Il giorno di capodanno è quello in cui di solito si “spera” di più. Tutti hanno qualcosa in cui sperare per il prossimo anno, salute, lavoro, casa, soprattutto serenità e pace, è ciò che ci si augura di più. Credo che il Giubileo della Speranza che papa Francesco ha iniziato la vigilia di Natale possa davvero essere un’occasione importante per tutti, in special modo per noi calabresi che di speranza ce ne intendiamo poco. Basti pensare al detto popolare chi di speranza campa disperatu mora.
La speranza, anche come virtù teologale, ha avuto sempre scarsa fortuna alle nostre latitudini. Meglio, allora, affidarsi alla fortuna, oppure al destino che, si sa, può essere buono o infelice, comunque sempre come qualcosa da subire passivamente, per essere pronti a ripetere la solita frase sconsolatoria: “era destino”.
Papa Francesco anche questa volta è ricucito in questa occasione a scuotere il nostro torpore. In un passaggio significativo della bolla di indizione del Giubileo dal titolo quanto mai opportuno “Spes non confundit – la speranza non delude”, così scrive riprendendo un’ espressione cara a don Tonino Bello: “a noi, specialmente a noi cristiani, tocca organizzare la speranza”. Mi sono chiesto cosa significa questa frase. La risposta mi è stata data dalle tante testimonianze che ho incontrato nella mia esperienza sacerdotale: persone, associazioni, cooperative, che hanno tradotto la speranza ogni giorno in vita concreta, fatta di impegno, di progetti, di coraggio che non cede mai il passo alla rassegnazione e che aborre quella frase tipica che attraversa tutta la nostra terra da secoli in preda a questo male divenuto ormai endemico: chi ci putimu fa.
Ho avuto la fortuna di conoscere anche persone impegnate in politica che hanno tradotto la speranza in gesti concreti, libertà da qualsiasi forma di appartenenza, capacità di non cedere al compromesso, alle promesse facili che, more solito, sempre non vengono mantenute, capaci di dire no alla insana voglia di accumulare voti ad ogni costo, per paura di non essere eletti, capaci di dire quei No necessari per evitare le infiltrazioni mafiose sempre nascoste a volte nelle proposte più banali. Politici lungimiranti i quali non illudono le persone con le feste di piazza ed i fuochi di artificio, ma sanno stare accanto ai lavoratori e agli imprenditori, ne conoscono le ansie, le preoccupazioni, le problematiche alcune di esse mai risole nel nostro bel Paese: lavoro nero, precariato, caporalato, sicurezza sul lavoro. Conoscono i problemi dei pensionati e per questo, per una forma di profondo rispetto verso chi ha lavorato una vita e rischia di non arrivare a fine mese, evitano gli sprechi e non cercano di aumentarsi lo stipendio. Conoscono anche i problemi della sanità pubblica perché ascoltano le fatiche immani dei personale medico e paramedico, le file ai pronto soccorso per poi correre il rischio anche di sentirsi parlare in quella forma particolare di spagnolo cubano. Conoscono le sofferenze che coinvolgono famiglie intere costrette ad emigrare per farsi curare, oppure dei tanti giovani che non hanno santi in paradiso e diavoli in terra costretti a lasciare la Calabria in cerca di lavoro o costretti a fare un lavoro diverso da quello per cui si sono specializzati. Pochi, a dire il vero, ma tanto basta per farmi credere che non tutto in politica è perduto. Ancora ce la possiamo fare. Soprattutto possiamo e dobbiamo tornare a votare, altrimenti rinunciamo alla democrazia che è partecipazione. Lasciamo che pochi governino i molti e guai a noi se quei pochi intendono stravolgere la Costituzione a colpi di presidenzialismi e di autonomie differenziate.
Lasciamoci trascinare dal coraggio di un anziano vestito di bianco. Già, proprio lui, il papa “venuto dalla fine del mondo” che con coraggio – perché ci vuole coraggio ad indire un giubileo sulla speranza e non sulla paura – invita tutti, nessuno escluso, a fare la propria parte nelle grandi sfide a cui l’umanità è chiamata a porre rimedio: emergenza ambientale che ha innestato la crisi climatica; una escalation bellica che non si vedeva da prima della caduta del muro di Berlino; corsa agli armamenti causata da quella sorta di bellicismo che ormai ha contribuito a creare tra NATO ed Europa una sorta di ideologa della guerra che ha radici antiche e che ancora fra credere che per ottenere la pace bisogna prepararsi alla guerra. Niente di più falso! Contraddetto, tra l’altro, dai dati SIPRI che ricordano come nel 2023 si sono spesi ben 2443 miliardi di dollari e le guerre non sono mai dilagate così tanto sul pianeta. Le tante guerre hanno generato un numero record di persone rifugiate e profughe (120 milioni nel 2023, dati UNHCR) ed un aumento vertiginoso di vittime civili (+ 72%, nel 2023 rispetto all’anno precedente, dati ONU). Come se non bastasse, le risorse gettate dai governi nel buco nero delle guerre e degli armamenti sono sottratte agli investimenti sociali e civili per i cittadini. A Gaza, inoltre, è in corso uno sterminio senza sosta e senza precedenti della popolazione civile oltre 13.000 sono i bambini uccisi ed in questi giorni di muoiono anche per il freddo e la fame. In questo scenario davvero inquietante, oggi come non mai, occorre organizzare la speranza in progetti ed azioni concrete. Come scriveva la grande antropologa statunitense Margaret Mead non bisogna “mai dubitare che un piccolo gruppo di cittadini, che agisce con coscienza ed impegno, possa cambiare il mondo. In verità è ciò che è sempre accaduto”. In questi tempi di paura e di incertezze, in questa Calabria ancora soffocata dal fato e bloccata dalla rassegnazione ciascuno di noi si senta chiamato ad organizzare la speranza. Buon anno a tutti.
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