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JIMMY CARTER E GLI ACCORDI DI CAMP DAVID

Il 9 gennaio gli Stati Uniti osserveranno una giornata di lutto nazionale il 9 gennaio in onore dell’ex presidente Jimmy Carter, morto  lo scorso 29 dicembre all’età di 100 anni. E’ stato forse  il Presidente meno amato e più sottovalutato. Ingiustamente

James Earl Carter Jr., detto Jimmy (1924 –2024), è stato il trentanovesimo Presidente degli Stati Uniti d’America (1977–1981), dopo essere stato Governatore della Georgia (1971–1975). Da vero outsider ha vinto la nomination democratica per le elezioni del 1976, dove ha sconfitto il presidente repubblicano in carica, Gerald Ford. Carter è stato insignito nel 2002 del premio Nobel per la pace.

Queste le motivazioni del premio riportate dalla commissione norvegese del premio: «Il Comitato norvegese dei Nobel ha deciso di assegnare il premio Nobel per la Pace per il 2002 a Jimmy Carter, per i decenni di sforzi incessanti dedicati alla ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, all’avanzamento della democrazia e dei diritti umani, e alla promozione dello sviluppo sociale ed economico. Nel corso della sua presidenza (1977-1981), la mediazione di Carter fu un contributo vitale agli accordi di Camp David fra Israele ed Egitto, di per sé un successo sufficiente a meritare il Nobel per la Pace. Quando la Guerra Fredda fra Est ed Ovest era ancora dominante, Carter pose un’enfasi rinnovata sul ruolo dei diritti umani nella politica internazionale». […].
Il terzo ed ultimo paragrafo della motivazione è quello in cui si può leggere più chiaramente la strategia politica del Comitato Nobel, un messaggio diretto all’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush e ai suoi progetti, che pure il Comitato non cita mai, di offensiva in Iraq. «In una situazione come quella attuale, segnata dalle minacce dell’uso del potere, Carter è rimasto fedele ai principi secondo cui i conflitto devono per quanto possibile essere risolti attraverso la mediazione e la cooperazione internazionale basata sul diritto internazionale, il rispetto per i diritti umani e lo sviluppo economico».

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Nell’ambito dei conflitti arabo-israeliani, gli Accordi di Camp David sono stati accordi firmati dal presidente egiziano Anwar al-Sadat e dal primo ministro israeliano Menachem Begin il 17 settembre 1978, dopo dodici giorni di negoziati segreti a Camp David. Tali accordi sono stati firmati alla Casa Bianca sotto l’auspicio del presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter e hanno portato direttamente al trattato di pace israelo-egiziano del 1979. Gli accordi di Camp David sono due distinti trattati divisi in più capitoli.

Il primo accordo è diviso in tre parti. La prima è stata un programma quadro per istituire una autonoma autorità auto-disciplinante in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, ed attuare pienamente la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza ONU (si veda: https://www.treccani.it/enciclopedia/risoluzione-onu-242_(Dizionario-di-Storia)/). È meno chiaro riguardo agli accordi relativi al Sinai, ed è stato interpretato diversamente da Israele, Egitto, e dagli stessi Stati Uniti. Il destino di Gerusalemme, come avverrà in occasione degli accordi di Oslo del 1993, è stato deliberatamente escluso dall’ accordo. La seconda parte affronta le relazioni israelo-egiziane. La terza i “Principi associati” che devono applicarsi alle relazioni tra Israele e tutti i suoi vicini arabi.

Il secondo accordo delinea una base per il trattato di pace che sei mesi più tardi avrebbe deciso il futuro della penisola del Sinai. Israele aveva accettato di ritirare le sue forze armate dal Sinai, evacuare i suoi abitanti civili, ottenendo in cambio delle normali relazioni diplomatiche con l’Egitto, la garanzia della libertà di passaggio attraverso il canale di Suez e di altri corsi d’acqua nelle vicinanze e una restrizione sulle forze che l’Egitto avrebbe posto sulla penisola del Sinai, in particolare al limite di 20–40 km da Israele. Israele ha, altresì, convenuto di limitare le proprie forze ad una piccola distanza (3 km) dal confine egiziano e di garantire il libero passaggio tra l’Egitto e la Giordania. Con il ritiro, Israele ha perso Abu-Rudeis, campi petroliferi nella parte occidentale del Sinai.

La stipula di un trattato di pace tra l’Egitto ed Israele, che pone fine a trent’anni di ostilità (l’ultimo episodio bellico era stata la guerra del Kippur, avvenuta nel 1973) è un evento eccezionale aldilà di alcune direttive disattese e di alcune conseguenze non previste.

A Camp David furono adottati due documenti: il “Quadro per la pace in Medio Oriente” e il “Quadro per la conclusione di un trattato di pace tra Egitto ed Israele. Mentre quest’ultimo andò in porto (il trattato fu firmato a Washington il 26 marzo 1979), dopo una complessa seconda tornata negoziale tra Medio Oriente e Washington che necessitò di un difficile viaggio di Carter in Oriente dal 7 al 13 marzo 1979, il primo restò solo un documento programmatico. (si veda: https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-10/quo-243/camp-david-successo-o-fallimento.html).

Aldilà di una situazione geopolitica difficile con intricate storie di guerre, conflitti e sangue senza sosta, aldilà del fatto che forse noi occidentali non conosciamo e non conosceremo mai del tutto le dinamiche, gli interessi, le pressioni, e i credi dei soggetti in gioco, sicuramente questi accordi sono la prova che delle singole persone possono ancora fare la differenza, che essere rappresentanti e sostenitori della democrazia può fare la differenza, che la fede nella forza degli accordi pacifici e nella possibilità dell’uomo di trovare soluzioni “ragionate”, incide in maniera sostanziale.

Il 6 ottobre del 1981, al-Sadat venne assassinato da Khalid al-Islambuli, esponente di un’organizzazione terroristica riconducibile alla Jihad islamica egiziana, che intendeva punirlo per la pace stipulata con Israele, durante una parata militare al Cairo in occasione della commemorazione per l’inizio della guerra.

Menachem Wolfovitch Begin è stato primo ministro di Israele dal 1977 al 1983. A causa delle conseguenze della guerra in Libano, che si trascinerà sino al 2000, e della grave crisi economica caratterizzata da un’iperinflazione, nel 1983 rassegnò le dimissioni passando le redini al suo collega di partito Yitzhak Shamir. Un personaggio controverso con cui era difficile dialogare e costruire relazioni rispettabili e durature. Eppure, ci si era riusciti, e gli Accordi di Camp David, seppure nella loro non completezza e parziale applicazione, rappresentano uno dei momenti più significativi di pacificazione del Medio Oriente. In quel momento si è davvero potuto sperare nella pace, In un cambio di assetto geopolitico che portasse benefici a tutti e permettesse di guardare al futuro con maggiore serenità riuscendo ad eludere quel ripiegamento all’indietro e su sé stessi che, come un brutto serpente, risucchia verso il rancore e l’odio per tutti. L’odio porta alla guerra e la guerra alla morte di molti innocenti. L’odio uccide sempre, non sbaglia, si chiamò odio proprio per quello.

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Nel giorno della scomparsa di Jimmy Carter in cui si enumerano le tante cose che è riuscito a fare come presidente degli Stati Uniti, ricordare il suo ruolo nella stipula degli accordi di Camp David è dovuto. Proprio quel “lavoro” testimonia la sua bravura e la sua fede incrollabile nei processi democratici e attesta il suo miglior testamento politico.
Quello che successe a Camp David non può non far riflettere ancora adesso, proprio in questo momento in cui le zone che si era tentato di pacificare, sono di nuovo martoriate. Chi si ricorda i titoli dei telegiornali di quei giorni viene assalito dalla nostalgia della speranza che si respirava e chi non c’era deve colmare la sua assenza andando alla ricerca dei documenti dell’epoca e cercando di capire tutto quello che successe in quei giorni. Può essere utile a tutti come esercizio di comprensione e come testamento di un modo di fare politica che rimette la politica stessa tra le azioni maggiormente illuminate ed etiche che si possano intraprendere.

I testimoni dell’epoca documentano che il presidente Carter volle da subito un’atmosfera informale. Non c’era protocollo per i piazzamenti a tavola, non c’era un dress code (il presidente americano circolava in blue jeans), ma soprattutto non c’era la stampa, proprio per evitare che dichiarazioni improvvide dei partecipanti finissero per congelare le posizioni e impedire un negoziato sostanziale. L’intento di Carter riuscì solo in parte, nei dieci giorni finali del negoziato Sadat e Begin non si parlarono mai direttamente, benché le loro villette fossero affiancate. In alcuni momenti — ricorda lo stesso Carter — Sadat e Begin si affrontarono a muso duro (riguardo al confine internazionalmente riconosciuto e all’occupazione del territorio egiziano, come pure sullo sgombero dei coloni israeliani). In una fase drammatica, Sadat e Begin fecero per abbandonare la sala riunioni, Carter li rincorse sulla porta, sbarrando loro il passaggio, scongiurandoli di non rompere le trattative e di fidarsi di lui. In un altro momento, Sadat chiese addirittura un elicottero, pronto a ripartire. Alla fine, anche se non in tutta la loro interezza e potenziale portata, i trattati furono siglati dalle due parti. Quel lavoro di Carter resta ammirevole e se più tentativi in quel senso e in quella direzione fossero stati fatti, la situazione internazionale sarebbe sicuramente migliore.

Proprio per questo è importante ricordare il presidente Carter e salutarlo con molto rispetto. Per aver agito tentativi ammirevoli e per la determinazione con cui li ha perseguiti. Perché cose di questo tipo ed esempi di tale portata possano servire a farci ritrovare il senso della politica, quella vera che aiuta la gente, che non strilla, che non è volgare ma che prova con la massima onestà a lavorare verso una idea di pace. Grazie presidente Carter, buon viaggio.

Cover: Gli Accordi di Camp David, 17 settembre 1978 – (foto L’Osservatore Romano)

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Sociologa e valutatrice indipendente. Si occupa di politiche di welfare con una particolare attenzione al tema delle Pari Opportunità. Ha lavorato per alcuni dei più importanti enti pubblici italiani.



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