i detenuti hanno diritto all’intimità. Limiti al controllo visivo

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Vietare colloqui intimi tra coniugi in carcere è incostituzionale. Lo dice la Cassazione e non solo. Già un anno fa la Corte Costituzionale aveva stabilito che, compatibilmente con le esigenze del singolo, avere incontri non sorvegliati è un diritto del detenuto. Lo scorso 11 dicembre gli Ermellini hanno ribadito con una sentenza questo principio, accogliendo il ricorso di A.S., 34enne di Formia, recluso nel carcere di Asti. La casa circondariale piemontese ha negato all’uomo un colloquio di intimità con la moglie, perché «la struttura non lo consente». Un provvedimento impugnato dal detenuto dinanzi al Tribunale di sorveglianza di Torino che però ha emesso, lo scorso 5 settembre, un’ordinanza con la quale ha dichiarato inammissibile la sua impugnazione. Secondo il giudice la richiesta del 34enne non configurerebbe «un vero e proprio diritto, ma una mera aspettativa, non tutelabile in via giurisdizionale». Di qui il ricorso in Cassazione, con la pronuncia degli Ermellini in favore del detenuto: «La libertà di godimento delle relazioni affettive costituisce un diritto costituzionalmente tutelato» e i colloqui senza sorveglianza possono essere negati solo per «ragioni di sicurezza o di mantenimento dell’ordine e della disciplina, ovvero dalla pericolosità sociale del detenuto o da ragioni giudiziarie per l’imputato».

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La legge è chiara, non lo è la sua applicazione. «Abbiamo da poco concluso un tavolo di lavoro con il Dap – ha spiegato Irma Conti, Garante nazionale delle persone private della libertà personale – Le nostre proposte anche in merito agli incontri saranno vagliate dagli organi competenti che decideranno quale sarà la migliore soluzione da adottare». «Credo però che la concessione di permessi ad hoc, per poter effettuare questi tipi di colloquio al di fuori del carcere, sia la soluzione più pratica», ha spiegato il Garante.

IL RICORSO

Il ricorso presentato da A.S. si basa sulla sentenza della Corte Costituzionale del 26 gennaio 2024, che ha sancito il diritto del detenuto di svolgere colloqui intimi senza il controllo a vista del personale di custodia, «se non ostano ragioni di sicurezza». Per questo la Cassazione ha accolto il ricorso del 34enne e ha disposto l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio, sempre alla Sorveglianza di Torino, per un nuovo giudizio. La valutazione del magistrato è stata giudicata «non corretta», a partire proprio dalla sua motivazione. Il giudice, infatti, nell’ordinanza con cui respingeva l’impugnazione del detenuto aveva motivato la decisione con il fatto che la sua richiesta rappresentava una «mera aspettativa» e non un diritto, quindi secondo lui non avrebbe dovuto neanche ricorrere allo strumento del reclamo giurisdizionale.

La sentenza della Corte Costituzionale – scrivono gli Ermellini nelle loro motivazioni – ha stabilito l’illegittimità dell’articolo 18 dell’Ordinamento penale, nella parte in cui «non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia». Questo perché l’obbligo «assoluto e inderogabile» di essere controllati durante gli incontri, è stato giudicato come una «compressione sproporzionata e irragionevole della dignità del detenuto e della libertà della persona a questi legata da una stabile relazione affettiva». Il controllo a vista obbligherebbe anche il (o la) partner per anni a coltivare una relazione “monca”, pur essendo estranea al reato e alla condanna. Quindi è una questione che riguarda non solo il detenuto, ma anche chi gli è legato affettivamente.

LE REAZIONI

Mancano però luoghi adatti all’interno delle carceri italiane per fare in modo che quello che è stato riconosciuto come un diritto del recluso venga rispettato. All’atto pratico, anche se la legge da un anno lo consente, questo tipo di incontri è ancora impraticabile. «Le carceri dovrebbero avere una sorta di stanza che assomigli il più possibile ad una casa, gli incontri non possono certo avvenire in una cella», ha commentato Rita Bernardini, presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino. «Ma non si tratta soltanto di intimità con il partner – aggiunge Bernardini -, pensiamo a quanto sarebbe importante per un genitore detenuto incontrare il proprio figlio in un ambiente accogliente, così da non fargli vivere il trauma del carcere». D’accordo su questo punto anche Irma Conti, Garante nazionale dei detenuti, meno sulle cosiddette “stanze dell’amore”: «Se pensiamo a carceri come Regina Coeli, dove ci sono più di mille persone, non basterebbe una stanza. Sarebbe più logico concedere dei permessi, dove le esigenze connesse alla pena lo consentano, per poter far incontrare i detenuti e i loro cari fuori dalla casa circondariale». «I ministeri competenti – ha concluso Conti – stanno valutando quale sia la soluzione migliore, il mio augurio è che qualunque essa sia, venga applicata in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale».

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