così la nuova crisi del gas arriva alle famiglie

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Questa non ci voleva proprio: una nuova crisi del gas saluta un 2025 che già di per sé è pieno di incognite e preoccupazioni anche per l’economia italiana, in netto rallentamento. Crisi forse è una parola eccessiva, ne abbiamo viste di peggio e oggi a differenza dal 2022 i serbatoi sono pieni. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha tranquillizzato tutti sulle scorte, ma il problema oggi è il prezzo e su questo “c’è massima attenzione” dice ancora il ministro. Ci mancherebbe altro. Oggi c’è attenzione, ma ieri e l’altro ieri? Non era chiaro a tutti, anzi non era stato annunciato che Gazprom avrebbe interrotto il flusso attraverso l’Ucraina? È vero, il metano siberiano oggi conta molto poco per l’Italia e per l’Europa occidentale, ma per com’è fatto il mercato e per com’è costruito il meccanismo dei prezzi, non è il costo medio, ma quello marginale a dettare legge.



Dopo lo scoppio della vera grande crisi, dopo la pandemia e soprattutto l’invasione dell’Ucraina, ci hanno pensato Claudio Descalzi, capo dell’Eni, e Roberto Cingolani, ministro dell’Ambiente del Governo Draghi. Con grande efficienza e determinazione hanno sostituito il gas russo e non siamo rimasti al freddo. Oggi importiamo soprattutto dall’Algeria (25 miliardi di metri cubi secondo gli ultimi dati ufficiali del 2023), dall’Azerbaijan (10 miliardi), dal Qatar (6 miliardi) e dalla Norvegia (4 miliardi), dalla Russia appena 2 miliardi. Il 2024 non cambia di molto questi flussi. Con la fine dell’accordo transito dall’Ucraina, l’Unione Europea stima che mancheranno nell’insieme 14 miliardi di metri cubi che sono facilmente rimpiazzabili. Tuttavia il buco, per quanto piccolo, ha fatto salire i prezzi, i quali non erano mai tornati ai livelli precedenti la crisi. Nel 2021, mentre Putin preparava l’invasione, erano di 20 euro a megawattora, sono schizzati a 300, l’anno scorso sono scesi a 45 euro, tuttavia il prezzo medio in questi anni è stato di 64 euro, che equivalgono a 0,6 centesimi al metro cubo. Siccome importiamo in media 66 miliardi di metri cubi l’anno, la bolletta del gas è pari a 44 miliardi di euro. Il rischio è che ora si arrivi oltre gli 80. Costi trasferiti sulle famiglie e sulle imprese.

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L’Arera ha detto che a dicembre la bolletta è salita del 2,5% per i clienti vulnerabili, arrivando a 47,5 euro; nel primo trimestre dell’anno l’autorità calcola un incremento medio del 18,2% per chi è rimasto a prezzo fisso. L’invito è di entrare nel carosello del mercato liberalizzato, ma per molti, soprattutto gli anziani, hic sunt leones: si finisce per diventare birilli scambiati dall’uno all’altro. L’Arera vigila, certamente, ma per aprire lo sportello del consumatore ci vuole il piede di porco. Alla fin della fiera il risparmio è marginale se messo insieme alla complicazioni del tutto, al rischio truffe, a un mercato che più che libero è sregolato.



Il meccanismo del prezzo è micidiale fin dall’inizio, sin dall’esoterica sigla TTF, i future che si trattano ad Amsterdam. La chiusura venerdì 3 è stata a 49,622 per il febbraio prossimo. Dunque il punto di riferimento è attorno a 50 euro, come si vede superiore di 2,5 euro rispetto alle quotazioni pubblicate dall’Arera. Pichetto Fratin vuole agire sul mitico price cap: durante la grande crisi era a 180 euro, adesso secondo il ministro dovrebbe scendere a 50-60 euro. Sarebbe comunque superiore agli attuali valori di mercato, mettendo così un limite alle operazioni speculative, ma funzionerà?

Senza riaprire la querelle sul controllo dei prezzi, forse bisognerebbe ripensare a un meccanismo che lega il prezzo alla quotazione del future e offre un enorme vantaggio solo ai produttori, mettendo i consumatori alla loro mercé. Secondo una logica di mercato puro, domanda e offerta si debbono incontrare senza che ci sia un privilegio dell’uno o dell’altro attore, ancor più se, come scrivono i libri di testo, tutto parte dal consumatore. Se ne è discusso molto nel 2022 in sede europea e si è scelto il tetto per non entrare in un meccanismo difeso strenuamente da Paesi come l’Olanda e la Norvegia. Ma il price cap non riduce la volatilità al margine nemmeno se scende ai 50 euro che oggi fanno il prezzo ad Amsterdam.

Abbiamo usato la parola crisi anche se la difficoltà attuale non è paragonabile con quella del 2022. Tuttavia se allarghiamo lo sguardo agli effetti derivati può non essere una definizione eccessiva. C’è l’allarme ovvio delle industrie energivore (siderurgia, carta, chimica, ad esempio). Nel loro caso l’impatto è diretto e immediato. Sono settori in difficoltà, compreso l’acciaio che in Italia è diviso in due gradi campi: quello dei forni elettrici e degli acciai speciali che ha fatto grandi balzi avanti diventando un leader europeo; e quello degli altiforni, quello dell’Ilva di Taranto, per intenderci, che ha perso oltre la metà della sua capacità produttiva. La botta del gas può mettere in difficoltà chi non lo è e diventare micidiale sul risanamento dell’Ilva i cui costi ricadono sostanzialmente sul Tesoro.

Non fasciamoci la testa, ma certo il ministro Pichetto Fratin non ci ha tranquillizzato affatto.

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