Uno Bianca, le nuove indagini per trovare i complici dei fratelli Savi: «Impronte, intercettazioni e dna per svelare il mistero»

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di
Andreina Baccaro

L’anniversario della Strage del Pilastro nella quale vennero uccisi tre carabinieri: un nuovo filone d’indagine punta a dare risposte sulla verità giudiziaria che ancora non è riuscita a risolvere tutti i punti oscuri

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Trentaquattro anni fa i tre giovani carabinieri Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini, venivano trucidati dal fuoco dei fratelli Savi. Oggi, come da 34 anni, in via Casini al Pilastro ci sarà la commemorazione di quel terribile eccidio, dopo la messa celebrata, alle 10, nella chiesa di Santa Caterina dal cardinale Matteo Maria Zuppi. 

Ma quest’anno c’è una speranza in più nei familiari che da più trent’anni, dopo aver visto condannare all’ergastolo i responsabili del massacro, attendono di sapere la verità anche sui tanti punti oscuri che la verità giudiziaria non è ancora riuscita a risolvere.




















































Uno Bianca, le nuove indagini per scoprire i complici

Da ormai un anno e mezzo la Procura di Bologna, con il pm Andrea De Feis e la procuratrice aggiunta Lucia Russo, ha dato nuovo impulso alle indagini che puntano una volta per tutte a scoprire se ci furono complicità di cui la banda della Uno Bianca potè godere. Il fascicolo, su cui la magistratura osserva il più stretto riserbo, è aperto per concorso in omicidio, dopo che i familiari delle vittime, assistiti dagli avvocati Alessandro Gamberini e Luca Moser, hanno presentato un esposto di 250 pagine. 

Ma un fascicolo conoscitivo era già stato aperto in Procura nel 2021 sull’esposto del giornalista Massimiliano Mazzanti, che ha recuperato documenti che dimostrano come gli inquirenti sapessero già dal ‘91 che Fabio Savi, fratello di due poliziotti, possedeva un fucile della stessa marca e calibro di quello che aveva sparato al Pilastro il 4 gennaio.

Adesso però le indagini si stanno concentrando soprattutto sulla figura dell’allora carabiniere in forza al nucleo operativo Domenico Macauda e sull’eccidio di Castel Maggiore, nel quale, ad aprile 1988, furono uccisi i carabinieri Cataldo Stasi e Umberto Erriu. É quello l’anello debole nella catena di incredibili errori, se non depistaggi, di cui la banda poté godere per restare impunita a lungo. 

La Strage del Pilastro e il giorno del ricordo

La Procura, che ha affidato deleghe a Digos e Ros, sta risentendo diversi testimoni dell’epoca, rianalizzando vecchi reperti con nuove strumentazioni tecniche ma ci sono anche nuovi esami in corso su impronte digitali e tracce biologiche su cui si cerca dna. 

Soprattutto ci sono attività tecniche in corso. L’obiettivo è individuare complicità di cui la banda, ne sono certi gli avvocati Gamberini e Moser, godette all’interno dell’Arma o dei servizi segreti. 

Perché altrimenti Domenico Macauda avrebbe depistato le indagini su Castel Maggiore, dopo aver limato il cane della sua pistola? Perché sapeva che l’Arma aveva ordinato una perizia balistica sulle armi in uso ai suoi carabinieri e perché già nell’88 dubitava di se stessa? Domande a cui, è la speranza dei familiari, forse è arrivato il momento di dare una risposta.

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Le 24 vittime dei fratelli Savi e i 120 feriti

La banda tra il 1987 e il 1994 uccise 24 persone e ne ferì più di 120. Alla deposizione delle corone al cippo in via Casini, insieme all’Associazione dei familiari delle vittime della Uno Bianca, alla Legione dei carabinieri Emilia-Romagna, ci saranno il sindaco Matteo Lepore e l’assessora regionale alle Politiche sociali Isabella Conti. 

Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele de Pascale, ha sottolineato quanto sia «doveroso commemorare il sacrificio di tre giovanissimi servitori dello Stato, uccisi vigliaccamente mentre non facevano altro che il proprio dovere».

Il Comune ha fatto sapere che dopo la cerimonia il sindaco e i rappresentanti dell’Arma effettueranno un sopralluogo nella vicina caserma tra le vie Casini e Pirandello: il Comune ha recentemente consegnato allo Stato l’immobile, sottoscrivendo in Prefettura il contratto che prevede il passaggio dell’edificio per 9 anni al Ministero della Difesa. All’iter per l’apertura della nuova caserma manca solo una ultima autorizzazione da parte del Ministero.

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