Impianti sciistici e impatto ambientale: crisi idrica

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L’Italia soffre di una patologia multifattoriale particolarmente acuta: il paradosso, determinato da una radicata incapacità di coscienza. Il sintomo lampante? Un paese nel pieno della crisi idrica che continua a sprecare acqua per nutrire l’esigenza di un tenore di vita ricamato ad hoc dalla società industriale: l’innevamento artificiale degli impianti sciistici.

Secondo gli ultimi dati riportati dall’Istat relativi agli anni 2020-2023, nel 2022, il prelievo giornaliero d’acqua equivale a 25 milioni di metri cubi, corrispondenti a 424 litri per abitante. E la quantità di acqua dispersa nell’ambiente a causa delle perdite idriche è quantificabile con 157 litri al giorno per abitante. I dati sono preoccupanti e definiscono in modo preciso lo stato della crisi idrica.

In un panorama di fatiscenza delle infrastrutture idriche e di siccità climatica si inserisce l’impatto del turismo sciistico.

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L’Italia, caratterizzata da una tradizione consolidata nel turismo invernale, è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale. Infatti il 90% delle piste è oggi mantenuto grazie a questa tecnologia che richiede il consumo di ingenti quantità d’acqua. Una dipendenza causata dalla sempre maggiore rarità delle nevicate che, a seguito di un aumento delle temperature, a sua volta dovuto ai cambiamenti climatici, crea un rapporto di subordinazione tra piste da sci e neve artificiale.

La contraddizione tra l’esigenza di preservare le risorse naturali e l’impiego massiccio di acqua per la produzione di neve artificiale svela un paradosso che richiede un’analisi approfondita.

Tale contraddizione evidenzia l’assurdità di un approccio antropocentrico e poco naturale che forza l’ambiente a soddisfare le esigenze economiche e ricreative umane a scapito della sostenibilità e della naturalezza dell’esistenza. In questo contesto, una riflessione che prenda spunto dell’ecosofia, concetto introdotto dal filosofo norvegese Arne Naess, può rivelarsi particolarmente illuminante. L’ecosofia, che propone una visione olistica e interconnessa della relazione tra uomo e natura, invita a ripensare radicalmente le priorità dell’essere umano e il suo rapporto con l’ambiente, riportandolo a una condizione di riconoscimento delle esigenze reali e naturali in conformità con quelle dell’ambiente.

Neve artificiale, conseguenze e consumo di risorse idriche

Consumo di suolo, disboscamento, inquinamento acustico, produzione di spazzatura, spreco di risorse energetiche e idriche: sono i fattori implicati nell’impatto ambientale provocato dagli impianti sciistici e da tutta l’industria del turismo sciistico.

I dati sugli impianti sciistici in Italia mostrano un continuo aumento delle richieste di innevamento artificiale, che si traduce in un prelievo significativo di risorse idriche. Secondo il rapporto “Nevediversa 2024” stilato da Legambiente il consumo di acqua annuo stimato è di 96 milioni di metri cubi, corrispondente al fabbisogno idrico annuale di una città con un milione di abitanti. 

L’innevamento artificiale comporta anche un importante dispendio energetico e la costruzione di numerosi bacini idrici per l’accumulo dell’acqua necessaria, con conseguente consumo di suolo in aree di pregio naturalistico. In Italia sono stati mappati 142 bacini idrici artificiali destinati all’innevamento, con una superficie totale di circa 1.037.377 metri quadrati.

Questi dati evidenziano la crescente dipendenza delle stazioni sciistiche dalle risorse idriche, che in un contesto di crisi globale rischiano di diventare sempre più scarse. La relazione tra il riscaldamento globale e la scarsità di neve naturale rende ancora più urgente la questione dell’innevamento artificiale, poiché le nevicate scarseggiano e gli impianti si trovano costretti a produrre neve per garantire l’apertura delle piste.

Ma cosa comporta la costruzione delle piste da sci? come si inseriscono in un discorso di impatto ambientale se si esclude l’ingente consumo d’acqua?

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Piste da sci, il lato nascosto

La creazione delle piste da sci richiede interventi profondamente invasivi che alterano irreparabilmente l’equilibrio degli ambienti montani, trasformandoli in scenari artificiali concepiti per il solo beneficio turistico.

Il processo ha inizio con il disboscamento delle aree interessate, un’operazione che spoglia il suolo della sua copertura vegetale, compromettendo la stabilità idrogeologica e causando la perdita di biodiversità. A ciò segue il livellamento del terreno, finalizzato a garantire una pendenza regolare, un intervento che distrugge gli habitat naturali di numerose specie animali e vegetali. Parallelamente, l’installazione di infrastrutture quali impianti di risalita, stazioni di servizio e parcheggi accentua il consumo di suolo e introduce elementi di artificialità che rompono l’armonia paesaggistica, producono numerosi detriti inquinanti.

L’impiego di macchinari pesanti e l’uso di agenti chimici per prevenire la formazione di ghiaccio completano questo quadro, incidendo ulteriormente sulla qualità del suolo, delle acque e dell’aria. Tali trasformazioni, spesso irreversibili, conducono non solo alla degradazione degli ecosistemi locali, ma anche all’impoverimento dell’identità naturale delle montagne, che da luoghi di intrinseco valore e rifugio per la biodiversità si riducono a scenari funzionali al mero intrattenimento.

Alla luce degli elementi riportati è possibile affermare che l’industria sciistica concorra in modo significativo ad incrementare i problemi ambientali e ad aggravare la crisi idrica, la quale ha visto l’estate 2024  portarne i segni più evidenti.

Concezione utilitaristica della natura

“La ricchezza e la diversità delle forme di vita sono valori in sè e contribuiscono alla prosperità della vita umana e non umana sulla terra. Gli esseri umani non hanno il diritto di ridurre questa ricchezza e questa diversità, se non per soddisfare bisogni vitali” (Arne Naess – Ecosofia)

Gli impianti sciistici rappresentano l’apice di una visione antropocentrica e consumistica, in cui la montagna non è più un luogo naturale intatto e di cui godere al suo stato originario, ma uno scenario da modellare per soddisfare esigenze ricreative superflue. Esigenze che se affiancate alla necessità di preservare la qualità dell’ecosistema perdono il diritto di essere definite tali.

“Una parte notevole dell’energia mentale investita nella vita economica viene usata per creare nuovi bisogni” scriveva lucidamente Naess.  Infatti, questo modello evidenzia l’ingordigia di una società che non si accontenta di vivere la natura così com’è, ma la forza a soddisfare desideri indotti, trasformandola in un oggetto di sfruttamento.

Le piste innevate artificialmente diventano così il simbolo di una modernità che ha perso il contatto con l’essenza stessa della natura, riducendola a un mero strumento per nutrire un’illusione di progresso e benessere.

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Secondo la concezione ecosofica promossa dal filosofo Arne Naess, la visione utilitaristica della natura, che riduce l’ambiente a una mera fonte di risorse da estrarre, deve essere sostituita da un approccio che consideri la natura come un bene intrinsecamente degno di rispetto e tutela, al di là del suo valore per l’uomo. L’uomo non è separato dalla natura, ma è una parte di essa, e quindi il benessere umano non può essere realizzato se non in armonia con l’ambiente che lo circonda. Questa visione, definita “ecosofia profonda”, rifiuta l’idea che un presupposto benessere debba essere raggiunto a discapito dell’equilibrio ecologico.

Nel contesto degli impianti sciistici, l’innevamento artificiale e l’alterazione del paesaggio montano per soddisfare il turismo sono esempi di una visione antropocentrica che sfrutta la natura in un modo che non trova profonde e concrete giustificazioni.

L’approccio ecosofico di Naess induce a riflettere su un benessere reale, che non deve dipendere dal consumo o dalla crescita economica dovuta all’industria del turismo manipolatore della natura, ma dalla sua conservazione, dal vivere in modo più equilibrato, consapevole, e naturale all’interno del mondo. Rispettando i limiti dei suoi ecosistemi e riconoscendo che il  benessere dell’essere umano è legato all’equilibrio dell’intero sistema ecologico.

Per questi motivi si rivela necessario prestare attenzione alle cose del modo che ci circonda, analizzarle, e, sulla base delle informazioni acquisite, ponderare scelte che siano identificabili come socialmente e umanamente responsabili.

Alessandra Familari

 

 

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