«Così con la mia tesi salvai Bosco Faito, ma adesso va valorizzato»

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Pietro Salomone, 44enne di Ceccano, è il botanico che salvò Bosco Faito vent’anni fa con una tesi di laurea. Lo studio floristico, presentato il 7 novembre 2003, è stato il trampolino di lancio verso il riconoscimento come monumento naturale regionale dal 2009. Infiammò anche la protesta degli ambientalisti contro l’abbattimento del bosco di Ceccano e la realizzazione di un mega polo commerciale. Il progetto privato di “cementificazione” fu autorizzato dalla Regione nell’aprile 2005 e ottenne il nulla osta urbanistico e paesaggistico dal Comune, oggi sconvolto dagli arresti per presunte tangenti in cambio di appalti. I primi tagli, risalenti all’anno prima, sono stati documentati anche dal “Centro studi Tolerus” e dall’associazione “IndieGesta”. La tesi di laurea di Salomone portò alla formazione di un gruppo di lavoro con il relatore Ettore Orsomundo, docente di geobotanica all’università di Camerino, e altri quattro collaboratori: l’ornitologo e micologo Paolo Fusacchia, i ricercatori Federico Maria Tardella e Domenico Lucarini, e il geologo Ivan Coccarelli. Hanno contribuito anche due storici locali, Carlo Cristofanilli e Tommaso Bartoli.

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Come nasce l’idea della tesi?

«Da un’esigenza pratica, la necessità di individuare un soggetto adeguato alla tesi di laurea in scienze naturali. Tuttavia, quell’interesse casuale si trasformò rapidamente in una passione profonda per l’ecosistema unico del Bosco Faito».

Per colpa del progetto privato?

«Sì, minacciava di compromettere l’integrità del prezioso habitat naturale. Una contraddizione tra la valorizzazione economica e l’importanza ecologica. Suscitò in me una curiosità crescente. Decisi di approfondire le potenzialità dal punto di vista scientifico a partire dal 2002. Il professor Orsomando continuò a frequentare il Bosco Faito, organizzando ulteriori ricerche ed escursioni degli studenti del corso di scienze naturali. Momenti contribuirono a consolidare l’eredità scientifica e formativa dell’area».

Ci parli del primo sopralluogo.

«Coinvolse anche i ricercatori Tardella e Lucarini. L’impatto visivo ed emotivo lasciò tutti senza parole, in particolare davanti all’imponente faggio della sorgente. Questo albero, di dimensioni maestose, rappresentava una sorpresa straordinaria. Il faggio è tipico delle aree montane e la sua presenza in un contesto planiziale, a pochi chilometri da Roma, era un fenomeno eccezionale».

A cosa portarono le ricerche successive?

«Alla scoperta di altre specie floristiche di rilievo naturalistico, spesso associate ad ambienti montani, ed emergenze botaniche come le orchidee selvatiche. Il bosco si rivelò una foresta planiziale di importanza unica, immersa in un contesto urbano e industrializzato».

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È l’unione ha fatto la forza?

«Sì, le sinergie permisero di costruire una visione integrata dell’area, arricchendo la ricerca con prospettive multidisciplinari. L’entusiasmo generato dalla tesi di laurea spinse alla costituzione di un gruppo di lavoro che portò alla stesura di un libro che consentisse a chiunque di avvicinarsi a questa realtà locale. La presentazione del volume a Ceccano fu un evento significativo che accese ancora di più i riflettori sull’importanza di Faito come patrimonio da proteggere».

Un polmone verde ferito ancora oggi…

«L’eredità del gruppo di ricerca è un punto di riferimento cruciale per la conservazione del sito. Tuttavia, è necessario un cambio di passo. Le normative europee, nazionali e regionali offrono linee guida preziose per una gestione sostenibile, ma è fondamentale istruire una classe politica capace di comprenderne il valore e agire di conseguenza».

Cosa propone per Bosco Faito chi lo salvò?

«Merita di essere valorizzato e protetto non solo per il valore intrinseco, ma anche per il beneficio alle generazioni future. La conservazione rappresenta un impegno verso biodiversità, sostenibilità e patrimonio culturale di un territorio che può continuare a sorprendere e affascinare. Con un’azione concertata e una visione lungimirante, può essere ancora un simbolo di equilibrio tra natura e sviluppo».

Marco Barzelli

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