Il futuro delle comunità energetiche

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Il futuro delle comunità energetiche in Italia comincia ora

Quale sarà il futuro delle comunità energetiche in Italia? Se si parte dal percorso di sviluppo compiuto finora, farebbe pensare a una storia breve. Su 192 configurazioni attive, sono 47 le CER, mentre si contano 145 Gruppi di autoconsumatori di energia. Numero esigui, se si raffrontano con i numeri espressi a livello europeo, dove si contano oltre 9200 comunità energetiche attive (4800 delle quali solo in Germania) che servono più di due milioni di cittadini il confronto parrebbe impietoso. I numeri li ha illustrati Andrea Brumgnach, vicepresidente di Italia Solare e co-coordinatore del gruppo di lavoro CER e autoconsumo diffuso in occasione del Forum Italia Solare e riportati in una nota stampa.

Tuttavia, ci sono diversi elementi da considerare prima di bollare le CER come una scommessa persa. Si tratta di un movimento che a oggi conta su 1600 clienti finali – nell’85% dei casi si tratta di persone fisiche – e 230 impianti fotovoltaici con potenza media per configurazione di 26 kW. Va anche considerato che sono oltre 450 le richieste di accesso al servizio per l’autoconsumo diffuso inoltrate al GSE.

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Andrea Brumgnach, vicepresidente di Italia SolareAndrea Brumgnach, vicepresidente di Italia Solare«Soprattutto, occorre pensare che il percorso delle comunità energetiche in Italia è solo all’inizio. Consideriamo il confronto con i dati europei, in primis con la Germania, che ne conta 4800, ossia più della metà del totale. È bene dire che il percorso è stato avviato più di 20 anni fa. Se si calcola il numero complessivo diviso per il totale del tempo trascorso, i numeri espressi dall’Italia sono decisamente superiori a quelli tedeschi». A parlare è lo stesso Brumgnach.

Quale futuro occorre quindi immaginare per le CER? Lo scorso gennaio, proprio Italia Solare ipotizzava, a fronte di un obiettivo fissato dal DM CER di 5 GW al 2027 almeno altri 12GW da questa tipologia di impianti, vale a dire che le comunità energetiche potrebbero concorrere per circa il 15% al raggiungimento dell’obiettivo del fotovoltaico entro i prossimi sei anni.

A tale proposito, aggiungeva in una nota l’Associazione,

“le CER aumentano consapevolezza e consenso su impianti, piccoli e grandi. Sotto questo profilo, il contributo delle comunità energetiche agli obiettivi 2030 può essere ben superiore a quanto possano indicare i numeri”.

Come si deve pensare il percorso delle comunità energetiche, con l’anno quasi concluso e un 2025 alle porte? Lo abbiamo chiesto proprio al vicepresidente di Italia Solare.

Andrea Brumgnach, quali considerazioni vanno fatte sul futuro delle comunità energetiche rinnovabili in Italia?

«Ripercorriamo velocemente la storia delle CER. Seppure se ne parli già da qualche anno, è bene ricordare che il decreto attuativo è datato fine gennaio 2024, le regole operative pubblicate a fine febbraio e i portali GSE aperti a inizio aprile. Tutto questo consegue che gli impianti, per entrare nelle configurazioni, devono essere stati allacciati in una data successiva alla creazione della comunità energetica. C’è bisogno, quindi, di un determinato tempo di “incubazione”, anche solo quello necessario per le CER nate nel periodo sperimentale di aggiornare i loro statuti alle regole nuove.

Le nuove comunità energetiche rinnovabili, vale a dire quelle che attendevano le nuove regole per essere create, necessitavano di un tempo tecnico necessario per sistemare lo statuto, secondo le nuove regole e fare i passaggi formali necessari per l’attivazione.

Quindi, è troppo presto per affermare che il meccanismo delle comunità energetiche è un flop. Di certo si sono evidenziati alcuni elementi da ottimizzare, ma va detto anche che c’è un confronto costante e continuativo tra Italia Solare e GSE, mirato proprio a contribuire a migliorare ulteriormente questo percorso e a garantire il futuro delle comunità energetiche in Italia». 

Quali sono i passaggi che vanno ottimizzati?

«Molti, prima che uscissero le regole, pensavano che sarebbero nate migliaia e migliaia di comunità energetiche locali. Questo si traduce in altrettante migliaia di soggetti giuridici. L’esperienza di questi mesi ha bene evidenziato la complessità di creare un soggetto giuridico. Si tratta di individuare, il giusto soggetto, comprendere quale sia il più adatto per le singole specificità, e poi redigere uno statuto conforme. In molti, oggi, sono ancora in questa fase, tenendo anche conto che i dettami dello statuto scelto vanno implementati, con tutti i passaggi del caso. Ecco, allora, che si sta prendendo atto della complessità.

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Da questo punto di vista, secondo il mio parere, l’interpretazione di metà ottobre del GSE in cui ha specificato che le comunità energetiche potranno operare a livello nazionale, è un grande passo avanti verso la semplificazione e la riduzione dei costi di creazione e di gestione delle CER».

Che benefici possono offrire le comunità energetiche nazionali?

«Le CER nazionali permettono di contare su un unico soggetto giuridico e su un’infinità di configurazioni sottese a quel soggetto. Questo centralizza la burocrazia, ma per tutte le configurazioni locali, l’annulla completamente. Ecco allora che, per esempio, il piccolo borgo che vorrebbe avviare una comunità energetica all’interno della sua rappresentanza, può evitare di dover optare per un soggetto giuridico e doverlo gestire, pur contando nella salvaguardia totale dei propri interessi e dei propri diritti, perché le regole delle CER nazionali definiscono che il potere di controllo è locale».

Cosa significa potere di controllo locale?

«Prendiamo, a esempio, il criterio di definizione del regolamento, ovvero il documento che definisce, tra l’altro, come vengono ripartiti gli incentivi ottenuti in una determinata configurazione. Questo passaggio non lo si può fare scegliendolo dalla sede centrale: deve esserci un dialogo tra il soggetto giuridico e la configurazione che porti a definire il miglior regolamento per quella determinata configurazione, in funzione delle esigenze locali e delle volontà dei suoi membri.

Dato che è stata introdotta di recente, siamo ancora a livello embrionale, quindi servirà del tempo necessario a metabolizzare e comprendere bene questa opportunità, ma rappresenta davvero un vantaggio consistente».

Come si sta dimostrando il GSE nel facilitare lo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili in Italia?

«Il GSE sta mostrando una disponibilità straordinaria al dialogo e al confronto sul meccanismo CACER e che non ho mai ravvisato in altre occasioni. Lo dico in ragione della mia esperienza professionale e associativa, dato che mi confronto col GSE dal 2005. Ravviso una forte propensione al dialogo con gli stakeholder per capire cosa non funziona e per cercare di risolvere i problemi. Italia Solare ha riunioni periodiche con una rappresentanza molto nutrita del GSE che si occupa di comunità energetiche in tutti i suoi aspetti, mostrandosi disponibile all’ascolto e a intervenire dove necessario.

Vorrei anche sottolineare che, nelle interlocuzioni con la nostra Associazione, sia il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica sia il GSE si sono resi più che disponibili a raccogliere le istanze e le proposte di semplificazione. C’è un clima costruttivo. Anche per questo sono convinto che da qui alla fine del 2025 avremo dei numeri molto diversi, decisamente elevati, in termini di configurazioni».

Su cosa occorre lavorare in materia di CER?

«Sulla necessità di spiegarle e di renderle comprensibili a tutti. Malgrado i webinar organizzati, i convegni svolti, gli articoli pubblicati, il tema delle comunità energetiche deve essere ancora compreso. Secondo un recente sondaggio, solo l’1% di una rappresentanza della popolazione italiana sa esattamente cos’è una comunità energetica. Il fattore su cui porre attenzione, oggi, non è tanto il meccanismo e il suo funzionamento, quanto, invece, cosa si sta facendo per informare la cittadinanza sull’opportunità aperta dalle comunità energetiche.

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È giusto pensare a una semplificazione burocratica finalizzata ad avvicinare più soggetti possibile alla possibilità di avviare una comunità energetica, ma – ribadisco – lo scoglio più importante oggi su cui dobbiamo lavorare tutti è far comprendere caratteristiche e benefici delle CER».

Sul PNRR, però, si è in ritardo. A oggi, solo una minima parte dei 2,2 miliardi di euro disponibili attraverso i fondi del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza è stata effettivamente richiesta…

«Concordo, e l’ho anche affermato nel recente Forum di Italia Solare. C’è l’urgenza di agire per rendere questi fondi PNRR più accessibili e sfruttabili. Va detto, a proposito, che il ritardo con cui sono state pubblicate le normative attuative è sensibile: al posto che giugno 2022, il decreto attuativo è uscito a gennaio 2024, ma il termine per presentare le domande per i fondi PNRR è il 31 marzo 2025.

Se fossero uscite nei tempi giusti, avremmo avuto 19 mesi di tempo in più per “diffondere il verbo” nei Comuni sotto i 5mila abitanti e per cercare di presentare più progetti. Va ricordato, inoltre, che per presentare la domanda occorre avere una richiesta di connessione approvata e l’eventuale iter autorizzativo concluso positivamente. A tale proposito, va anche ricordato che il GSE prevede 7,5 GW di nuovo installato da rinnovabili a fine 2024. È vero che i distributori in certi casi sono in ritardo, ma è altrettanto vero che, se consideriamo il numero di impianti connessi in un anno, stiamo parlando di centinaia di migliaia di impianti. Si tratta di una sfida impegnativa per chi deve connettere gli impianti e che richiede forza lavoro competente e ragguardevole per concretizzare gli obiettivi di crescita delle fonti rinnovabili da qui al 2030».

Resta, però, il nodo delle tempistiche sui fondi PNRR…

«Certamente. Tutte le associazioni di settore – Italia Solare in primis – hanno chiesto di spostare il termine di presentazione delle domande e, in merito al termine del 30 giugno 2026 dell’obbligo di connessione degli impianti, abbiamo chiesto che venga rimodulato, definendolo come la data di fine lavori, anziché della messa in esercizio. Il ministro Pichetto Fratin, a questo riguardo, ha riferito in questi giorni in Senato che stanno dialogando con la Comunità Europea per venire incontro a queste richieste degli stakeholder. Per parte nostra, abbiamo anche proposto di togliere la soglia dei 5mila abitanti. Ci sono 2,2 miliardi di fondi di cui beneficiare per un ulteriore sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili in Italia. Se venissero utilizzati bene questi soldi, quante configurazioni potremo realizzare? Stiamo parlando di 2 GW di impianti FER da inserire per le comunità. È un circolo virtuoso che va attivato e sfruttato pienamente».

Su cosa punterete, sia come Italia Solare sia come parte delle associazioni di settore, per rendere concreto il futuro delle CER nel 2025?

«Su tre priorità. La prima sarà mettere a frutto l’approccio costruttivo – che ho evidenziato – con le istituzioni e mantenere il confronto periodico per segnalare e contribuire a risolvere situazioni problematiche. La seconda priorità, strettamente collegata alla prima, è continuare ad avere un rapporto pressoché quotidiano con la base associativa di Italia Solare che lavora nel mondo delle comunità energetiche. Contiamo centinaia di associati che partecipano al gruppo di lavoro e che rappresentano una fonte fondamentale di analisi di come sta andando il mercato. Terza priorità – la ribadisco – è la diffusione della conoscenza, mettendoci a disposizione di chiunque voglia fare didattica e informazione ad ampio spettro, in molteplici contesti, e su più livelli. Dobbiamo, quindi, interloquire con i Comuni, le imprese, le parrocchie e le associazioni, per spiegare cos’è una comunità energetica e far comprendere caratteristiche e benefici».

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