Coworking a Milano, l’analisi del fenomeno socio-economico

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Coworking a Milano, in quale modo tale fenomeno socio-economico e lavorativo ha cambiato il capoluogo lombardo negli ultimi dieci anni?

Sebbene sia un fenomeno piuttosto recente in Italia, il coworking è riuscito a diffondersi nei maggiori capoluoghi di provincia interessando gruppi di giovani liberi professionisti, i quali scelgono di lavorare condividendo uno spazio comune all’interno di una  struttura.

In realtà, bisognerebbe distinguere due categorie di liberi professionisti; la prima raccoglierebbe figure “tradizionali” come l’architetto, l’avvocato o l’ingegnere, cioè quelle regolamentate dall’iscrizione presso un ordine,  poi ci sarebbero le “nuove professioni” legate all’ambito dell’informatica e della comunicazione, alle quali basta un semplice computer portatile per lavorare: il blogger, il web master, il web architecture e il social media manager.

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 Si tratta di un nuovo modo di pensare al telelavoro senza dimenticarsi della dimensione sociale dell’essere umano; così, anziché essere in modalità smart working dalla propria dimora, si può optare per affittare una postazione computer per una giornata e ricevere il cliente in uno spazio fornito di materiale per l’ufficio e connesso ad Internet.

Le origini del fenomeno del coworking: come ripensare al lavoro davanti ai cambiamenti tecnologici e alla crisi economica

Benché si tratti di un fenomeno tipico della cultura anglosassone, il coworking è arrivato anche in Italia e, secondo il parere della dottoressa di ricerca in Comunicazione e Filosofia del linguaggio  Monica Pasquino (il quale è espresso nell’articolo scientifico Necessità delle coalizioni. Il coworking come soluzione e problema del Quinto Stato,  contenuto nel quindicesimo numero della rivista Alternative per il socialismo del 2012), rappresenterebbe l’esito delle politiche di austerity causate dalla Crisi economica del 2008 e del tentativo di cancellare quella demarcazione netta fra la sfera pubblica e privata. La studiosa sostiene la tesi che i giovani abbiano individuato dei nuovi obiettivi nel mondo del lavoro contemporaneo: l’autodeterminazione, l’autoproduzione e l’auto-reddito; si tratta di tre traguardi che interessano chi svolge una libera professione.

Inoltre, lavorare in uno spazio di coworking può risultare anche vantaggioso per diversi motivi. La docente di Sociologia economica dell’Università degli studi di Milano-Bicocca Alberta Andreotti descrive tale spazio (attraverso le righe del suo articolo scientifico La ridefinizione degli spazi e dei luoghi del lavoro: il caso dei coworking, contenuto nell’opera Sviluppo Urbano e politiche per la qualità della vita del docente di Sociologia dell’ambiente e del territorio Giampaolo Nuvolati del 2018) come “un luogo di aggregazione sociale” in cui una startup può facilmente nascere a causa dell’incontro tra professioni diverse. 

Il Coworking a Milano, l’analisi del fenomeno secondo la professoressa Andreotti

Una città che si dimostra tra le più volte innovative in Italia è proprio Milano, la quale conobbe codesto fenomeno più di dieci anni fa.

La professoressa Andreotti afferma che gran parte di questi spazi lavorativi sono diffusi in aree periferiche come i quartieri settentrionali di Lambrate, Isola, Sarpi oppure quelli sud-occidentali come Navigli e Tortora,  ciò permise alle aree industriali dismesse di conoscere una seconda vita. In realtà, analizzando la ricerca della sociologa, emerge una notevole differenza fra i fruitori degli spazi di coworking nel capoluogo lombardo, i quali possono essere divisi in tre gruppi.

Il primo comprende i “lavoratori di passaggio” i quali, pur di risparmiare sull’affitto di un ufficio, scelgono uno spazio cogestito e condiviso; invece, segue un secondo gruppo di giovani professionisti e studenti universitari, i quali considerano il coworking come un’occasione di socializzazione e di condivisione di competenze e conoscenze. Infine, esiste una terza categoria che comprende tutti coloro che svolgono la medesima professione e si ritrovano in uno spazio di coworking destinato solo a quel mestiere.  Andreotti cita il caso di Collettivo Virale, uno spazio di coworking milanese rivolto ad una specifica utenza, ossia tutti gli esperti del settore della comunicazione.

In realtà, dietro al successo dei gestori di questi spazi c’è anche la volontà dell’amministrazione comunale della città meneghina di avviare un piano per la nascita di una smart city.

La volontà dell’amministrazione comunale di ascoltare le esigenze dei privati

In primis, come illustrato dalla professoressa universitaria, tra il 2011 e il 2012, l’amministrazione cittadina incontrò i gestori degli spazi di coworking e, dopo aver ascoltato le loro motivazioni, decise di sostenerli direttamente attraverso la pubblicazione di bandi per aprire nuovi spazi e il finanziamento comunale, anziché inaugurare uno spazio di coworking gestito dal comune stesso.

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Quindi, possiamo sostenere il coworking perché rappresenterebbe il ripensare al mondo del lavoro davanti ai cambiamenti della società e dell’economia.

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Fonte immagine di copertina: Pixabay



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