di PIETRO MASSIMO BUSETTA – “Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo”. Così William Shakespeare in Giulietta e Romeo ci fa capire come il nome che diamo alle persone ha un’importanza assolutamente relativa.
Ciò accade anche per gli strumenti. Mi riferisco al grande dibattito circa il funzionamento della Zes Unica. La Presidenza del Consiglio in un suo comunicato dichiara: «Sette miliardi quelli relativi al solo 2024; una concessione del Credito di imposta al 100 per 100 della quota disponibile. Chi ha ottenuto l’autorizzazione unica ad investire nel Mezzogiorno ha potuto contare fino al 60% di credito di imposta».
È una dichiarazione di successo e probabilmente sono dati che grazie ad una attenta gestione da parte di Giosy Romano, coordinatore della struttura di emissione della Zes unica, sono incoraggianti.
In realtà la semplificazione sta consentendo di andare oltre ogni prevedibile, ottimistica previsione.
C’è solo un grosso errore ed è quello di aver chiamata il Mezzogiorno Zes unica. Perché le norme che riguardano il Sud, che stanno funzionando, non hanno assolutamente nulla a che vedere con le Zone Economiche Speciali, così come sono state organizzate e funzionano in tutto il mondo.
Infatti, le Zes individuano uno strumento che nasce in Cina e fu chiamato Special Economic Zone (Sez).
Esse nascono per una precisa esigenza, quella di fornire alcune condizioni favorevoli per l’insediamento di nuove attività produttive. Era evidente che pensare di fornire tali condizioni in tutta la realtà di riferimento era complicato, quindi si scelse di limitare le aree ad alcune zone più vocate.
L’obiettivo non era quello di consentire alle aziende esistenti sul territorio di poter ampliare la propria attività e di aumentare gli investimenti previsti in tempi brevi, quanto invece quello di attrarre gli investitori stranieri.
Il governo cinese assicurava nelle aree individuate quattro condizioni di vantaggio: la prima che la realtà fosse ben collegata al sistema infrastrutturale del Paese, la seconda che fosse esente da criminalità organizzata e in ogni caso che vi fosse un controllo particolare per evitare condizionamenti criminali, la terza che ci fosse un costo del lavoro particolarmente basso, la quarta che gli utili, che fossero realizzati dalle aziende che si andassero a insediare, fossero esenti da tassazione per un certo numero di anni.
Tali condizioni portarono un numero importante di aziende, molte anche europee e di queste moltissime tedesche, ad insediarsi nelle Sez. Le prime 4 zone economiche speciali (ZES) sono state istituite nel 1979. Shenzhen, Shantou e Zhuhai, che si trovano nella provincia del Guangdong, e Xiamen che si trova nella provincia del Fujian.
Il successo di Shenzhen e delle altre zone economiche speciali ha incoraggiato il Governo cinese ad aggiungere, nel 1986,14 città più l’isola di Hainan all’elenco delle zone economiche speciali nel 1986.
Questo era il modello al quale si erano ispirati le otto Zes che sono state costituite nella prima fase dello strumento. Aree limitate vicino a porti ed aeroporti, magari con zone doganali inter concluse, che consentissero di effettuare lavorazioni senza far entrare le merci nel Paese, un controllo della criminalità organizzata molto efficace con strumentazioni evolute, cosa che era possibile soltanto in aree contenute, un costo del lavoro particolarmente basso con l’eliminazione del cuneo fiscale e anche questo strumento poteva essere immaginato per aree contenute e limitate e infatti noi che lo abbiamo esteso a tutto il Mezzogiorno adesso dobbiamo fare marcia indietro perché non abbiamo i soldi per finanziarlo e nemmeno l’Unione Europea ci consente di estenderlo a un’area così ampia, e poi la possibilità di esentare da ogni tassazione gli utili eventuali cosa anche questa che è possibile effettuare soltanto per un numero limitato di aree, perché se la estendi a tutto l’esistente evidentemente diventa insostenibile.
Ampliando a tutto il Mezzogiorno, il risultato è stato che evidentemente le condizioni favorevoli sono state soprattutto a vantaggio delle realtà già esistenti, che peraltro se ne ricorderanno nelle urne, perdendo di vista però il vero obiettivo che aveva lo strumento, che era quello che di attrarre investimenti dall’esterno dell’area, che in realtà oggi si vanno ad insediare a Milano come si è visto con l’esperienza Amazon e quella di Microsoft.
Che le nostre otto Zes non funzionassero era dovuto al fatto che le Regioni le avevano piegate ai loro interessi elettorali, che erano quelli di avvantaggiare l’esistente non attrarre il nuovo.
In tal modo siamo ritornati alla vecchia Cassa del Mezzogiorno e a una gestione di risorse pubbliche centralizzate.
Ma il Mezzogiorno potrà risolvere il suo problema occupazionale solo attraendo grandi investimenti dall’esterno dell’area, ognuno dei dei quali deve poter portare quei 3000/4000 addetti che incidono sul contesto complessivo, perché il manifatturiero nel Mezzogiorno è assolutamente contenuto e le aziende esistenti quello che erano in grado di fare l’hanno già fatto, come si è visto dalle evidenze empiriche che vedono il numero di addetti nel manifatturiero fermi ormai da oltre 10 anni.
Visto che abbiamo bisogno di creare 3 milioni e mezzo di posti di lavoro e che perlomeno 1 milione e mezzo devono venire dal manifatturiero, si capisce con una semplice divisione aritmetica che parliamo di poco meno di 400 investimenti da 4000 persone ciascuno, cioè un numero enorme, che può venire soltanto se le realtà di insediamento si rendono particolarmente attrattive, per cui per una qualche azienda che vuole insediarsi in Italia, meglio in Europa, non ci debba essere competizione rispetto ad altre aree, come per esempio la Polonia, l’Ungheria o la stessa Germania, e invece oggi la cosiddetta Zes Unica del Mezzogiorno non riesce a competere nemmeno con la periferia milanese, come si è visto.
Quindi accontentiamoci degli ottimi risultati che il buon Giosy Romano sta ottenendo, ma non c’entra nulla quello che sta facendo con il progetto Zes che aveva ben altre ambizioni, cioè quello di portare il manifatturiero nel Mezzogiorno in una decina di anni a dati fisiologici, mentre oggi col nuovo approccio, il modello di sviluppo rimane quello di incentivare quello che esiste e che cerca di far crescere progressivamente la realtà indigena, ma che non blocca le emigrazione di 100.000 persone ogni anno, non stoppa la desertificazione delle aree del Sud, non risolve il tema del cambiamento sociale della struttura della popolazione, dalla quale molte giovani menti preparate continuano ad andare via.
Quindi possiamo essere contenti dei risultati raggiunti ma ritorniamo ad una dizione diversa che può essere “Aiuti per le imprese del Mezzogiorno”, ma eliminiamo la dizione Zes Unica, perché quello che si sta attuando con tale strumento con le Zes non c’entra nulla. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]
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