Sulla definizione dei Paesi sicuri per i migranti, la Cassazione di fatto ha rimandato la palla alla Corte di giustizia europea. E, nel limbo creatosi nell’attesa di una decisione che dovrebbe arrivare a fine febbraio, il governo italiano potrebbe cercare di rilanciare i centri creati in Albania per la valutazione delle domande di asilo, anche se non mancheranno altri pronunciamenti contrari da parte della magistratura italiana. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova, sostenuta di fatto dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, vuole realizzare il suo modello, proponendolo magari ai Paesi del Nord e allacciando con loro nuove alleanze. Le politiche europee su questo dossier, d’altra parte, sono ancora al palo e devono tenere conto dell’incognita Siria, potenziale punto di partenza di una nuova ondata migratoria via Balcani.
Al di là dell’interpretazione dell’ultimo pronunciamento della Cassazione sulla definizione dei Paesi sicuri da cui possono provenire i migranti, resta ancora da attendere una presa di posizione definitiva da parte della Corte di giustizia europea. Cosa può succedere?
La sentenza della Corte di giustizia europea dovrebbe arrivare tra non molto, è prevista per il 25 febbraio. Nel frattempo ci troviamo in una specie di limbo. Credo, però, che la Meloni lo sfrutterà per cercare di far funzionare in qualche modo i centri in Albania. Ha fretta di iniziare a sperimentare questo modello, facendo perno sul “vuoto legislativo”. La Cassazione ha detto che sono i governi a decidere quali sono i Paesi sicuri e il giudice può sindacare caso per caso; la Meloni si atterrà a questo pronunciamento e forse potremo iniziare a vedere qualche arrivo in Albania. Il braccio di ferro con i giudici andrà avanti fino a che non parlerà la Corte europea.
Questa questione che riflessi sta avendo a livello europeo?
Credo che il governo abbia ricevuto due assist importanti: il primo è proprio la recente sentenza della Cassazione; il secondo è la lettera della stessa von der Leyen a margine del Consiglio europeo, in cui afferma che è necessario individuare soluzioni innovative, sottintendendo anche i centri in Albania o comunque in Paesi terzi, accelerando i rimpatri. Da questo ultimo punto di vista, il nuovo modello italiano, che per ora non è stato possibile applicare, prevede 28 giorni di tempo. Von der Leyen, soprattutto, ha detto di velocizzare la realizzazione degli hub di rimpatrio in cui far rientrare i migranti che non hanno diritto di rimanere in Italia.
Intanto possiamo prevedere altre azioni da parte della magistratura?
Difficile dirlo, la situazione è complessa. Credo che alcuni tribunali nazionali non molleranno. D’altra parte, la Cassazione dice che i giudici possono dire la loro sul singolo caso. Dovremo aspettarci qualche mossa anti-rimpatri da parte di alcuni magistrati italiani.
Il patto Italia-Albania sembrava diventato un punto di riferimento in Europa. È ancora così, nonostante tutto quello che è successo e le polemiche sul mancato utilizzo dei centri realizzati in Albania?
Ci sono progetti come questo, con Paesi come l’Olanda, ad esempio, con cui la Meloni ha discusso a margine del Consiglio europeo insieme a von der Leyen. Starmer, il primo ministro britannico, a settembre è venuto in Italia per studiare il modello Albania. Si tratta di una soluzione che incuriosisce i Paesi europei. C’è una Francia, come sempre, molto reticente, e lo stesso vale per Spagna e Germania, ma francesi e tedeschi stanno attraversando una profonda crisi politica. L’Italia, però, con il sostegno della von der Leyen, può spiegare questo modello anche all’Europa del Nord. Se ne è parlato anche al vertice Nord-Sud che si è tenuto prima di Natale. Un approccio interessante anche per ampliare le alleanze, che potrebbe permettere all’Italia di porsi come hub del Mediterraneo, non solo per quanto riguarda il gas, ma anche come punto di riferimento per il fianco sud della NATO.
Quali sono i problemi che rimangono inaffrontati dal punto di vista migratorio a livello europeo?
Se prendiamo i dati del Viminale e li incrociamo con i dati Frontex, vediamo che dal 2024 gli sbarchi che seguono la rotta centrale, da Egitto, Libia, Tunisia, sono diminuiti del 60%. Una percentuale maggiore se si considera solo la Tunisia, con la quale gli italiani hanno fatto degli accordi. Si sono aperte, invece, altre rotte: quella del Mediterraneo orientale, verso i Balcani, e quella occidentale. Dobbiamo tenere gli occhi aperti, perché la UE è disunita sul tema migranti: tante parole, ma nessun atto concreto.
Si può aprire qualche nuovo scenario?
Con la crisi in Siria, di cui non conosciamo l’esito finale, si potrebbe riaprire la rotta balcanica. Non per niente Giorgia Meloni ha incontrato i Paesi dei Balcani del Nord per concordare politiche comuni riguardo ai controlli alle frontiere e alla lotta alla criminalità organizzata. L’Europa, comunque, tenendo conto delle elezioni in vista, potrebbe ritrovare maggiore coesione: la CDU ha idee molto più vicine a quelle del nostro governo.
(Paolo Rossetti)
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