Dopo la strage di Capodanno, il Montenegro mette al bando le armi

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Nel paese col più alto tasso di armi in rapporto alla popolazione arriva una proposta di legge dopo che a Cetinje, nell’ultimo pomeriggio del 2024, un uomo ha ucciso 12 persone con una pistola detenuta illegalmente, per poi togliersi la vita. Previsti test psicoattitudinali, corsi di sicurezza e verifica obbligatoria della licenza

Sono giornate di lutto nazionale in Montenegro, dove dalla notte a cavallo tra martedì 31 dicembre e mercoledì 1° gennaio si piangono le dodici vittime della strage di Capodanno. Siamo a Cetinje, una quarantina di chilometri a ovest della capitale Podgorica, alle pendici del monte Lovcen: la furia omicida del 45enne Aco Martinović ha macchiato di sangue l’ultimo pomeriggio del 2024.

Secondo la ricostruzione della polizia montenegrina, l’uomo avrebbe aperto il fuoco all’impazzata contro gli avventori di un ristorante in periferia proseguendo poi il suo folle tour in altre zone della città: in tutto ha freddato un totale di sette uomini, tre donne e due fratellini di 10 e 13 anni, prima di togliersi la vita sparandosi a bruciapelo, all’interno della sua abitazione.

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Un fulmine a ciel sereno che ha messo in stand-by ogni celebrazione in vista del nuovo anno: il presidente Jakov Milatović si è detto «scioccato e sbalordito» e ha imposto per tre giorni le bandiere a mezz’asta in segno di cordoglio, ma dopo le lacrime nel Paese balcanico ci si interroga su cosa abbia potuto scatenare una strage di tali dimensioni.

Un paese armato

Il primo ministro Milojko Spajić ha puntato il dito contro il proliferare di armi illegali come la pistola calibro 9mm usata dall’attentatore di Cetinje: per quanto piccolo, il Montenegro è tra i paesi col più alto tasso di armi in dotazione alla popolazione, che ammonterebbero a circa 245mila sui 620mila abitanti totali.

Un dato critico, tanto da aver spinto il premier a convocare con urgenza il Consiglio di sicurezza nazionale per dare forma a una nuova normativa e, contestualmente, a una strategia mirata alla confisca: dopo una seduta durata ben sette ore, la proposta di legge elaborata prevede la verifica obbligatoria della licenza per il porto d’armi attraverso test psicoattitudinali e corsi di sicurezza, per non incorrere nel ritiro.

Prevista anche la campagna di sensibilizzazione denominata “Rispetta la vita, restituisci le armi”, che permette di riconsegnare le armi illegali nel giro di due mesi senza incorrere in alcuna sanzione, trascorsi i quali chiunque risulterà privo della licenza necessaria «verrà punito severamente, senza alcuna pietà», citando Spajić.

Le proteste contro la polizia

Intanto, mentre in tutto il Paese si sono svolte fiaccolate e sit-in a ricordo delle vittime, circa duecento manifestanti hanno protestato davanti alla sede del governo invocando le dimissioni degli attuali vertici della polizia, ritenuti responsabili della strage, dal momento che quel giorno a Cetinje risultavano presenti poco meno di una ventina di agenti.

Ferma la replica del premier, che ha sottolineato le difficoltà causate dal rapido susseguirsi degli omicidi e la conseguente mobilitazione di centocinquanta poliziotti sopraggiunti dalla vicina Podgorica per dare la caccia all’attentatore.

Una vicenda che ha scosso l’intera popolazione di Cetinje, l’antica capitale del Regno del Montenegro, proclamato nel 1910 e annesso alla Serbia dopo la prima guerra mondiale, nel 1918, per dissolversi infine con il referendum sull’indipendenza del 21 maggio 2006, anche se a lasciare interdetti più di ogni altra cosa è una tragica coincidenza storica: la notizia della strage ha riportato infatti le lancette indietro di due anni.

Il precedente

Stessa storia, stesso posto e (quasi) stesso bar, verrebbe da dire, e per poco la citazione è pure vera dal momento che le prime vittime di Martinović si trovavano all’interno di un ristorante. Era l’agosto 2022 quando un altro uomo, il 33enne Vučko Borilović, aprì il fuoco contro i suoi stessi familiari con una carabina da caccia regolarmente detenuta, troncando la vita a dieci persone, compresi anche in quel caso due bambini, e ferendo sei passanti incrociati casualmente lungo la strada di casa.

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Borilović scatenò la sua furia anche contro gli agenti di polizia e persino contro l’ambulanza che nel frattempo era arrivata a prestare soccorso ai feriti, proprio per impedire al personale di fornire le cure del caso, terminando poi la sua fuga tra i boschi raggiunto da almeno cinque proiettili delle forze dell’ordine.

In quell’occasione, l’allora presidente Milo Dukanović e l’ex primo ministro Dritan Abazović la definirono «una tragedia senza precedenti», ignari del fatto che proprio quella sparatoria avrebbe costituito, appena due anni più tardi, un drammatico precedente per un’altra strage costata la vita a persone innocenti, nel pieno delle festività.

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