DALL’ABRUZZO ALL’ARGENTINA: LORETA RUSSI, TRA EMIGRAZIONE E RADICI, “LIBERA COME IL VENTO” | Notizie di cronaca

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BASCIANO – Uno spaccato della storia dell’emigrazione italiana verso l’Argentina, le difficoltà di adattamento tra due mondi, tra sogni, lotte e speranze, senza mai perdere il legame con le proprie radici.

Nel racconto ad AbruzzoWeb di Loreta Russi, 79 anni, di Basciano (Teramo), il ricordo di un’infanzia felice ma anche di una partenza dolorosa verso un futuro incerto per una nuova vita in Argentina, aspetti che hanno forgiato il suo carattere, diventando esempio di resilienza e libertà, tanto che è lei stessa a definirsi “libera come il vento”.

Insieme a suo marito ha vissuto una vita intensa, spostandosi tra Sud America ed Europa. Ogni trasferimento ha comportato un cambio di lavoro, dal giornalismo all’università, fino ad aprire una torrefazione e l’impresa mezzo mondo. Hanno affrontato ogni sfida con determinazione, ricominciando sempre da capo e adattandosi alle difficoltà. Loreta Russi conserva un amore profondo per gli affetti familiari e una curiosità per il mondo che l’ha spinta a scrivere poesie e riflettere sul valore del tempo.

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I ricordi di un’infanzia tra amore, tradizioni e radici familiari

Sono nata a Basciano, in provincia di Teramo, nel 1946, in un periodo di grande povertà subito dopo la guerra. A soli quattro anni, la mia famiglia decise di partire alla ricerca di un’opportunità di vita migliore. Nonostante fossi piccola, ricordo con affetto i miei nonni, che mi amavano moltissimo, e le estati trascorse con la zia Giuseppina, che viveva a Roseto. Era come una seconda mamma per me, e mi portava al mare, una rarità a Basciano per c’era il raccolto in campagna. Ogni estate con lei era magica.Ricordo anche il vaso di porcellana sul tavolo, dove nascondeva le ciliegie per farmi una sorpresa. Giuseppina, una sarta straordinaria, mi cuciva bellissimi vestiti ricamati, facendomi sentire speciale. Non dimenticherò mai tutto ciò che ha fatto per me.Abitavamo a Villa Tomolati, una grande casa ancora esistente, dove vivevano i miei nonni e tutta la famiglia. Era un luogo ricco di storia e legami familiari. Mio padre, originario di Castelli, si trasferì a Basciano con i suoi fratelli dopo la morte della loro madre. Per questo mi sento metà di Basciano e metà di Castelli, paese famoso per le sue ceramiche.

 

Il lungo viaggio verso l’Argentina: ricordi di una partenza

 

Quando ci trasferimmo, ero entusiasta ma non immaginavo quanto fosse lontano. Nel 1950, un cugino partì per l’Argentina, seguito da mio padre e altri uomini. Un anno dopo, ricevemmo la richiesta di ricongiungerci e partimmo nel novembre del 1951. La partenza fu dolorosa: mia nonna piangeva, mentre mio nonno rimase in silenzio. Zia Giuseppina mi aveva preparato una valigia con vestiti ricamati e il “baule della speranza” il corredo per il mio matrimonio, mentre mio padre mi fece due paia di scarpe un paio rosso e un paio nero lucido. Prima di partire, vendemmo molte cose, tra cui una credenza che amavo, a Zia Patronilla dissi: “Quando torno, me la ridai.” Partire significava lasciare il paese e accettare che tutto sarebbe cambiato.

 

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Tra due mondi: l’arrivo in Argentina

 

Arrivata in Argentina, dovetti adattarmi a vivere tra due mondi: quello nuovo e quello lasciato in Italia. Gli italiani venivano visti come “gringos”, e non fu facile essere diversa. A Buenos Aires ci aspettavano un cugino e il fratello di mio padre, ma lui, che stava lavorando, non poté venire a prenderci, cosa che mi deluse molto. Il viaggio, partito da Genova, fece tappe alle Isole Canarie, in Brasile, e in fine a Buenos Aires e durò 18 giorni.

 

Cordoba: un nuovo inizio e una vita straordinaria

 

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Da Buenos Aires, la mia famiglia si trasferì a Cordoba, città in forte sviluppo con circa 1.800.000 abitanti. Mio padre trovò lavoro in una piccola fabbrica, ma quando arrivò la Fiat, iniziò a lavorare lì, una grande gioia per lui. Mio padre amava la caccia, ma solo per procurarsi cibo quando necessario, e curava gli animali feriti, liberandoli poi. Aveva un cane straordinario che amava molto.Iniziammo a vivere in una piccola casa, ma presto uno zio trovò per noi uno chalet simile a un piccolo castello, dove mio padre iniziò a lavorare come guardiano. I padroni, molto ricchi, vivevano a Buenos Aires. I giardini della casa erano splendidi, con pietre, palme e piante da frutto. Vivemmo lì fino ai miei 16 anni, ma quando i padroni vendettero la casa, con i soldi acquistammo una nuova abitazione a 3 km da lì. Quel periodo nella villa resterà nei miei ricordi come straordinario.

 

Ricordi di scuola e tradizioni: un’infanzia tra la campagna e la città

 

Andavo a scuola a piedi, in una scuola che aveva due maestre e due aule, le classi erano 6 e ci dividevamo nelle prime tre e nelle seconde 3 una per le prime tre classi e l’altra per le altre. Ogni maestra si occupava di una parte degli alunni, mantenendo un’atmosfera di silenzio e severità.Un anno, arrivò una famiglia dal Belgio che acquistò una campagna dietro la scuola. Ci portavano ogni giorno il latte a scuola, che la bidella, “Donna Josefa”, scaldava per preparare il mate cocido, che accompagnavamo con il “pancrioso”, un pane speciale fatto con lo strutto, per la nostra colazione.La scuola era ben organizzata, ci davano tutto il necessario per studiare. In quel periodo, sotto il governo Perón molto apprezzato dal popolo. Un aneddoto, mio padre, che era un esperto calzolaio, non voleva però che indossassi le alpargatas, tradizionali scarpe di tela, che la scuola dava,  perché mi aveva preparato delle scarpe bellissime. Ma io, per conformarmi agli altri, insistevo nel volerle indossare, alla finevinse lui. Le classi erano composte da circa 18 alunni e le maestre avevano metodi diversi: la maestra Susanna era severa e ci puniva se parlavamo in classe, costringendoci ad inginocchiarci sulle pietre.  La maestra Marta invece era dolce e gentile, comunque entrambe hanno lasciato un segno indelebile nella mia vita.

 

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Una scuola di vita: solidarietà e crescita

 

Un giorno si ammalò Marita, la ragazza del Belgio che ci portava il latte. Dopo due giorni, la maestra Marta ci disse di aiutarla. Partimmo presto con i genitori e, dopo un viaggio faticoso, arrivammo a casa di Marita. La ragazza stava male, il medico era già passato. Dopo colazione, aiutammo a mungere le mucche li aiutammo per cinque giorni. Ogni giorno, un camion passava a  prendere il latte per il distributore. Mio padre, però, non approvava questa scuola. Quando arrivai in quinta elementare, mi disse che mi avrebbe mandato dalle suore,  io piansi, perché quella scuola era per me come una famiglia.

 

Tra Disciplina e Affetto: Il Mio Percorso nella Scuola delle Suore

 

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Quando sono andata a scuola dalle suore, l’ambiente era molto diverso. La scuola era costosa e richiedeva l’acquisto di tutto, compresa l’uniforme, complessa e formale: gonna plissettata, camicia bianca, gilet blu, grembiule stirato, guanti bianchi e basco. Adattarmi fu difficile, soprattutto perché avevo lasciato le mie amiche. Rimasi lì fino ai 17 anni, ma la scuola era rigida e diversa dalla precedente. Ogni giorno dovevamo stare immobili in fila ad aspettare la suora principale. Al settimo anno, però, arrivò la maestra Giulia, dolce e comprensiva. Grazie a lei, l’ultimo anno fu più umano e affettuoso.

 

Dalla Scuola alla Vita: Un Viaggio di Crescita e Amore

 

Durante le superiori, chiesi ai miei genitori di cambiare scuola, non sopportando più quella realtà. Volevo esplorare altre religioni e mi trasferii in una scuola che seguiva i principi di William Morris, dove mi sentii subito a mio agio. L’uniforme era semplice e mi piaceva. Nel terzo anno, mio padre morì, fu molto doloroso, ma la scuola mi sostenne molto. Al quarto anno, mi dedicai alla scrittura e una delle mie opere teatrali fu messa in scena. Un giornalista di nome Oscar Oviedo che scriveva presso il giornale “Diario di Cordoba” dove mi recai per chiedere di aiutarci a cercare un teatro, ci aiutò a trovare una sala per la rappresentazione. Ci inamorammo. Ci sposammo nel 1968 e nel 1970 nacque nostra figlia.

 

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Mio marito, giornalista straordinario, fu nominato miglior giornalista dell’anno in Argentina nel 1972. Questo lo portò a Pamplona, successivamente vinse una borsa di studio in Ecuador. Iniziò come giornalista sportivo, ma poi si dedicò alla politica. Conduceva un notiziario a mezzogiorno e io facevo guardare in il papà  alle nostre figlie, Claudia e Sandra. Inventò anche il programma “Viajando por nosotros”, ancora attivo dopo oltre 40 anni.

 

Il Terrore degli Anni ’70: Rapimenti, Minacce e la Lotta per la Sopravvivenza in Argentina

 

Negli anni ’70, l’Argentina visse un periodo di grande instabilità politica, con violenza e tensioni tra fazioni. I Montoneros, un gruppo guerrigliero di sinistra, lottavano contro la dittatura militare e rapivano i giornalisti, accusandoli di sostenere il regime. Una sera, durante il telegiornale, l’immagine si oscurò improvvisamente e mio marito, Oscar, insieme ad alcuni colleghi, fu rapito dai Montoneros. Furono rilasciati a chilometri di distanza e costretti a tornare a piedi.Nel frattempo, Oscar insegnava “Etica professionale” e “Cinema e televisione” all’Università di Cordoba e a quella di San Juan. Le minacce non cessavano, e decidemmo di trasferirci a San Juan. Rientrato a casa dopo un congresso, Oscar trovò tutto sottosopra, e una minaccia scritta sulle pareti. Fu costretto a fuggire. Ci trasferimmo a Rio Negro, lui insegnava presso l’Università Nazionale del Comahue, dopo tre mesi, io e i bambini tornammo a Cordoba.Un giorno, mentre ero a casa con i miei figli, i Montoneros tornarono. Cercarono di rapire il mio bambino Martin e minacciarono anche mia cognata, mettendo una pistola nella tempia di sua figlia. Ci rubarono tutto, dicendo che lo facevano per la loro causa, poiché ci consideravano privilegiati e quindi punibili. La violenza tra i Montoneros e il regime militare generava una spirale di brutalità, con entrambi i gruppi usando metodi violenti, alimentando l’instabilità nel paese.

 

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Fuga e Speranza: La Storia di una Vita tra Pericoli e Nuovi Inizi

 

Negli anni ’70, la situazione politica in Argentina peggiorava e non sapevamo dove lavorare. Mi dedicavo alla famiglia, ma continuavo a leggere e scrivere poesie per trovare un po’ di pace. Nel 1978, mio marito vinse una borsa di studio per l’Università di Pamplona. In seguito, visitammo undici paesi grazie a questo progetto, esplorando città e testate giornalistiche.Fu molto bello.Mio marito rimase in Spagna per completare una tesi e vinse un premio economico. Nonostante tutto, la situazione in Argentina era insostenibile. Così, decise di fondare il giornale “Il Gallo”, che fu sequestrato dopo il terzo numero. Una sera, mentre distribuivamo manifesti, finimmo in commissariato. Mi lasciarono andare per il bambino, ma perdemmo tutto, compresi molti soldi.

 

 

Una nuova vita in Italia: reinventarsi tra sfide e opportunità

 

Negli anni ’80, ci trasferimmo in Italia. Mio marito, sempre pieno di idee, propose di acquistare una torrefazione di caffè, dando vita alla “Sabrin Caffè” a Montesilvano. Con l’aiuto dell’Università di Trieste, imparammo il mestiere. I risparmi ci durarono cinque anni, sperando che la situazione in Argentina migliorasse. Quando chiedemmo ai figli se volevano tornare in Argentina, dissero di no, avendo ormai una nuova vita in Italia. Così vendemmo la torrefazione e acquistammo una casa a Silvi Marina, ma presto ci trovammo senza lavoro. Mio marito fondò allora “Mezzo Mondo”, un’azienda nel settore turistico.

 

L’amore e la dedizione verso la famiglia: una vita tra cura e cultura

 

Quando sono tornata in Italia, presi con me zia Giuseppina, quando ebbe 90 anni, per evitare che finisse in una casa di riposo. Nella mia casa, accudivo anche mia madre, costretta su una sedia a rotelle dopo un ictus, e zia Giuseppina. Mi prendevo cura di loro con amore, e mio marito mi aiutava nei piccoli gesti quotidiani, come preparare il caffè. Oggi, mi dedico alla lettura e scrivo poesie, e ogni 20 giorni vado in biblioteca per nutrire la mia passione.

 

Il valore del tempo: riflessioni tra passato e presente

 

Mio marito è morto nel 2012 a causa di un tumore che in due mesi lo ha portato via. Quando era vivo non c’era ancora WhatsApp, ma gli sarebbe piaciuto molto. Oggi sono grata per i progressi tecnologici, anche se non sono esperta. Con un clic possiamo accedere a tutte le informazioni, che un tempo erano difficili da ottenere. Tuttavia, credo sia importante staccare dai dispositivi per un’ora al giorno, camminare e respirare. È un consiglio che do anche ai miei otto nipoti, per i quali ho scritto un libro di poesie come regalo personale. I miei nipoti li ho vissuti tutti e li ricordo da neonati. Adoro i neonati. Ogni giorno con loro è un dono che ci insegna a essere umani.

 

Facundo Cabral: Il Poeta della Musica Argentina

Facundo Cabral, cantante e poeta argentino, racconta il mondo con la sua chitarra. Una delle sue canzoni più belle è Mi Vida. Tristemente ucciso per errore in Centro America, la sua musica merita di essere scoperta. Su YouTube ci sono molti suoi video.

 

 

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