Guerra ibrida energetica, così Mosca divide l’Europa

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L’ultimo capitolo della “guerra del gas”, che scorre nella fitta rete di gasdotti che collegano o collegavano la Russia all’Europa, via terra e via mare, è anche la fine di un paradosso. Quello per cui, dopo due anni e 10 mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, il gas russo continuava a passare attraverso l’Ucraina, arricchendo da un lato Mosca e dall’altro però anche Kiev, grazie ai diritti di transito. Dal 40 per cento di forniture di gas russo all’Europa, si era già passati all’8 per cento. Adesso la riduzione è drastica e il gas potrà arrivare ancora soltanto dai gasdotti che attraversano Turchia e Bulgaria e finiscono in Ungheria. È la geopolitica del gas, che ha un suo riflesso importante a grande distanza, oltre l’Atlantico, dove gli Stati Uniti che hanno raggiunto l’autosufficienza energetica per via del gas naturale liquefatto, possono spedirlo in Europa sulle navi come, durante la Seconda guerra mondiale, i soldati e le armi per combattere la Germania nazista. Da un lato e dall’altro della trincea ucraina, l’energia è leva di ricatto politico-economico.

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IL RICATTO
A soffrirne, nell’immediato, sarà soprattutto la Moldova, che ha appena confermato alla presidenza Maia Sandu, donna come l’omologa della Georgia, perdente e dimissionaria. Entrambe europeiste e anti-russe. Tbilisi non subirà le ritorsioni di Mosca, la Moldova è invece esposta alla chiusura dei rubinetti del gas che passa per l’Ucraina con cui confina, e si sta attrezzando a sostenere un inverno di ghiaccio. Le autorità invitano a raccogliere le famiglie in una sola stanza per tenersi al caldo. E ancora più difficile è la situazione in quella porzione di Moldova presidiata da truppe di Mosca, una fetta di territorio in mano a separatisti filo-russi, incuneato a ridosso dell’Ucraina. In questo caso, il ricatto è duplice. Lo scarseggiare di energia non può che accrescere le tensioni contro il governo di Chisinau. La spiegazione fornita da Zelensky per il mancato rinnovo dell’accordo sul transito di gas russo è semplice, forse tardiva: «Non vogliamo – ha detto – far guadagnare alla Russia miliardi sul nostro sangue, sulle vite dei nostri cittadini». Prima del febbraio 2022, in cui i militi russi violarono le frontiere ucraine, il 40 per cento di gas per l’Europa arrivava dalla Russia attraverso 4 corridoi: i gasdotti sotto il Mar Baltico, quello tra Bielorussa e Polonia, quello in territorio ucraino, e l’unico ancora attivo, sotto il Mar Nero. Il primo fu messo fuori uso da un sabotaggio che si ritiene opera di ucraini, gli altri sono stati chiusi dalla Russia, quest’ultimo da Kiev. Ma da tempo l’Unione Europea aveva preventivato di eliminare del tutto il fabbisogno di gas moscovita entro il 2027. A trarne vantaggi economici, oltre agli Usa, la Norvegia, Paese non Ue.

IL MURO DEL GAS
Se però l’Europa ha sofferto per l’improvviso, drastico calo di approvvigionamento di gas russo, di più i Paesi che ne erano fortemente dipendenti. E questo spiega in parte certe posizioni pro-Putin dei leader, per esempio, ungherese e slovacco, Orban e Fico. Il 22 dicembre, quest’ultimo era pure andato a Mosca in una rarissima visita di un premier europeo a Putin. Ed era emerso che il tema più importante sul tavolo era proprio il gas. Ma già nel 2023 quello importato in Ue dalla Russia si era ridotto al 15 per cento. L’impatto più consistente dell’ultima chiusura di rubinetti riguardava Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca, la Moldova e anche Italia. L’Austria, in particolare, ancora riceveva l’80 per cento del fabbisogno di gas dalla Russia attraverso l’Ucraina, in alcuni mesi addirittura il 90 per cento. Ma il flusso era stato interrotto già il 16 novembre da Gazprom. La scusa con cui Mosca ha poi chiuso i rubinetti verso la Moldova, avendo la Sandu vinto le elezioni, era finanziaria. Per presunti debiti insoluti, che Chisinau smentisce. La realtà è che attraverso la geopolitica del gas, pian piano si è creato un nuovo Muro, che presenta punti deboli in quello che è il “ventre molle” dell’Europa, tuttora debole e soggetto ai ricatti di Putin. La decisione ucraina, evidentemente sostenuta da Ue e americani, va a fare chiarezza e a imporre scelte di campo, con noi o contro di noi, nella speranza che il collasso dell’economia russa prima o poi contribuisca a destabilizzare la leadership di Putin.

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