggio da usare contro il fianco orientale della NATO, oltreché un teatro conflittuale dove testare le capacità militari. Haftar presenta oggi un’opportunità simile: egli è un mezzo idoneo allo sconvolgimento degli interessi occidentali sfruttando la frammentazione politica libica per estendere ulteriormente l’influenza in Africa.
IL DESTINO DELL’UOMO FORTE DI BENGASI
Assad sia Haftar incarnano i rischi dell’approccio strategico nei confronti della politica estera di Mosca, poiché se a Damasco e forze di Assad si sono sgretolate mentre il sostegno di Mosca vacillava, per Haftar in futuro potrebbe verificarsi un medesimo destino. L’errore dell’Occidente commesso nel corso della guerra civile seguita alla deposizione del colonnello Muhammar el-Gheddafi si è caratterizzato per il disimpegno statunitense e le politiche non unitarie poste in essere degli Stati europei, che hanno cercato di salvaguardare autonomamente i propri interessi nazionali, consentendo conseguentemente a Vladimir Putin (e, non dimentichiamolo, anche alla Turchia di Erdoğan, che è uno Stato membro della NATO) di affermare il proprio predominio.
DIPENDENZE SOFFOCANTI
Con il suo intervento militare la NATO ha portato alla caduta di Gheddafi, ma immediatamente dopo, quando le armi hanno taciuto, la diplomazia ha fallito enormemente e si è giunti al caos attuale. Malgrado tutto questo Washington starebbe tentando di recuperare terreno evitando di far cadere Haftar inesorabilmente nelle braccia di Mosca, ma probabilmente si tratta di una iniziativa assunta tardivamente. Essa tradirebbe l’incomprensione delle dinamiche in atto, oltre all’idea errata relativamente alle capacità dei principali governi occidentali di sostituire ciò che Mosca fornisce oggi ad Haftar, cioè sostegno di natura militare, logistica (si rifletta sugli indispensabili ponti aerei) e finanziaria. Haftar non è libero di cambiare alleanze a piacimento, men che meno di allontanarsi dai russi, ai quali è saldamente legato in ragione della sua dipendenza complessiva. I mercenari dell’ex Gruppo Wagner agiscono quali principali attori in aiuto del potere del generale/feldmaresciallo di Bengasi, si intuisce dunque facilmente come egli non sia indipendente, ma «preso in prestito» da Mosca.
INAFFIDABILE TIGRE DI CARTA?
Se la visione di Haftar che ha il Cremlino è quella di una inaffidabile tigre di carta, l’asimmetria nella relazione sarebbe marcata. Mentre il generale/feldmaresciallo si definisce come «salvatore della Libia», Mosca lo intende come uno strumento per coronare proprie e più ampie ambizioni. Durante l’assalto non riuscito a Tripoli lanciato nel 2019 con il via libera di Washington, i contractors della Wagner potrebbero essersi disimpegnati costringendo le forze dell’uomo forte di Bengasi a ritirate caotiche e perdite umilianti. La priorità dei mercenari russi non era dunque la vittoria di Haftar, ma la sicurezza delle risorse strategiche per Mosca. Consolidando la propria presenza nelle basi chiave della Libia, il Cremlino ha aumentato il grado di dipendenza di Haftar, consolidando al contempo la propria posizione sul lungo termine. A corto di soldi e privo di slancio, allo scopo di mantenere il potere Haftar si è quindi visto costretto a richiedere alla Wagner le avanzate capacità militari di cui essa disponeva.
RISOLUTIVO SOSTEGNO DELLA WAGNER E POTERE DEL CLAN
A quel punto, i velivoli da combattimento MiG di stanza nella base aerea di Jufra e le truppe stanziate nella base di Ghardabiyah hanno costituito la salvezza dell’ Esercito nazionale libico. La situazione venutasi a creare sul campo grazie al sostegno ottenuto da una potenza globale, ha posto Haftar nelle condizioni di ristrutturare le sue milizie, sopprimendo il dissenso e rafforzando la lealtà all’interno delle proprie fila. Tuttavia, la dipendenza da Mosca in un periodo di vulnerabilità evidenza la fragilità e la precarietà del potere del feldmaresciallo di Bengasi. Per un lungo periodo, i suoi figli di hanno mantenuto i legami con diverse capitali estere, utilizzando queste connessioni allo scopo di rafforzare la posizione della famiglia. Un approccio che rispecchia la governance dinastica degli Assad: però. centralizzare l’autorità all’interno del clan consente sì di consolidare il proprio potere, tuttavia può essere fonte di criticità nei fragili equilibri tra coalizioni tribali e alleanze di milizie, cioè di ciò su cui al momento si basa il governo di Haftar.
IL PARALLELO CON LA CADUTA DEGLI ASSAD
Mentre l’accesso alle notevoli entrate derivanti dalla commercializzazione degli idrocarburi gli ha finora preservato la lealtà dei sostenitori interni, la dipendenza da alleati esterni lo può rendere vulnerabile, proprio come accadde ad Assad negli ultimi anni del suo regime, quando la crescente dipendenza da Mosca erose la reale efficacia della rete di alleanze che aveva stretto Damasco. Al riguardo va rilevato come tale dipendenza sia cresciuta ulteriormente nel biennio 2023-2024, quando la famiglia Haftar ha eluso le sanzioni occidentali imposte alla Russia riesportando suoi prodotti petroliferi raffinati falsamente etichettati come libici. Ma i parallelismi possono estendersi anche all’ex dittatore libico Gheddafi, il cui isolamento ed errori hanno portato a defezioni di massa nel momento in cui il regime è stato messo in discussione. Un importante precedente per la Libia di oggi. La strategia degli Haftar, pur consolidando l’autorità interna, ha anche approfondito la dipendenza da sostenitori esterni quali Mosca.
FINCHÉ DURA
Più in generale, la crescente influenza russa su Bengasi accentua il ruolo di Mosca quale arbitro della sopravvivenza al potere di Haftar. L’Occidente starebbe sopravvalutando quest’ultimo assieme all’influenza che egli è realmente in grado di esercitare. Persino gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, suoi alleati, lo sostengono solo finché tornerà utile ai loro interessi. Tutte dinamiche che ricordano la fine degli Assad in Siria. Se l’Occidente vuole contrastare efficacemente Mosca non dovrebbe rincorrere alleanze effimere con Haftar, ma concentrarsi sulla risoluzione dei problemi della Libia, primo fra tutti la spaccatura nelle due aree rispettivamente controllate da Bengasi e dal governo di Tripoli. Che Mosca riesca o meno nel suo intento di mantenere una presenza nel Mediterraneo, per l’Occidente la lezione è chiara: recuperare terreno in una partita già persa non serve, poiché i fallimenti in Siria e in Libia sottolineano i pericoli attuali. Dunque va evitata la ripetizione di errori. L’Occidente deve imparare, non solo ad agire con decisione, ma anche a conferire priorità all’unitarietà rispetto all’opportunismo del singolo stato.
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