Le due gerarchie e il livello riservato della ‘ndrangheta. Il pentito racconta il potere del defunto boss Rocco Molè: «Era un massone»

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 


GIOIA TAURO Parla di «due gerarchie» all’interno della ‘ndrangheta, di «un livello riservato» e della figura di Rocco Molè descritto come «un massone» e una persona «di alto livello», il capo clan dell’omonima cosca ucciso in un agguato il primo febbraio del 2008. Un omicidio che rappresenta uno spartiacque nella storia criminale della Piana di Gioia Tauro dove a dettare regole ci sono anche i Piromalli. 
«Con il Molè avevo un rapporto filiale e serbavo verso di lui un timore reverenziale, gli davo del lei anche se lui mi diceva di dargli del tu. Tutte le volte che mi invitano a casa loro andavo, anche se, specie dal 2006 al 2008, il rapporto si era intensificato e mi ritrovavo spesso a casa loro omissis». Il racconto arriva dal collaboratore di giustizia Domenico Ficarra, detto “Corona”, classe ’84, che durante gli interrogatori resi davanti ai magistrati delle procure antimafia di Reggio Calabria e Milano traccia una descrizione dettagliata della figura di Molè senior e dei rapporti che aveva intessuto pur non essendo mai stato “battezzato”. Ficarra, che si definisce «sempre a disposizione della famiglia Molè» di Gioia Tauro, ai pm racconta di aver conosciuto «benissimo Rocco Molè, ucciso nel 2008» e di esserne stato «a completa disposizione». «Fino al 2008 e, in particolare, fino all’omicidio di Rocco Molè, io sono vissuto a Gioia Tauro vicino ai Molè e godevo della loro completa fiducia», racconta il collaboratore di giustizia che precisa di non essere «formalmente affiliato» alla ‘ndrangheta «nel senso che non ho partecipato ad un rito di affiliazione, ma sono cresciuto da sempre nella famiglia Molè».

LEGGI ANCHE: «Oltre 300 chili di cocaina “pescati” dai sub». I traffici al porto di Gioia nei racconti di Ficarra: «Da sempre al servizio dei Molè»

Le due gerarchie nella ‘ndrangheta e il livello riservato

«Ci sono due gerarchie, in che senso, come lo so? le ho vissute, no?. Allora, una volta, quando io forse ancora ero piccolo, quando non frequentavo che avevo tredici, quattordici, quindi anni, perché fino a quindi anni non è che io frequentavo questi posti qua, forse esisteva la ‘ndrangheta quella di un certo livello, l’affiliazione, la., il taglio del dito…». «Poi quando io ho frequentato queste., queste persone, operando anche per loro, no?, eh., io ero al servizio di Rocco Molè il grande, ero sempre lì dalla mattina alla sera, eh., non c’è stato più quella cosa, tipo quando mi sono trasferito…». E riguardo al fatto che, secondo il collaboratore, esisterebbero due gerarchie all’interno della ‘ndrangheta, su richiesta dei pm Ficarra diventa ancora più specifico: «Quelli che valgono di meno, che., che., che contano poco, che ancora son rimasti col capretto e co., con la mangiata e con la cosa fanno queste cose qua, il battezzo eh., le famiglie di un certo livello, come Piromalli, come Mole, come Pesce, come Bellocco, i capi veri che ho frequentato io non hanno, in questo ultimo periodo, le nuove gerarchie, le nuove leve, non usano questa cosa qua».
Non solo gerarchie, ma anche un livello riservato: «So che esisteva anche un livello riservato della ‘nadrangheta, sapevo che Rocco Molè era un massone, era una persona di alto livello, faceva ritrovare armi omissis mettendo armi in un posto e chiamando anonimamente un ufficio di Polizia per farle ritrovare. Rocco nel 2006 aveva avuto dei permessi per andare a Roma omissis», afferma Ficarra.

Prestito personale

Delibera veloce

 

I telefoni criptati per parlare di armi e droga

Il collaboratore di giustizia nel corso degli interrogatori parla degli affari della cosca, dei traffici dal porto di Gioia Tauro e del modus operandi dello stesso Molè. In particolare, Ficarra, che racconta di aver consegnato a Gioia Tauro 21 cellulari criptati ritirati a casa della madre dallo stesso capo clan, afferma: «Ho visto usare molte volte a Rocco Molè questi telefoni, in pratica li usava 24 ore al giorno per chattare, e li utilizzava solo per parlare di droga ed armi, come avevo modo di vedere personalmente mentre li usava; addirittura come ho avuto modo di vedere arrivavano foto della droga e dei numeri di container nonché foto di armi. Lui utilizzava questi telefono con il nome “mostro”, omissis Rocco chattava , ed a volte mandava e riceveva messaggi vocali». Un potere a tutto campo, quello di Rocco Molè, tuttavia destinato a finire. Culmina con un agguato in pieno stile mafioso il primo febbraio 2008. (m.ripolo@corrierecal.it)

Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link