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La giustizia militare tedesca nell’Italia occupata
Nel corso del 1943, insieme alle unità da combattimento delle forze armate tedesche era arrivato in Italia anche l’apparato di giustizia militare della Wehrmacht. Corti marziali erano attive presso ogni divisione, armata o corpo d’armata, con il compito di giudicare e punire severamente sia i reati commessi dai propri soldati che quelli eventualmente commessi da civili che si rendevano responsabili di atti ostili contro le forze tedesche, ovvero di attività partigiana, possesso di armi, sabotaggio, propaganda antitedesca, furto o danneggiamento di materiali militari.1
Dopo l’8 settembre 1943, con l’insediamento di un apparato di amministrazione militare tedesca in tutto il territorio italiano occupato, nuovi tribunali militari della Wehrmacht cominciarono ad operare anche presso ciascuna Militaerkommandantur (MK) o Leitkommandantur (LK), organismi territoriali competenti ciascuno su alcune province italiane, che dovevano sorvegliare il mantenimento dell’ordine pubblico con l’ausilio degli organi di polizia militare (la Feldgendarmerie e relativa polizia segreta, la Geheime Feldpolizei – GFP), delle unità militari della Wehrmacht localmente disponibili, in collaborazione con l’apparato di polizia SS (la Sipo-SD, comprendente la Gestapo) e le varie polizie e milizie di Salò.
Lo schema era simile a quello già applicato ad esempio in Francia, dove i tribunali tedeschi delle locali Feldkommandanturen avevano svolto un ruolo di primo piano nel mantenimento dell’ordine e nella repressione e punizione di partigiani, oppositori e scioperanti. A partire dal 1942, i civili di quei territori condannati a pene detentive di una certa durata (limite progressivamente abbassatosi nel corso della guerra) iniziarono ad essere inviati in espiazione nelle carceri tedesche dipendenti dal ministero della Giustizia del Reich (Reichsjustizministerium), dove erano utilizzati come manodopera forzata per l’economia di guerra, in officine nelle carceri stesse o presso campi esterni.
Anche nell’Italia occupata, l’attività dei tribunali militari tedeschi insediati presso ciascun comando territoriale (così come quella delle corti funzionanti nelle unità operative), era affidata ad un giudice militare di carriera che in sede processuale era affiancato da due giudici a latere scelti tra ufficiali o graduati e militari di truppa, uno dei quali poteva essere italiano. Il tribunale era presieduto dal comandante della divisione o della locale Kommandantur, che aveva il ruolo di Gerichtsherr, ovvero giudice in capo, con potere di riconfermare o ridurre una pena detentiva, o di commutare una pena capitale in pena detentiva. Le sentenze venivano emesse applicando sia il codice penale militare tedesco che quello civile, che consentivano al giudice di punire qualsiasi reato, crimine o comportamento ritenuto eversivo, approfittando anche della ampia discrezionalità consentita dalle norme giuridiche introdotte dai nazisti.
L’esecuzione delle pene detentive in Germania
Le pene detentive comminate a civili italiani di durata inferiore ai 6 mesi erano spesso sospese, e il condannato, posto in libertà provvisoria, era inviato in Germania a disposizione del servizio del lavoro. Pene detentive da 6 mesi fino ad un massimo di 5 anni potevano essere eseguite nelle carceri tedesche “ordinarie” (Gefaengnis). I reati più gravi, classificati come “crimini”, erano invece punibili con una detenzione da 1 a 15 anni (o più, fino all’ergastolo, se previsto per quel reato) di “carcere duro” (Zuchthaus) o nei campi-prigione dipendenti dal ministero della Giustizia del Reich (Strafgefangenenlager, modellati su quelli SS). Reati come possesso di armi da guerra, attività partigiana (i cui autori erano punibili come “franchi tiratori”, Freischarlerei), propaganda antitedesca, aiuto a prigionieri di guerra in fuga, erano quasi sempre puniti con pene in Zuchthaus, o nei casi più gravi con pene capitali.
Accordi tra autorità tedesche e salodiane prevedevano che i reati commessi da militari italiani inquadrati in reparti posti sotto comando tedesco (condizione assai frequente) fossero giudicati da tribunali della Wehrmacht anziché da tribunali militari italiani. Nei fatti si trattò di giudicare soprattutto militari italiani inseriti in reparti di artiglieria contraerea (Flak), di artiglieria costiera, di unità addette alla manutenzione di aree aeroportuali (per la Luftwaffe) e del genio trasmissioni, o ancora, di addetti a depositi e officine riparazioni in aree portuali (per la Kriegsmarine). In caso di condanne da espiare in Zuchthaus – pena ritenuta disonorevole, che se comminata a militari comportava l’espulsione dalle forze armate per “indegnità” – l’esecuzione avveniva nelle prigioni civili del Reichsjustizministerium. L’esecuzione di pene detentive in Gefaengnis – ad esempio per tentativi di diserzione o reati comuni, o comunque che non prevedevano l’espulsione dalle forze armate – poteva avvenire nelle prigioni della Wehrmacht. La destinazione in questo secondo caso era in genere il grande complesso carcerario militare di Torgau, in Sassonia.
Uno schema di riferimento per l’organizzazione dell’esecuzione delle pene detentive era diramato periodicamente dagli alti comandi della Wehrmacht e dai funzionari del ministero della Giustizia del Reich, smistando i condannati in base alla provenienza dai vari territori occupati e al tipo di pena detentiva da eseguire.
Dopo la conferma della pena detentiva i condannati in Italia dalle corti marziali tedesche erano in genere trasferiti nelle carceri della Wehrmacht di Verona, insediate nelle ex-fortezze asburgiche di San Leonardo e San Mattia, che fungevano da prigione di transito (in modo analogo a quanto avveniva nel campo di Fossoli di Carpi, successivamente di Bolzano-Gries, per i prigionieri della SS), da dove poi proseguivano con piccoli trasporti ferroviari verso la Baviera.
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Per i condannati dai tribunali militari tedeschi operanti in Italia era previsto l’invio alla prigione di Monaco-Stadelheim, che fungeva da quarantena e smistamento, e dove la sentenza era registrata presso la locale procura. L’esecuzione della pena, se prevista in Zuchthaus, per gli uomini avveniva inizialmente in quello di Kaisheim; in seguito, dal marzo 1944, presso la prigione di Bernau am Chiemsee (classificata come Strafanstalt); per le donne inizialmente è documentabile l’assegnazione al Fraunzuchthaus di Hagenau, in Alsazia, da marzo a quello di Aichach. In caso di pene detentive da scontare in Gefaengnis, le donne erano inviate alla prigione di Laufen (dipendenza femminile di Bernau), mentre gli uomini avrebbero dovuto rimanere a Monaco-Stadelheim.
Nella realtà però le impellenti esigenze produttive delle manifatture penali interne o esterne alle carceri, soprattutto nel corso dell’estate 1944, fecero sì che da Stadelheim o Bernau i condannati venissero trasferiti anche ad altre carceri bavaresi, in particolare ancora al Zuchthaus di Kaisheim e sue dipendenze lavorative esterne, o allo Strafgefaengnis di Landsberg am Lech (che aveva anche una sezione giovanile), e altri istituti ancora.
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Complessivamente furono oltre 500, tra cui almeno 25 donne, gli italiani – sia civili che militari – che giunsero nelle carceri dipendenti dal Rechsjustizministerium a seguito di condanne comminate da corti marziali tedesche nell’Italia occupata, fermandosi prevalentemente negli istituti bavaresi. Almeno altri 130 uomini vi giunsero da altri territori europei di conquista tedesca, sia dal versante occidentale (Francia, in particolare), destinati inizialmente alle carceri di Alsazia e Renania, sia da quello sud-orientale (Balcani e Grecia), concentrati negli istituti austriaci, in particolare nel Zuchthaus di Stein an der Donau.
Limiti della giustizia militare nella repressione antipartigiana e passaggio di competenze alla SS
Va evidenziato però come in territorio italiano il ricorso alla giustizia militare tedesca per punire partigiani e loro fiancheggiatori sia andato esaurendosi entro l’inizio dell’estate 1944. Le ragioni vanno ricercate innanzitutto negli accordi intervenuti tra l’alto comando militare di Kesserling e quello della SS di Karl Wolff, che dal maggio 1944, dopo numerosi contrasti sulla effettiva direzione della lotta alle “bande”, ne affidava la direzione e il coordinamento in tutto il retrofronte ai comandi della Sipo-SD. Rimaneva invece prerogativa della Wehrmacht nel settore delle operazioni militari e nella fascia costiera.
L’attività delle corti marziali tedesche continuò invece – e anzi si intensificò proprio durante l’estate 1944 – per giudicare i militari italiani che sempre più numerosi tentavano di disertare soprattutto dalle basi della Luftwaffe e dai reparti di contraerea (la Flak) a cui erano stati assegnati a seguito dei bandi di richiamo per classi della RSI o trasferiti dai reparti militari di Salò in cui già si trovavano.
Il definitivo esautoramento dei tribunali militari tedeschi nella lotta alle “bande” e agli oppositori politici in generale sarebbe giunto con il decreto di Hitler cosiddetto “Terrore e Sabotaggio” (Terror- und Sabotageerlass), che dopo il 30 luglio 1944 (le disposizioni attuative sarebbero giunte però solo in settembre) affidava interamente alla SS tale compito. In tutta l’Italia occupata dunque, nel corso dell’estate e autunno 1944, i processi delle corti marziali territoriali continuarono solo per giudicare diserzioni o reati comuni, non per condannare partigiani.
Il ruolo del carcere militare di Torgau e i trasferimenti ai lager di Zoeschen e Buchenwald
Il carcere militare tedesco principale era situato a Torgau, in Sassonia, diviso in due corpi principali, quello di Torgau-Fort Zinna (forte napoleonico adattato a prigione) e quello di Torgau-Brueckenkopf (di più recente costruzione). Altre strutture detentive nel Reich e territori occupati potevano servire per pene minori o come tappa di trasferimento (ad esempio il carcere militare di Friburgo in Bresgovia). Quasi tutti gli italiani condannati ad una pena detentiva da eseguire in carcere militare di fatto affluirono a Torgau.
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Una volta a Torgau, secondo le necessità anche di carattere produttivo – poiché anche i condannati militari, di ogni nazionalità, erano massicciamente impiegati ai fini della economia bellica – potevano essere destinati per periodi più o meno lunghi in dipendenze esterne e campi di lavoro, come ad esempio quella di Wildflecken nel Rhoen, in Baviera, grande campo di addestramento della Wehrmacht, nonché deposito di armamenti e polverificio.
Difficile dare una stima complessiva degli italiani che arrivarono a Torgau, poiché i registri sono andati perduti. Sicuramente furono diverse centinaia, provenienti sia dall’Italia che da altre zone di occupazione in Europa, dove si trovavano inquadrati in genere come ausiliari della Wehrmacht, in particolare in Grecia e Balcani.
La situazione dei condannati militari italiani a Torgau cambierà radicalmente – e tragicamente – dall’autunno 1944, per effetto di una direttiva di Heinrich Himmler (divenuto dopo l’attentato a Hitler del 20 luglio 1944 nuovo Comandante dell’armamento dell’esercito e dell’esercito di riserva – Chef der Heeresrüstung und Befehlshaber des Ersatzheeres), che imponeva che i militari condannati a pene detentive fossero inviati nei lager SS in detenzione provvisoria (Zwischenhaft) con impiego ai lavori forzati. In base al tipo di condanna, se Zuchthaus o Gefaengnis, potevano essere inviati a Mauthausen o Buchenwald (da qui in genere trasferiti poi a Dora-Mittelbau).
Nel caso degli italiani la scelta delle autorità SS fu però diversa e da Torgau il 16 novembre 1944 un grande trasporto di 531 prigionieri, giunti sia dall’Italia centro-settentrionale che da prigioni militari tedesche situate nei Balcani e in Grecia, furono inviati nel campo di rieducazione al lavoro (Arbeitserziehungslager – AEL) di Zoeschen, nei pressi di Leuna, in Sassonia-Anhalt. Il campo, gestito dalla SS, sottoponeva i prigionieri a condizioni di vita e lavoro durissime, con corvée anche nella rimozione di bombe inesplose nei grandi impianti industriali chimici presenti nel circondario di Leuna, oggetto di frequenti attacchi aerei alleati.
La mortalità raggiunse presto livelli molto alti, con oltre 50 prigionieri deceduti entro la fine del febbraio 1945, quando il primo trasporto di 100 detenuti provenienti da Torgau fu inviato al lager di Buchenwald, il giorno 27, seguito da un secondo l’11 marzo 1945 con altri 104 prigionieri italiani. Nel frattempo i decessi di quelli rimasti a Zoeschen continuavano, fino a raggiungere le 107 unità complessive tra coloro arrivati con il trasporto da Torgau in novembre, mentre tra i 204 italiani trasferiti a Buchenwald i decessi registrati nella documentazione del KL sarebbero stati 61.
Al numero di decessi annotati nei registri di Zoeschen e Buchenwaldi ne andrebbero però aggiunti altre decine, sicuramente oltre 50, avvenuti nel corso delle “marce della morte” messe in atto poco prima della chiusura definitiva del campo di Buchenwald, e al momento della evacuazione di Zoeschen, dove il 7 aprile 1945 i 170 prigionieri italiani rimasti furono registrati come trasferiti al campo di Flossenbuerg. In realtà il loro arrivo non fu nel campo principale del lager bavarese, dove non risultano annotati in ingresso, quanto piuttosto verso un suo sottocampo che fu però solo tappa di un ulteriore trasferimento verso i Sudeti e il territorio ceco, su convogli ferroviari che subirono anche micidiali attacchi aerei. Impossibile quindi un bilancio preciso dei decessi avvenuti tra i 531 italiani provenienti da Torgau, che verosimilmente fu nel complesso superiore al 50%.
L’attività delle corti marziali tedesche a Bologna
Anche a Bologna e nel suo territorio provinciale operarono tribunali militari tedeschi. Il più importante fu quello della Militaerkommandantur 1012 (MK 1012), insediata in via Cappuccini (attuale via Putti). Non è stato possibile purtroppo reperire dati complessivi circa le sentenze che vi furono emesse a carico di italiani. Da quelli disponibili su casi singoli appare come relativamente limitato il suo contributo nel punire italiani accusati di attività partigiana.
Da ricordare la condanna alla pena capitale emessa a carico di tre partigiani catturati nei pressi di Lizzano in Belvedere, Adriano Brunelli, Lino Formilli e Giancarlo Romagnoli, sentenza eseguita al poligono di tiro cittadino il 3 gennaio 1944. Altre numerose fucilazioni per mano tedesca avverranno nel Bolognese su ordine invece del locale comando SS (Aussenkommando Bologna della Sipo-SD).
Quattro invece i casi al momento documentabili di sentenze emesse dalla corte marziale della Kommandantur cittadina che si conclusero con condanne a pene detentive in Zuchthaus. I destinatari, che furono in seguito trasferiti per espiazione nelle carceri di Monaco di Baviera, Bernau e Kaisheim, erano tutti originari di altre regioni, ma catturati o trasferiti nell’area del capoluogo emiliano, con accuse di possesso di armi e, in un caso, di furto.
Alcune decine di condanne (oltre cinquanta) furono emesse dal tribunale della MK 1012 per reati minori – ad esempio per possesso di armi da caccia, oppure furto di materiali militari – con condanne che per lo più si risolsero, dopo la messa in libertà provvisoria, al massimo in un trasferimento al lavoro coatto nel Reich.
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Attive furono anche alcune corti marziali convocate presso comandi della Luftwaffe e della Flak situati in territorio bolognese. In particolare, il Feldgericht (tribunale da campo) presso il comando Jagdfliegerführer Oberitalien, fino al luglio 1944 insediato a Pontecchio di Sasso Marconi e quello del comando Der General der Flakartillerie Sued, insediato fino all’estate 1944 presso Villa Sampieri Talon a Casalecchio di Reno.
Dal primo tribunale provengono le condanne di Giovanni Martinelli e Aroldo Baraldi, condannati per diserzione alla pena detentiva di 15 anni da espiare in Zuchthaus; oppure quelle di Bruno Orlandelli e altri sei commilitoni, alla medesima pena. Dalla seconda corte proviene ad esempio la condanna per diserzione di Ferdinando Cinelli, che detenuto nel carcere militare di Torgau, ne ha lasciato ampia testimonianza.
Altre condanne risultano emesse dal Feldkriegsgericht des Kommandierenden Generals und Befehlshaber im Luftgau XXVIII, insediato a Borgo Panigale in area aeroportuale, come nei casi di Augusto Cotignoli e Luigi Gamberini, che entreranno anch’essi nelle celle di Torgau, per poi essere trasferiti al campo di Zoeschen.
I trasferimenti nel Reich con la “azione-carceri”. Il caso di Castelfranco Emilia
Parallelamente agli invii nelle prigioni tedesche dei detenuti condannati dalle corti marziali della Wehrmacht, un altro consistente flusso di detenuti verso il Reich avvenne nel corso della cosiddetta “azione-carceri”.2 Accordi tra le autorità tedesche e quelle di Salò stipulati nel giugno 1944 previdero in un primo momento il trasferimento di una selezione di detenuti in corso di espiazione nei penitenziari italiani nelle prigioni tedesche, allo scopo di utilizzarli come manodopera forzata per l’industria bellica. Intese simili furono strette allo stesso scopo anche nelle due Zone di Operazioni “Prealpi” e “Litorale Adriatico” per prelevare detenuti italiani dalle prigioni locali.
Successivamente gli accordi si estesero anche ai detenuti che si trovavano – assai più numerosi – nelle carceri giudiziarie di Salò in attesa di giudizio o per brevi condanne, i quali messi in libertà provvisoria avrebbero potuto essere ingaggiati attraverso il servizio del lavoro tedesco per essere utilizzati principalmente negli impianti del settore chimico, in particolare in quelli di produzione di benzina sintetica con processi di idrogenazione del carbone. Furono varie migliaia i detenuti che passarono il Brennero verso le installazioni chimiche tedesche tra l’estate e l’inizio autunno del 1944.
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I carcerati italiani provenienti dai penitenziari in territorio di Salò coincisero di fatto con i 466 prelevati il 26 giugno 1944 dal carcere di Castelfranco Emilia (per la maggior parte in cella per reati comuni), riservati alla ditta Schaeffer & Budenberg per essere impiegati sia negli impianti della sua sede di Magdeburgo che nello scavo di gallerie nel massiccio dello Harz (progetto con nome in codice “Turmalin”), presso Blankenburg, per ospitarvi i macchinari della azienda che dovevano produrre componenti per i missili V2. Nominalmente sarebbe stato il carcere di Wolfenbuettel a registrarli. La sorte dei detenuti fu differenziata: mentre quelli che rimasero a Magdeburgo quasi tutti giunsero vivi alla liberazione da parte degli alleati, la metà circa di coloro che ebbero la sfortuna di essere destinati al carcere sassone non sopravvisse. All’arrivo a Wolfenbuettel, il 6 luglio 1944, non essendo pronto il cantiere nello Harz, furono provvisoriamente assegnati allo scavo di gallerie in una miniera di potassa, anch’esse per allestire officine sotterranee (progetto “Gazelle”). Solo da settembre iniziarono a lavorare per il progetto “Turmalin”. Già sfiniti, nel febbraio 1945 furono poi spostati in parte ad Halberstadt, in una officina di riparazioni ferroviarie, dove le pessime condizioni di lavoro e di alloggio aggiunsero numerose altre vittime.
Nella sezione biografica di questo sito raccontiamo alcune vicende esemplari di bolognesi che si trovavano detenuti a Castelfranco Emilia al momento del prelievo per il Reich, come quelle di Umberto Chinelli, Alfoso Colombari, Emilio Ventura.
La loro eventuale condanna per reati comuni non esime dal considerarli ugualmente vittime del disumano disegno di sfruttamento del nazifascismo di chiunque fosse considerato sacrificabile ai fini della vittoria, vittoria che mai arrivò.
NOTE:
1) Per ulteriore approfondimento dei temi esposti in questa sezione si rimanda a: Andrea Ferrari, Nelle prigioni del Terzo Reich. Detenzione e lavoro forzato degli italiani carcerati in Germania 1943 – 1945, Roma, Novalogos editore, 2021
2) Sulla “azione-carceri”, per prima studiata da Lutz Klinkhammer in L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, vedi il contributo di Andrea Ferrari, «Gefangenenaktion», Detenuti italiani per l’industria chimica del Terzo Reich, in Brunello Mantelli (a cura di) Tante braccia per il Reich!, cit., vol. 2, pp. 1651-1805
IMMAGINI:
1) Rivista giuridica tedesca, 1941
2) La fortezza di asburgica di San Mattia, sui colli di Verona, utilizzata come carcere della Wehrmacht insieme al forte di San Leonardo
3) Prigione di Monaco Stadelheim, vista parziale della grande struttura, inizio ‘900
4) Veduta aerea del complesso carcerario della Wehrmacht di Torgau, Sassonia
5) Villa Sempieri Talon, Casalecchio di Reno (attuale Parco Talon), sede di un comando della Flak
6) Carcere di Wolfenbuettel, Sassonia, dove arrivarono oltre 200 detenuti dal penitenziario di Castelfranco Emilia
7) Galleria nelle montagne dello Harz, alla cui realizzazione contribuirono anche detenuti italiani
8) Mappa del sistema di gallerie previsto nel progetto Turmalin, nella montagna dello Harz, presso Blankenburg
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