Siria nel caos: guerra, intrighi internazionali e una pace che non arriva (Jalel Lahbib)

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La Siria continua a essere teatro di una complessa crisi politica e militare. Dal rovesciamento del regime di Bashar al-Assad, il paese è precipitato in una spirale di conflitti tribali e settari che vede protagonisti gruppi armati locali, potenze regionali e attori internazionali. Il periodo tra il 30 dicembre 2024 e il 2 gennaio 2025 non ha visto cambiamenti significativi sulle linee del fronte, ma le tensioni e le dinamiche di potere si sono intensificate in diverse aree.

Nel nord della provincia di Aleppo, le tensioni tra le “Forze democratiche siriane” (SDF) appoggiate dagli Stati Uniti e prevalentemente curde, e i gruppi filo-turchi dell“Esercito nazionale siriano” (SNA) sono rimaste alte. I combattimenti a basso livello nell’area della diga di Tishrin e del ponte Kara-Kuzak, situati all’incrocio tra Menbij e Ain al-Araba, riflettono una situazione di stallo. Nonostante l’assenza di progressi sul campo, alcune fonti riportano negoziati in corso tra i rappresentanti curdi e il governo di Damasco guidato da Abu Muhammad al-Julani, leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Media curdi indicano un avanzamento positivo del dialogo, ma l’esito rimane incerto.

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Le zone di Latakia, Tartus e Homs sono state teatro di intense attività militari contro la resistenza popolare da parte del gruppo terroristico islamico HTS ironicamete denominate: “operazioni di contro-terrorismo”. Queste operazioni, ufficialmente mirate a smantellare cellule legate al precedente regime di Assad, spesso si traducono in attacchi contro civili alawiti e comunità cristiane sospettati di simpatizzare con il vecchio governo. Le incursioni hanno un carattere brutale e hanno alimentato tensioni settarie. HTS, che é presentato dai media occidentali come promotore di un “Islam moderato”, dimostra nei fatti di essere un attore spietato, pronto a consolidare il proprio potere con la violenza.

Nel sud, le forze israeliane continuano a espandere il controllo oltre le alture del Golan occupate. La città di El Quneitra, caduta l’8 dicembre, è diventata un centro strategico per le operazioni israeliane. Qui, le truppe hanno preso il controllo degli uffici governativi e forzato la popolazione locale a deporre le armi. Nonostante alcuni episodi di collaborazione, la maggioranza della popolazione manifesta una resistenza passiva. L’obiettivo strategico israeliano sembra essere di inglobare questi territori siriani ad Israele e trasformarli in nuove terre per i coloni israeliani ma questa espansione rischia di esacerbare ulteriormente le tensioni con le comunità locali e i paesi vicini.

Nella provincia di Deir ez-Zor, sulla riva destra dell’Eufrate, HTS ha imposto un ordine rigido, mentre le SDF arabe mantengono il controllo sulla riva sinistra. Le due parti sembrano rispettare uno status quo non ufficiale, evitando conflitti diretti. Tuttavia, la regione è minacciata dalla rinascita del DAESH “Stato Islamico” (IS). La caduta del governo di Assad ha portato al rilascio di migliaia di detenuti, molti dei quali si sono uniti ai ranghi dell’IS, alimentando un nuovo ciclo di violenza. L’afflusso di volontari suggerisce un tentativo di riorganizzazione del califfato, che rappresenta una minaccia per tutte le fazioni presenti sul territorio. Il DAESH ha come nemico numero uno il HTS nonostante che ambe due siano organizzazioni terroristiche islamiche wabbabite.

Il panorama politico della Siria post-Assad rimane altamente instabile. Le dichiarazioni di inclusività e diversità da parte del nuovo governo guidato dai terroristi HTS si rivelano perlopiù retorica propagandistica. Le principali posizioni di potere sono occupate da veterani di al-Qaeda, ex membri dell’IS e rappresentanti di gruppi stranieri come il Partito Islamico del Turkestan (IPT). Questa configurazione riflette una distribuzione del potere che privilegia i gruppi più radicali e riduce al minimo la rappresentanza delle comunità locali.

La situazione siriana continua a essere plasmata dagli interessi contrapposti di attori regionali e internazionali. Paesi come Turchia, Iran, Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Francia sostengono diversi gruppi armati, alimentando un conflitto che sembra non avere fine. Israele, approfittando del caos, ha ampliato il proprio controllo territoriale, mentre gli Stati Uniti continuano a sfruttare le risorse petrolifere nelle aree orientali del paese, in particolare al confine con l’Iraq. Questo sfruttamento è percepito come un atto di saccheggio che aggrava ulteriormente la sofferenza della popolazione locale.

L’instabilità in Siria rischia di trasformarsi in un boomerang per Israele e Stati Uniti. L’espansione israeliana e il controllo statunitense delle risorse naturali alimentano il risentimento delle comunità locali e delle fazioni armate. Nel lungo termine, queste politiche potrebbero portare a un aumento delle minacce alla sicurezza interna di questi due Paesi e alla stabilità regionale. Inoltre, l’assenza di un governo centrale forte lascia spazio a conflitti tribali e settari che potrebbero estendersi ai paesi vicini, destabilizzando ulteriormente l’intera regione.

La situazione siriana presenta molte analogie con altri casi di cambiamento di regime, come in Libia e Iraq. In tutti questi contesti, la rimozione di un governo centrale forte ha portato a guerre civili prolungate, con signori della guerra e gruppi terroristici in competizione per il potere. La promessa di un governo di unità nazionale sotto la guida di HTS e di uno “Stato islamico moderato” si rivela essere più propaganda occidentale che realtà. La Siria è ora un mosaico di territori controllati da fazioni diverse, ognuna delle quali cerca di consolidare il proprio potere con il sostegno di attori esterni.

Il futuro della Siria appare cupo. La mancanza di una visione politica condivisa e il continuo coinvolgimento di attori esterni rendono improbabile una soluzione pacifica a breve termine. Tuttavia, il crescente malcontento popolare e le difficoltà logistiche che i gruppi armati devono affrontare potrebbero spingere verso un ripensamento delle strategie attuali. Solo un approccio inclusivo e una reale volontà di mediazione da parte delle potenze regionali e internazionali potranno offrire una speranza di stabilità per il paese.

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In conclusione, la Siria rimane intrappolata in un circolo vizioso di violenza e instabilità, con le sofferenze della popolazione civile che continuano a crescere. La comunità internazionale deve riconoscere che il caos attuale è il risultato di scelte politiche sbagliate e agire per evitare che il conflitto si trasformi in una crisi umanitaria ancora più profonda.

Jalel Lahbib



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