«Aeroporto di Salerno? Impressionante, la gente vuole volare di più»

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Il 2024 si è chiuso con un record storico per l’aviazione civile italiana: per la prima volta è stata sfondata la barriera dei 200 milioni di passeggeri: le prime stime indicano 220 milioni (erano già a 2024 secondo i dati ufficiali delle statistiche di Assaeroporti) i passeggeri passati negli aeroporti italiani negli ultimi 12 mesi.

Senza le guerre in Ucraina e a Gaza, il record sarebbe stato raggiunto nel 2023 quando i passeggeri superarono di poco quota 197 milioni. L’Ucraina pesa in modo particolare sia sul numero dei passeggeri (l’embargo ha bloccato da febbraio 2022 i voli dalla Russia che pure avevano oltre 3,2 milioni di passeggeri, dati 2019) sia sulla gestione del traffico aereo essendo una quota importante dello spazio aereo dell’est Europa preclusa al traffico civile per evidenti motivi di sicurezza.

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Record storico atteso?
«È un fatto culturale: la gente vuole conoscere il mondo, vuole incrociare altre culture. Non è un fenomeno passeggero ma strutturale: basta vedere cosa è successo con il Covid. Appena ci sono state le condizioni, sono stati subito riguadagnati i volumi del 2019. Una ripresa che ha sorpreso molti, anche tra noi. Veda per esempio i sette voli da Napoli per il nord America, era qualcosa di inimmaginabile».

Il sistema aeroportuale ha retto ed è pronto a gestire questi flussi?
«Siamo abbastanza soddisfatti, il sistema ha resistito. E però anche evidente che c’è la necessità di riorganizzare la capacità di offerta aeroportuale, a fronte di possibili fenomeni di congestionamento nelle fasi di “picco” ed in questo è rilevante il tema dei piccoli aeroporti».

In che senso?
«Nel senso che fino a poco tempo fa i piccoli aeroporti vivacchiavano, in qualche caso erano solamente una specie di bandierina a difesa del campanile. Le comunità locali volevano avere a tutti i costi l’aeroporto con danni economici evidenti. Ora questa fase si può chiudere se si accetta e si gestisce in maniera intelligente il concetto di rete aeroportuale».

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Si può spiegare meglio?
«Il caso della Campania è esemplare e aiuta a capire: la piena integrazione tra Napoli e Salerno (favorita qui dal fatto che il gestore è lo stesso) consente una grande razionalizzazione, economie di scala, un solo piano industriale, e soprattutto di avere una capacità negoziale più forte con le compagnie. E poi, fatto non secondario, l’esperienza del management operativo che mette a disposizione del nuovo scalo il bagaglio di relazioni e rapporti costruito negli anni. Salerno non è partito da zero».

Dove arriverà Salerno?
«Per essere una start up è impressionante, nel 2025 prevediamo tra 500 e 600mila passeggeri con il numero di voli e di vettori in aumento costante. E va bene l’integrazione con Napoli, non toglie a Capodichino, né prende gli scarti. È l’adattamento dell’offerta a una domanda crescente che vede la Campania tra luoghi più attrattivi per turismo e business. E con il vantaggio di poter avere due scali: i 17,5 milioni di passeggeri previsti nei prossimi anni solo alla portata».

Quali sono i motivi del successo di Salerno?
«L’unico gestore, la Gesac, è una carta in più straordinaria, un conto era partire da zero, un altro avere l’esperienza di uno scalo importante. Tra l’altro la vicenda è bella perché è un sogno realizzato per la comunità salernitana, se ne parlava da anni e finalmente è arrivato. Per questo ci abbiamo tenuto a rispettare i tempi che avevamo annunciato, perché la comunità aspettava da troppo tempo».

Ed è un modello replicabile?
«Le reti in Italia sono già abbastanza diffuse: c’è la Puglia (Bari, Brindisi, Foggia), c’e il Veneto (Venezia, Treviso, Verona), la Calabria (Lamezia, Crotone, Reggio Calabria) e la Toscana (Firenze e Pisa). È in fase di arrivo la rete sarda. E c’è una discussione molto importante in corso in Emilia Romagna. Per gli scali che si avvicinano alla saturazione della loro capacità, anche se quello di saturazione è un concetto difficile da declinare perché ci può esser in alcuni picchi orari e in altri no, la vera risposta è il sistema che è in grado di ampliare l’offerta e rispondere con maggiore elasticità alle esigenze di passeggeri e vettori. I piccoli aeroporti dovrebbero sostituire al campanile, la torre di controllo, cioè dovrebbero capire che non ha senso avere uno scalo che vivacchia con 100mila, 150mila o 300mila passeggeri all’anno. È antieconomico e non ha senso che il mercato venga surrogato dall’iniziativa pubblica. Si può trovare una dimensione utile in processi di integrazione».

Lei parlava dell’Emilia Romagna: quattro aeroporti con Bologna saturo e gli altri vuoti.
«Nel caso di Bologna, con Forlì, Parma e Rimini c’è una discussione aperta. Assaeroporti incoraggia la ricerca di soluzioni intelligenti. I gestori devono fare accordi veri. Bisogna sostituire la competizione con una programmazione integrata. Lo spazio c’è perché la domanda è pazzesca. C’è posto e gloria per tutti».

A proposito di reti e di integrazioni, che fine ha fatto il piano nazionale degli aeroporti atteso da mesi?
«In questo settore l’unica buona notizia è che la gente vuole volare. Per il resto siamo messi male».

Cioè?
«C’è un palese deficit di governo del settore. Abbiamo lavorato – e di questo ho sempre dato atto positivamente al viceministro Bignani (che ora si è dimesso per diventare capogruppo di Fdi alla Camera, nda) per mesi con il ministero, l’Enac, i sindacati, i vettori a definire un piano nazionale degli aeroporti: l’ultima bozza sulla quale avevamo espresso un parere di massima positivo, è di luglio. Poi niente».

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E non c’è ancora il successore di Bignami, peraltro sembra che il Ministro Salvini non abbia intenzione di gestire la delega del trasporto aereo.
«Appunto. E poi c’è la vicenda delle addizionali comunali sulle tasse d’imbarco».

Sei differenti livelli di tassazione?
«Una cosa completamente folle, la torre di Babele: Trieste, Lamezia Terme, Reggio Calabria, Crotone e Pescara non pagano perché dell’addizionale se ne sono fatto carico le rispettive Regioni; la maggior parte degli scali applica la vecchia tariffa di 6,5 euro, l’ultima finanziaria ha aggiunto 50 centesimi ai voli extra Ue che partono dagli scali con più di dieci milioni di passeggeri, a Fiumicino e Ciampino si paga 7,5 euro, a Napoli 8,5 e a Venezia 9. ed è bene ricordare che la tassa la pagano i passeggeri».

Come se ne esce?
«Assaeroporti ha fatto una proposta che prevede un’applicazione graduale in quattro anni: 2,5 euro di cui uno ai comuni e 1,5 al fondo del trasporto aereo, proposta fatta propria dal piano nazionale degli aeroporti, cioè dal Governo che è lo stesso che nella finanziaria ha introdotto l’aumento per i grandi scali e nella scorsa ha autorizzato la Regione Friuli a pagare per Trieste ed alcuni Comuni ad aumentare la tassa».

Però sono soldi che vengono meno alla finanza e in particolare ai Comuni.
«La tassa d’imbarco finisce in un calderone indistinto dell’Inps, ai Comuni va poco o niente. Oggettivamente è assurdo: aeroporti a meno di 200 chilometri di distanza hanno quasi 10 euro di differenza! Con buona pace delle più elementari regole della concorrenza!».





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