Tre anni di Melonomics, la propaganda non fa miracoli: l’economia del Paese si ferma

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L’inizio del nuovo anno coincide con la terza legge di Bilancio firmata da Giorgia Meloni. Mezza legislatura è passata, qualche valutazione si può fare. Nonostante le trombe della propaganda della destra avessero annunciato già nel 2022 un cambiamento epocale, una svolta sociale e sovranista in politica economica e nella gestione dei conti pubblici, la ricetta della Melonomics è diventata, alla prova dei fatti, una specie di brodino, insipido, privo di quel corpo che sarebbe necessario per irrobustire il Paese. Certo, nelle viscere della destra restano incontrollabili le pulsioni di classe e i privilegi, l’accanimento contro i più deboli, quindi le tasse, la gran parte dell’Irpef sono pagate dai lavoratori dipendenti mentre agli autonomi si offre il Concordato preventivo biennale, destinato a finanziare il modesto taglio del cuneo fiscale, ma già fallito prima di decollare.

I settori delicati e in sofferenza della scuola e della sanità sono gravemente penalizzati, con tagli sostanziosi di risorse. Nella scuola, dove mancano 5 miliardi di euro per adeguare i salari almeno all’inflazione, il saldo tra uscite e entrate di personale docente sarà negativo per circa 3800 unità. Per la cura della salute siamo al punto che il governo e i suoi sostenitori continuano ad affermare che “nessuno ha mai messo tanti soldi” come Meloni, ma i fondi per la Sanità si calcolano in percentuale sul Pil e non in cifra assoluta, ma questo non entra nelle teste della destra. Così molti italiani non ricorreranno più alle cure, come ha denunciato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per le interminabili liste di attesa e per la carenza di personale medico. Il Fondo sanitario nazionale è di 136,5 miliardi e, secondo la Fondazione GIMBE, scende dal 6,12 al 6,05% del Pil nel 2025 e nel 2026 e poi precipiterà al 5,9% nel 2027.

Tagliare i Fondi al Terzo settore, colpire gli immigrati

In questa modesta legge di Bilancio ci sono un paio di perle che fanno trasparire la cattiveria, oltre che la stupidità rancorosa, di questi fenomeni al governo. È stato cancellato il Fondo destinato a contrastare la povertà educativa, considerata una delle piaghe sociali più gravi che sta alla base della rilevante povertà materiale presente nel Paese. Il Fondo è stato varato per la prima volta nel 2016 dal governo Renzi e sempre confermato fino a oggi con costi modesti per lo Stato perché è finanziato dalle Fondazioni bancarie che possono beneficiare di un credito d’imposta. Il piano ha coinvolto oltre diecimila associazioni nella costruzione di reti solidali che hanno aiutato oltre mezzo milione di bambine e bambini in situazioni di fragilità.

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Davvero è terribile vedere che questa destra vuole accanirsi su progetti costruttivi del Terzo settore che in Italia ha un peso enorme nel welfare solidale. Il secondo caso è la stretta inserita nella manovra sui lavoratori immigrati che non potranno più beneficiare delle detrazioni per i figli a carico. Stiamo parlando di lavoratori stranieri assunti, che producono qui in Italia, pagano le tasse e contribuiscono alle pensioni degli italiani, non sono delinquenti o spacciatori. È stata, poi, istituita una ulteriore tassa di 600 euro sulle procedure di richiesta di cittadinanza. Due episodi che indicano di che pasta è fatta questa destra.

La cautela per evitare guai in Europa

Sotto il profilo politico, a ben vedere. la sovranista Meloni ha scelto di seguire una linea europea, di rispetto assoluto dei vincoli e delle compatibilità imposte nell’area euro. Niente fughe in avanti, niente sparate alla Salvini, nessuna nostalgia della lira o altre scemenze del genere, niente cancellazione della Legge Fornero per le pensioni. La premier mantiene rapporti lineari con Bruxelles, non vuole allarmi sui nostri conti e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ricorda a tutti che non ci sono soldi per fare i fenomeni e va perseguita la stabilità. Un invito comprensibile ai suoi alleati se si pensa che nel 2025 il ministero dell’Economia dovrà rinnovare sul mercato ben 350 miliardi di euro di titoli pubblici. Il problema vero è che arrivata al terzo anno la Melonomics è deludente: non fa nulla per la crescita, l’occupazione, l’innovazione e nasconde e rinvia, per l’ennesima volta, gli interventi indispensabili ma che possono colpire i suoi elettori come la gara per concessioni dei balneari, la liberalizzazione dei taxi, la riforma del commercio ambulante, la revisione del catasto. Tutta la costruzione della politica economica di Giorgia Meloni, che privilegia l’annuncio dell’occupazione record (senza spiegare che il mercato del lavoro occupa gli over 50 mentre i giovani o restano precari o se ne vanno all’estero), si basa su una previsione di crescita del Pil dell’1% che già oggi appare impossibile persino a Giorgetti, forse sarà la metà o poco più, mentre la produzione industriale cala da venti mesi.

Crisi industriali e guerre bancarie, aspettando Musk

Sul tavolo restano irrisolte crisi industriali (auto ed elettrodomestici), instabilità di alcuni grandi gruppi, le prossime nomine ai vertici delle imprese pubbliche. E altre partite di potere. La scelta sovranista annunciata in campagna elettorale, con la promessa di difendere sempre gli interessi italiani, oscilla sulla strada dell’opportunismo e della convenienza. La più importante operazione strategica realizzata nel 2024 con la regia del governo è stata di consegnare la rete Tim al fondo americano KKR, con la partecipazione di Cassa depositi e prestiti. Poi si vedrà. Adesso il governo vuole mettersi di mezzo all’offerta lanciata da Unicredit sul Banco BPM perché, secondo Salvini, la banca guida da Orcel sarebbe straniera. Però Meloni e i suoi sodali sorridevano quando Unicredit decise di marciare sulla tedesca Commerzbank. Come la mettiamo? La linea del governo oscilla da un giorno all’altro, un concerto a più voci. Però ci potrebbe una sorpresa da primo titolo del TG1. Siamo sempre in attesa del previsto, implorato, declamato piano di investimenti in Italia di Elon Musk, grande amico di Giorgia Meloni e ideologo di Donald Trump.



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