Luigi Vitali, ex leader di Fi: «Centrodestra indietro senza candidati forti. E Fitto ha grandi colpe»

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di
Michele Cozzi

Luigi Vitali, cinque legislature alle spalle, sottosegretario alla Giustizia, una stretta amicizia con Berlusconi, ieri ha compiuto 70 anni

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Luigi Vitali, cinque legislature alle spalle, sottosegretario alla Giustizia, una stretta amicizia con Berlusconi, il primo gennaio ha compiuto 70 anni.

Senatore Vitali, innanzitutto auguri. Quanti anni ha trascorso in politica?
«Dal’80 all’88 sono stato consigliere comunale di Francavilla Fontana per il Msi. Poi mi sono dimesso da quel partito perché non ho condiviso la svolta che invece di andare verso il centro prendeva la strada dell’estrema destra. Nel 1995 fui tentato dalla discesa in campo di Berlusconi e aderii a Forza Italia, diventando consigliere comunale e nel 1996 fui eletto alla Camera. Ho partecipato a quattro legislature e nel 2018 fui eletto al Senato».




















































Partiamo dalle note dolenti. Da vent’anni la destra pugliese perde alla Regione e al Comune di Bari. Come lo spiega?
«Perché non c’è una classe dirigente adeguata. La Regione Puglia è stata forgiata e costruita sulla personalità di Raffaele Fitto. Dietro Fitto non è stata creata una classe dirigente adeguata che potesse prendere il testimone. In molti Comuni con oltre 15 mila abitanti, Forza Italia non ha nemmeno presentato la lista. A Bari non ha nemmeno un consigliere comunale, eppure c’è un viceministro. Con una classe dirigente di questo tipo chi vuoi che faccia il candidato presidente della Regione Puglia».

La destra pugliese esprime Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo della Commissione europea. Non è poco, concorda?
«Raffaele Fitto ha tanti meriti, ma anche tantissime responsabilità: è stato un bravissimo amministratore, ma ha operato con la logica o con me o contro di me. Non ha affrontato tematiche contrarie alle sue posizioni e questo ha creato una filiera di persone a lui fedeli ma che dal punto di vista politico e organizzativo non hanno svolto il loro ruolo. E questo succede ora anche a livello nazionale con Tajani che si è trovato a fare il segretario nazionale, una persona di spessore, ma dal punto di vista politico si è circondato di persone affidabili, ma che sul territorio rappresentano solo se stessi».

Per la scelta del candidato presidente alla Regione Puglia si brancola nel buio, circolano i nomi di giornalisti di livello nazionale, dello stesso Mantovano. Forse, occorrerà un intervento diretto della premier Giorgia Meloni per dare una svolta?
«Credo che si sta aspettando il nome del candidato del centrosinistra. Se dovesse essere Decaro, è chiaro che la partita sarebbe in salita e non so quanto sarebbero disposti a giocarla. Ancora una volta il centrodestra deciderà all’ultimo minuto e probabilmente troverà un agnello sacrificale per salvare la faccia alla coalizione».

Quale dovrebbe essere il profilo del candidato presidente del centrodestra?
«Credo che debba provenire dall’area barese, e pure in tal caso, la partita rimarrebbe difficile sempre se si dovesse essere Decaro. Se fosse un altro, si aprirebbe uno scenario diverso».

Questione scioglimento del Comune di Bari. Che idea si è fatta?
«So quello che si legge sui giornali. Ci sarebbero società partecipate che sarebbero state infiltrate. Bisogna capire se la commissione d’accesso ha valutato questi inquinamenti frutto dell’iniziativa sindacale o se invece sono frutto di altro tipo di intervento».

Lei ha attraversato trent’anni di politica nazionale, caratterizzati dalla fine della prima repubblica, dal berlusconismo, dall’età del populismo grillino e ora da un governo di nuova destra: è cambiata la politica?
«La politica è cambiata moltissimo. Rimane il migliore periodo, se non fosse per le corruttele accertate, quello della Prima Repubblica. Si rispettava un criterio meritocratico, i politici erano radicati sul territorio».

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Lei è stato sottosegretario alla giustizia. Ci ha provato a riformarla?
«Stavamo facendo la separazione delle carriere, poi in un convegno al quale parteciparono Bruti Liberati, che all’epoca era presidente dell’Anm, Pecorella che era presidente della commissione e Castelli, il ministro, si giunse ad un’intesa che doveva portare ad una pacificazione tra la politica e la magistratura. Convertimmo la separazione delle carriere nella separazione delle funzioni. Ma questo servì a segnare un punto a favore della magistratura associata, poiché subito dopo è ripresa l’ostilità».

Tra Berlusconi e Meloni vede continuità oppure una netta diversità?
«Sono due politici completamente diversi come personalità. Per quanto riguarda il programma, questo governo credo che si possa ritenere in sintonia con il berlusconismo. Berlusconi era un empatico, che non aveva paura a mostrarsi i suoi pregi e difetti. Meloni è un personaggio più strutturato ed organizzato, più formata alla politica».

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3 gennaio 2025

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