Le dinamiche della politica internazionale non sono mai semplici, ma alcuni episodi sembrano rivelarne con particolare chiarezza i nodi più complessi. Il recente caso della giornalista italiana Cecilia Sala[1], arrestata in Iran, e del cittadino iraniano-svizzero Mohammad Abedini, detenuto in Italia su richiesta degli Stati Uniti, è uno di questi. Più che una questione circoscritta, esso si presta come metafora delle crescenti limitazioni alla sovranità nazionale, soprattutto in Paesi come l’Italia, situati al crocevia delle pressioni geopolitiche.
Il 16 dicembre 2024, Mohammad Abedini, ingegnere iraniano-svizzero, è stato arrestato a Milano, all’aeroporto di Malpensa, su richiesta degli Stati Uniti, accusato di essere una figura chiave nello sviluppo della tecnologia per droni iraniani. Tre giorni dopo, a Teheran, la giornalista Cecilia Sala viene fermata per presunte violazioni della legge iraniana.
Pochi giorni fa, le autorità iraniane hanno implicitamente confermato ciò che molti analisti sospettavano, lasciandolo intendere fra le righe di un comunicato[2]: l’arresto di Sala è legato a quello di Abedini, un modo per fare pressioni sull’Italia e per spingerla a rilasciare il prima possibile l’ingegnere iraniano.
Lo Stato come nodo, non più sovrano
Il caso Sala-Abedini è un esempio paradigmatico di come la sovranità nazionale sia oggi un concetto sempre più sfumato. In un sistema internazionale dominato da alleanze asimmetriche e pressioni economiche, molte nazioni (come l’Italia in questo caso) si trovano ridotte al ruolo di meri nodi di un sistema più grande, incapaci di agire in modo indipendente.
Le discussioni sul “vincolo esterno”[3], termine reso celebre in Italia negli anni ’90 durante il dibattito sull’adesione ai parametri europei di Maastricht, devono tornare centrali nel dibattito pubblico.
Col termine “vincolo esterno” si descrive la situazione in cui uno Stato accetta limiti imposti da attori esterni, nella speranza di ottenere stabilità o legittimità internazionale. Ma cosa accade quando questi vincoli portano le scelte strategiche di uno Stato a essere prese altrove? Quale margine di autonomia rimane a una democrazia, quando è limitata da innumerevoli vincoli esterni?
Lucio Caracciolo[4] ha così definito il vincolo esterno:
Vincolo esterno molto semplicemente significa: noi italiani non siamo capaci di fare le cose giuste, noi italiani non siamo capaci di governarci; ci pensino gli altri, affidiamoci agli altri, vincoliamoci all’esterno. […] Ma allora la questione diventa molto seria: che senso ha avere uno Stato? Che senso ha avere una Repubblica, se questo Stato, questa Repubblica, non sono capaci per autodefinizione di reggersi e di governarsi?[5]
Riprendendo quindi le sue parole: che senso ha avere uno Stato? Che senso ha una Repubblica democratica se non può autogovernarsi?
Oltre la diplomazia: sovranità in crisi
La subordinazione non si limita al campo geopolitico e diplomatico. Se allarghiamo il punto di vista oltre al caso Sala-Abedini, possiamo notare come i governi nazionali (specialmente quelli europei) siano spesso ostaggio non solo di potenze estere, ma anche di gruppi di potere finanziari o industriali. Dalla vendita di asset strategici a gruppi stranieri alla dipendenza da infrastrutture tecnologiche gestite da multinazionali, la perdita di autonomia è una realtà che permea potenzialmente ogni ambito della politica moderna.
In un contesto internazionale che si fa sempre più “caldo”, dovrebbe diventare prioritario per la politica nazionale tornare ad agire nell’interesse del proprio territorio e dei proprio cittadini evitando di subordinare decisioni diplomatiche e strategiche agli interessi di attori terzi.
Episodi come questo possono (e forse devono) offrirci l’occasione per riflettere su come far tornare la politica nazionale non solo una mera gestione della contingenza, ma lo strumento capace di attuare progetti di lungo respiro e in grado di immaginare autonomamente un proprio futuro.
La domanda, allora, non è solo come affrontare casi specifici, ma come ripensare il ruolo dello Stato in un mondo interconnesso. Possiamo davvero accettare che le decisioni strategiche siano prese altrove? E soprattutto: è possibile immaginare un futuro in cui autonomia e interdipendenza non siano in conflitto, ma in un bilanciato equilibrio multipolare? Forse è proprio questa la sfida più urgente per la politica moderna: sapersi riprogrammare e farlo in fretta.
[1] Giornalista italiana, firma de Il Foglio e creatrice di contenuti per Chora Media
[2] Si fa qui riferimento alla nota dell’ambasciata della Repubblica islamica in Italia pubblicata dopo la convocazione alla Farnesina dell’ambasciatore Mohammad Reza Sabouri, pubblicata su X nella mattina di giovedì 2 gennaio 2025
[3] La teoria del “vincolo esterno” è stata formulata da Guido Carli, Governatore della Banca d’Italia dal 1960 al 1975 e Ministro del Tesoro dal 1989 al 1992, divenuta celebre durante il dibattito sull’adesione dell’Italia ai parametri di Maastricht anche grazie a figure politiche rilevanti nei primi anni ’90, come Ciampi e Andreatta.
[4] Uno fra i più riconosciuti analisti geopolitici in Italia, giornalista e fondatore/direttore della rivista Limes.
[5] Citazione estrapolata da la lezione video “Vincolo Esterno”, registrata da Lucio Caracciolo per la società Dante Alighieri in occasione del progetto “Enciclopedia Infinita”.
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