Li chiameremo pizzini digitali. Sono i nuovi codici degli uomini d’onore. Chat, videochiamate, telefonate. E per i più tecnologici anche messaggi cifrati nel darkweb. Non ci sono più le macchine da scrivere tanto care a Bernardo Provenzano che per dare ordini ai capi-mandamento elargiva bigliettini. Quando Renato Cortese arrestò Binnu, l’11 aprile 2006 in una masseria a Corleone, i poliziotti trovarono nel suo covo diversi fogliettini ripiegati pronti per essere inviati e altri recapitati a lui. Tra i mittenti c’era anche il defunto Matteo Messina Denaro. Una fitta corrispondenza che ha permesso agli investigatori di poter decifrare i modi di comunicare di Cosa nostra. Di poter studiare i linguaggi, in una sorta di analisi antropologica dell’uomo d’onore. Che di onore in realtà ha ben poco.
La latitanza modesta di “Binnu” Provenzano
Provenzano, morto ormai da tempo, tramite i “pizzini” ha tenuto la regia criminale della mafia siciliana dopo le Stragi. Il corleonese voleva abbassare il tiro rispetto alla strategia dell’attacco del capo dei capi Totò Riina. Binnu ha vissuto gli anni della latitanza senza ostentare. Batteva a macchina seduto su una seggiola di legno. Nessuno sfarzo e nessuna vacanza extra lusso. Profilo basso in modo da poter stare vicino a Palermo, dove si decidevano le sorti di Cosa nostra ormai decapitata da retate, processi e arresti. E che, diciamolo, non è più stata come prima.I pizzini erano i modi anche per comunicare fuori dal carcere, non solo nei periodi di latitanza. Nascosti tra gli indumenti consegnati nei colloqui, occultati nelle suole delle scarpe, addirittura messi tra biscotti e cibi in scatola. Gli stratagemmi erano molteplici. Purtroppo ci sono stati anche complici, uomini che hanno tradito le Istituzioni. Infedeli. Si ordinavano omicidi, si facevano i nomi dei nuovi reggenti, si decidevano i nuovi equilibri e le alleanze mafiose. Ma i messaggi passavano molte volte anche durante le udienze in carcere: movenze, saluti in codice ai familiari dalle gabbie. Le pensavano tutte. I mafiosi sono sempre stati un passo avanti. Ma lo Stato non si è mai fatto trovare indietro.
Il cambiamento
I metodi per comunicare a un certo punto sono cambiati. Sono arrivati i telefonini. E diversi detenuti sono riusciti a corrompere anche le guardie carcerarie per averne uno in cella. Nel 1998 Santo Mazzei, uomo d’onore catanese – “pungiuto” per volere di Leoluca Bagarella in persona – utilizzava un cellulare mentre era detenuto ad Augusta per parlare con il suo delfino Massimiliano Vinciguerra del piano dei palermitani per spodestare Nitto Santapaola dal trono di Padrino di Catania. Tutto fallì. E Vinciguerra fu ammazzato brutalmente, dopo essere stato attirato in una trappola. Quell’inchiesta, condotta tra Palermo e Catania, fa un po’ da apripista per i nuovi mezzi di comunicazione. Ormai i boss hanno a disposizione iPhone e smartphone con cui fanno videochiamate con i boss liberi. Nel blitz Leonidi, il giovane rampollo degli Ercolano, Sebastiano junior faceva una videocall, circa un anno fa, al boss Salvatore Gurrieri (il puffo) per poter parlare con il padre ergastolano Mario. Voleva il benestare per poter recuperare un arma e andare a sparare a un cappelloto che lo aveva sfidato a suon di pallottole. I cellulari arrivano dentro le carceri con i droni. Ma la polizia penitenziaria è la nemica numero 1 di questi criminali. Per organizzare le piazze di spaccio i pusher ormai si inviano messaggi su WhatsApp, con allegate foto di pistole e “provini” di cocaina e skunk. Ma non dimentichiamo i vecchi telefoni- citofono, tanto cari ai narcotrafficanti perché non si possono inoculare i trojan.
Le letterine
Ci sono però pure i mafiosi attaccati alle vecchie tradizioni. Come Orazio Scuto, ‘u vitraru’, affiliato dei Laudani di Catania, che metteva le letterine per dare direttive ai suoi uomini di fiducia nei brick dei succhi di frutta e nelle merendine che dava ai familiari dopo i colloqui in carcere. I finanzieri del Gico, qualche anno fa, nell’ambito dell’inchiesta Report simularono un posto di blocco e fotografarono le epistole durante il controllo. Il sequestro avrebbe potuto destare sospetti e fermare le comunicazioni. I tradizionalisti però sono una rarità.Ora con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, i modi di comunicare dei boss mafiosi potrebbero ancora una volta mutare. Altro che pizzini 4.0.
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