di Raffaele Crocco
Sono in tutto sette. Sette neonati morti per il freddo a Gaza, dal giorno di Natale a oggi. Per un bimbo figlio di dio che ricordiamo venire “al freddo e al gelo” ogni anno, abbiamo sette piccole vite che “al freddo e al gelo” sono morte. Non abbiamo voluto e saputo salvarle.
Basta questo dato a dare la misura del fallimento perpetuo dell’azione della comunità internazionale nella Striscia di Gaza e nel Vicino Oriente in generale. Se servono conferme, basta leggere le parole del direttore degli ospedali da campo del ministero della Salute di Hamas. Le ha dette ad Al Jazeera. Racconta che “non ci sono abbastanza coperte o vestiti caldi per proteggere le centinaia di migliaia di sfollati che vivono nelle tende, molti colpiti dalle piogge. La combinazione di condizioni meteorologiche e malnutrizione è pericolosa soprattutto per i neonati, poiché perdono rapidamente calore”. Il disastro è raccontato anche dall’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi: c’è carenza di forniture per proteggere le persone dal freddo.
Di fatto, più di 1.500 tende che ospitavano gente sfollata nei campi profughi e nei rifugi di Gaza sono state allagate. Le piogge, negli ultimi giorni, sono state fortissime. Le squadre della Protezione civile hanno trovato centinaia di tende allagate. In molti casi, nelle tende c’erano fino a 30 cm d’acqua. Nella sola Gaza City, sono state trovate 242 tende allagate, nei campi dei terreni dello stadio Yarmouk e nel parco municipale. Sono 185 le tende colpite nell’area del complesso Saraya e 70 quelle nell’area di Shujaiya. Non va meglio a Rafah, dove 170 tende lungo la strada costiera sono rimaste danneggiate per le forti piogge. Infine, a Khan Yunis sono state inondate più di 665 tende. L’ondata di freddo e piogge che ha colpito Gaza, dicono gli operatori umanitari, ha complessivamente aggravato la situazione di tutti i 2,3 milioni abitanti del territorio. Una situazione che aggiunge dramma alla drammaticità dei dati: dall’inizio dell’offensiva israeliana sono 45.553 i morti e più di 108mila i feriti.
Intanto, mentre tutto questo accade, diventa sempre più difficile raccontare il dramma globale dei palestinesi. E a censurare notizie ed emittenti non sono solo gli israeliani. L’Autorità palestinese ha, infatti, chiuso l’ufficio di Al Jazeera nei Territori Occupati. In un comunicato, l’emittente deplora la decisione, definendola “una mossa in linea con le azioni dell’occupazione israeliana”. Anche in Siria si tenta di ricominciare, confusamente e senza certezze. Ci sono i primi bilanci dei troppi anni di guerra. I morti sono circa 528.500 i morti. Di questi, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, 181.939 civili, con almeno 15.207 donne e 25.284 bambini. Il governo provvisorio cerca di riallacciare relazioni internazionali. C’è stata una prima visita ufficiale a Riad e l’Arabia Saudita ha attivato un ponte aereo umanitario, per trasportare in Siria beni alimentari, rifugi e assicurare assistenza medica alla popolazione. Al ponte aereo, seguira’ un ponte terrestre, organizzato anche questo dal Centro saudita per gli aiuti e i soccorsi umanitari (KSrelief).
Più lontano, nel cuore dell’Europa, lungo la l’altra linea di confronto fra giocatori del grande Risiko mondiale, la guerra fra Russia e Ucraina continua a mietere vittime. Secondo la Tass, l’agenzia d’informazione russa, dall’inizio della cosiddetta “Operazione Speciale”, gli ucraini avrebbero perso, fra morti e feriti, più di mezzo milioni di soldati. Un bagno di sangue, che oggi vive certamente nei bombardamenti insistiti dei russi alle infrastrutture ucraine, ma che pare anche, in qualche modo, sospeso, in attesa di eventi risolutivi. Intanto, l’Europa vive l’ennesimo-panico da mancata fornitura di gas, nato dal mancato rinnovo del contratto fra Kiev e Mosca per l’uso dei gasdotti ucraini. La Commissione Europea ha tranquillizzato tutti. “L’Ue – ha dichiarato – è ben preparata ad affrontare la fine del transito del gas attraverso l’Ucraina, grazie agli sforzi di collaborazione della Commissione e degli Stati membri”. Il tempo ci dirà se è davvero cosi’
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