Cronaca o Ragione di Stato? Dare le notizie o passare i fatti al setaccio dell’impegno morale imposto a chiunque rivesta un ruolo pubblico? Giornalisticamente il dubbio in teoria non si pone; in pratica invece il racconto della realtà in Germania si muove chiuso in un recinto mediatico con limiti ben definiti e insuperabili.
«LA MORTE DEGLI ALTRI» è il più sintomatico titolo su Gaza della “Bild”, la testata di punta del Gruppo Axel Springer e con 942 mila copie quotidiane il giornale più venduto del paese. Dopo mesi di omissioni sistematiche sui bombardamenti israeliani di scuole e ospedali – sempre definiti come «covi di Hamas» – così un anno fa il quotidiano ha informato i lettori dell’esistenza di palestinesi; per la prima volta non sotto forma di «scudi umani».
L’editoriale si chiudeva con la domanda. «Nonostante il terribile massacro di 1.400 donne, uomini e bambini da parte di Hamas possiamo avere pietà per Gaza?». Risposta: «Si!». Il calembour con il film «La vita degli Altri» ambientato nella Ddr risulta perfetto, ma per definire la “Bild”.
«DESCRIVE bene quanto distante sia la visione del giornale da queste vittime. Al contrario degli israeliani, i palestinesi sono estranei. Altro non è usato a caso: è il termine con nelle scienze sociali si definiscono i gruppi diversi dal proprio» puntualizza Stefan Niggemeier, giornalista, ex responsabile dell’edizione domenicale della “Faz”, oggi alla guida di “Übermedien”, il watch-blog di critica dei media da lui fondato.
In realtà l’orrore di Gaza era già spuntato subito dopo l’«occupazione» dell’ospedale Al-Shifa da parte del Idf, spacciata dalla “Bild” come un’azione di pronto soccorso. «L’operazione ha anche scopi umanitari. Israele ha portato incubatrici, cibo per neonati e medicine nella clinica dove – secondo fonti palestinesi – si trovano molte persone».
Il Gruppo Springer rappresenta il caso più estremo del bias mediatico. Anche perché i giornalisti della “Bild” prima dell’assunzione sono tenuti a sottoscrivere nero su bianco l’impegno a «sostenere il popolo ebraico e il diritto a esistere di Israele». Embedded per contratto, significa che qualunque manifestante a favore della Palestina viene indifferentemente bollato come «odiatore di Israele».
PARLANO ancora più chiaro le connessioni certificate tra il Gruppo Springer e la politica dell’occupazione del governo Nethanyahu. Per il maggiore editore europeo la guerra israeliana è tutt’altro che una tragedia dal punto di vista del business.
Il 12 dicembre a Berlino 5 palestinesi residenti in Cisgiordania e i consigli locali dei villaggi di Iskaka, Marda e Taybeh hanno denunciato l’editore all’Ufficio federale per l’economia e il controllo delle esportazioni.
Motivo: “Yad2”, testata israeliana di proprietà di Springer, pubblica gli annunci immobiliari di case negli insediamenti illegali di Ariel e Rimonin con lo slogan «Dal Fiume al Mare», lo stesso che in Germania è vietato se riferito alla Palestina. Una violazione del parere della Corte internazionale di giustizia dello scorso luglio che ha ribadito l’obbligo di prevenire pratiche commerciali a sostegno dell’occupazione, ma anche della legge tedesca sul rispetto dei diritti umani nella catena di fornitura estesa anche alle attività estere.
MENO ECLATANTI, i media non scandalistici risultano egualmente emblematici. I paludati anchorman dei tg della tv pubblica “Ard” e “Zdf” si limitano a copia-incollare i comunicati israeliani con poco commento e zero confronto perfino quando si tratta della morte di giornalisti. Salvo rare eccezioni nel mainstream tedesco dominano le due sole headlines politicamente corrette: «la lotta contro Hamas» e il più generico «conflitto in Medio Oriente».
Sui media progressisti, dalla “Zeit” allo “Spiegel”, fino alla “Berliner Zeitung”, il taglio informativo fotografa la distanza dalle politiche di Nethanyahu, ma il tema centrale rimane l’antisemitismo in Germania «tollerato per troppo tempo dalle forze democratiche». La linea editoriale è più o meno quella incarnata dalla ministra degli Esteri, Annalena Baerbock (Verdi), pronta a «proteggere i palestinesi» ma anche a ricordare al Bundestag come «gli ospedali perdono il loro status se usati per ospitare terroristi».
MENTRE LA “TAZ”, il quotidiano della sinistra indipendente, dall’inizio della guerra è ruotato nell’orbita della galassia degli Anti-Deutsch, gli antifascisti filo-sionisti presenti anche nella Linke. Non mancano le critiche a Tel Aviv né i report sulla violenza dei coloni ma spiccano anche i pezzi azzecca- garbugli per spiegare che Nethanyahu difficilmente potrà essere arrestato in Germania, mentre la cronaca a caldo degli scontri di Amsterdam viene riassunta come una caccia antisemita. Fra le firme che contano nel giornale, le penne che collaborano al contempo con il “Jerusalem Post” e la “Jüdische Allgemeine”, il giornale della comunità ebraica tedesca.
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