L’intelligenza artificiale conquista nuovi spazi di diffusione e familiarità. Qualche anno fa lo psichiatra Vittorino Andreoli aveva scritto un libro dal titolo, “L’uomo col cervello in tasca”, alludendo alle variegate peculiarità dello smartphone sempre a portata di mano. In questi giorni, dentro lo smartphone, nella tasca di chi vorrà, entra anche l’intelligenza artificiale. Infatti, il contatto di ChatGPT, la GenAI di OpenAI, può essere memorizzato sul cellulare tra i tanti del nostro WhatsApp, come fosse un nuovo amico. Il numero è +1-800-242-8478. E non si può certo dire che sia un numero qualsiasi.
Nell’ambito di 12 sorprese natalizie annunciate sul blog aziendale, OpenAI colloca come decima novità, la ulteriore modalità di utilizzo della propria macchina GenAI, che travalica anche la funzione del “motore di risposta”. Con la consueta semplicità dialettica, Open AI diffonde il proprio annuncio attraverso un video in cui tre programmatori – uno con il cappellino di Babbo Natale in testa – spiegano ciò che accade. La loro illustrazione è resa ancor più sintetica ponendo la domanda direttamente a ChatGPT su come sia possibile aggiungerlo su WhatsApp. Questa la risposta della “macchina”: “ChatGPT è ora disponibile su WhatsApp, permettendo agli utenti di interagire con l’intelligenza artificiale direttamente dall’applicazione di messaggistica. Per utilizzare questo servizio, è sufficiente aggiungere il numero +1-800-242-8478 ai propri contatti WhatsApp. Una volta salvato, si può iniziare una conversazione inviando un messaggio al Chatbot. Attraverso ChatGPT su WhatsApp, è possibile: richiedere informazioni su vari argomenti; ottenere traduzioni tra diverse lingue; generare testi con tono e stile specifici; partecipare a giochi e quiz interattivi; conversare liberamente su temi di interesse. È importante notare che, al momento, il servizio è limitato alle interazioni testuali; funzionalità come la generazione di immagini o l’uso di comandi vocali non sono supportate. Inoltre, negli Stati Uniti, OpenAI ha introdotto la possibilità di interagire con ChatGPT tramite chiamata vocale, componendo il numero 1-800-CHATGPT. Tuttavia, questa funzione non è ancora disponibile in Italia”.
Si ha la sensazione di essere entrati in una nuova dimensione. Ancora di più di quanto accadde con l’avvento della prima “macchina sapiente”. Perché se è vero che ChatGPT approda a WhatsApp con il limite di un aggiornamento fermo al 2022, la tecnologia digitale ci ha abituato a rapide evoluzioni per colmare ogni lacuna.
Una mossa, questa di OpenAI, che rende ancora più familiare la relazione con l’intelligenza artificiale, perché è ormai lo smartphone il regolatore delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti e avere l’intelligenza artificiale in tasca, disponibile all’uso, seppure con alcune limitazioni da ritenersi temporanee, è novità non da poco.
Del resto, la frequentazione sempre più fitta tra l’uomo e l’AI, anche in un Paese come l’Italia in cui il digital divide è ancora pesante, è certificata da molte ricerche. A cominciare dal 19° Rapporto Censis sulla comunicazione. L’82% ritiene che debbano essere posti limiti ben precisi alle applicazioni dell’intelligenza artificiale attraverso un’apposita regolamentazione, ma solo il 18,0% degli italiani è contrario all’IA. Sempre secondo la rilevazione del Censis, il 37,4% pensa che grazie all’intelligenza artificiale potremo liberarci dai lavori ripetitivi e noiosi, favorendo in questo modo l’esercizio delle attività creative. Il 62% è fortemente preoccupato per gli effetti sull’occupazione. Il 55,9% si aspetta un miglioramento delle cure mediche. I vantaggi derivanti dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale riguarderanno proprio la ricerca scientifica (per il 45,4%) e la sanità, sia a livello diagnostico che terapeutico (per il 44,5%).
Sono dati abbastanza convergenti con quelli del Digital News Report Italia, che si aggiunge al tradizionale Digital News Report del Reuters Institut, focalizzando la situazione del nostro Paese. È realizzato da Alessio Cornia (assistant professor alla Dublin City University e già responsabile della parte italiana del Reuters Institute Digital News Report) e Marco Ferrando, Paolo Piacenza e Celeste Satta del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino. È un documento che mette a disposizione degli addetti ai lavori e del pubblico, dati e analisi di assoluta rilevanza per comprendere i principali cambiamenti in corso nel mondo dell’informazione, sia dal punto di vista della domanda che dell’offerta. Il punto di approdo sull’IA fornisce questi elementi: “La consapevolezza degli italiani rispetto ai recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale è piuttosto elevata rispetto ad altri paesi. Gli italiani, pur con alcune perplessità, sono meno preoccupati rispetto agli utenti di altri paesi dall’impiego dell’IA nel giornalismo. Lo scenario in cui le notizie sono prodotte in autonomia dall’IA (con una minima supervisione umana) preoccupa maggiormente rispetto all’utilizzo dell’IA come strumento di ausilio al lavoro dei giornalisti. L’utilizzo dell’IA nella produzione di notizie genera maggiore preoccupazione quando si tratta di temi sensibili come politica, criminalità, economia e cronaca locale, mentre sport e intrattenimento non suscitano particolare disagio”.
E’ una fotografia che coincide con quella del Digital News Report, in cui per la prima volta il sondaggio svolto in 28 Paesi del mondo, è stato incentrato anche sugli atteggiamenti dei consumatori nei confronti dell’uso dell’IA nelle notizie: “Mentre gli editori adottano rapidamente l’IA per rendere le loro attività più efficienti e personalizzare i contenuti – sintetizzano gli analisi del report internazionale – la nostra ricerca suggerisce che devono procedere con cautela, poiché il pubblico in generale desidera che gli esseri umani siano sempre al volante. Resta un diffuso sospetto su un uso improprio dell’IA specialmente per le notizie “difficili” come la politica o la guerra. C’è invece maggiore disponibilità ad accettare l’uso dell’IA in attività di back-end come la trascrizione e la traduzione. Nel supportare – conclude il rapporto – piuttosto che sostituire i giornalisti.
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