Roma – Intervista al legale dell’associazione che si occupa di prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata: “Lo stato ha smesso di investire nella lotta alla mafia come faceva qualche anno fa”
di Edoardo Venditti
Roma – Milioni di fedeli da tutto il mondo che inonderanno le strade di Roma, pronti a riempirle di gioia, colori e speranze. Ma c’è anche l’ombra della criminalità organizzata, che ha già allungato le proprie mani su appalti, servizi, finanziamenti e opere pubbliche. E non solo della capitale. È l’altra faccia del Giubileo, quella che non si vede, o forse non si vuole vedere. Eppure è reale e concreta. Tanto quanto Roma, tanto quanto il Giubileo. Ne parla Marco Griguolo, avvocato di Wikimafia, l’associazione di prevenzione e contrasto alla criminalità nata nel 2012. “Le mafie si stanno organizzando da tempo per sfruttare il Giubileo”, spiega il legale. Che poi aggiunge: “Il rischio di infiltrazione non riguarda solo Roma, ma anche le province limitrofe. Come Viterbo”.
Marco Griguolo
Griguolo, tra pochi mesi a Roma entrerà nel vivo il Giubileo, un evento di portata mondiale con un enorme afflusso di denaro e investimenti. Ci sono rischi di infiltrazione mafiosa?
“Sì, le mafie si stanno organizzando da tempo per sfruttare il Giubileo e tendenzialmente riescono ad arrivare quando, da parte di comune, provincia, città metropolitana e regione, non vengono predisposti adeguati controlli sulle imprese, specie quelle che vanno a contrarre con la pubblica amministrazione. Le mafie trovano difficoltà quando i controlli sono stringenti: solitamente cercano di infiltrarsi in società in crisi, magari già in stato di decozione, offrendo loro un supporto per poi prenderne il controllo. L’implementazione dei protocolli di legalità permette dunque di individuare segnali di allarme, indirizzare l’attenzione su queste aziende e, se necessario, escluderle dai processi e dagli appalti”.
Quindi serve più burocrazia?
“La burocratizzazione non è mai la soluzione. Sono necessarie poche procedure, ma chiare. Alcune già esistono, come quelle previste dal Codice Antimafia. Tuttavia, è fondamentale che anche la pubblica amministrazione stabilisca regole chiare per garantire la partecipazione in sicurezza dei diversi soggetti coinvolti. Questo approccio consente un controllo efficace su tutti i partecipanti agli appalti. In questo senso, so che il Comune e la Prefettura di Roma stanno sviluppando numerosi protocolli di legalità specifici per il Giubileo e questa è una buona notizia”.
E allora dove sono i rischi di infiltrazione?
“Il problema non sono i protocolli, che esistono e sono ben fatti, ma i controlli, che spesso vengono a mancare. Pensiamo ad esempio agli infortuni sul lavoro: le regole ci sono e sono anche ben scritte, ma senza controlli molte aziende, per risparmiare, tagliano sulla sicurezza. E così ci ritroviamo con il tragico bilancio di morti sul lavoro che conosciamo bene in Italia. Lo stesso discorso vale per gli appalti legati al Giubileo. I protocolli possono stabilire che le imprese debbano avere tutta la documentazione antimafia in regola, ma se non si controllano, soprattutto le subappaltatrici, non si va lontano. È necessario che le forze dell’ordine entrino direttamente nei cantieri, che si verifichino i vincitori degli appalti, le modalità di assegnazione e i mezzi con cui operano. Altrimenti, le regole rischiano di restare solo sulla carta. E a Roma non è facile controllare tutti questi aspetti…”.
Ci sono già stati tentativi, riusciti o meno, di infiltrazioni mafiose per il Giubileo?
“Ci sono già stati diversi episodi, come riportato anche dalla stampa, e nel comune di Roma è tuttora aperta un’indagine per corruzione. I tentativi di infiltrazione mafiosa sono numerosi, complice il grande flusso di denaro e persone che il Giubileo porta con sé. Settori come alberghi, ristorazione e appalti pubblici per opere incompiute sono particolarmente a rischio. La pubblica amministrazione sarà costretta ad accelerare i lavori con il rischio di abbassare la guardia, facilitando così l’ingresso della criminalità organizzata”.
È logico pensare che le mafie estenderanno i loro appetiti anche alle città limitrofe a Roma, come Viterbo
“Assolutamente sì. L’enorme giro d’affari attorno al Giubileo inevitabilmente interesserà le province confinanti con Roma, come appunto Viterbo, e fornirà alla criminalità organizzata una grande occasione per consolidare e potenziare un’infiltrazione che di fatto c’è già da tanti anni. Anche nella Tuscia: diverse sentenze giudiziarie e report della Direzione distrettuale antimafia certificano la presenza nella provincia di Viterbo di potenti famiglie mafiose calabresi come i Piromalli, i Trovato, i Mammolito, oltre ad altre organizzazioni come i Casamonica. Alcune sono in conflitto tra di loro, altre collaborano. Fatto sta che ci sono”.
Anche i comuni più piccoli del viterbese sono a rischio?
“Le indagini ci dicono che sono soprattutto i comuni più piccoli ad essere presi di mira dalle mafie. Non soltanto perché spesso non hanno gli anticorpi – politici, culturali e di ordine pubblico – necessari per riconoscere e contrastare il fenomeno mafioso. Ma anche perché questi territori dispongono di ampi terreni che, con un cambio di destinazione d’uso, possono facilmente diventare edificabili. Inoltre, i controlli sono generalmente meno rigorosi rispetto alle città. Anche i paesi devono dunque stare attenti alla mafia. Perché la mafia arriva anche lì. Soprattutto lì”.
Fino a pochi anni fa la Tuscia era considerata un territorio lontano dagli appetiti della mafia, poi ci sono stati una serie di eventi che hanno mostrato il contrario: l’omicidio Manca, le infiltrazioni sul litorale e diversi immobili sequestrati. La mafia ha sempre operato nelle province? O quello di spostarsi lontano dai grandi centri è un fenomeno moderno?
“Paradossalmente, la mafia nasce e si radica nei piccoli centri, dove continua a mantenere una forte presenza. Questo accade perché la mafia si configura come anti-stato, e nei comuni più piccoli la presenza dello stato è spesso meno incisiva rispetto alle città. In molte realtà di provincia, è la stessa criminalità organizzata a offrire opportunità di lavoro, diventando un punto di riferimento economico e sociale. La mafia, quindi, nasce nei piccoli centri e solo successivamente si espande nelle grandi città per ampliare il proprio giro d’affari. Senza tirare in ballo Corleone, si pensi a Cutro, un paese di 9mila abitanti in provincia di Crotone, teatro di numerosissime indagini e arresti per ‘Ndrangheta. Nei piccoli comuni la mafia c’è sempre stata: siamo noi ad averlo capito solo di recente”.
Di cosa si occupa Wikimafia?
“Wikimafia nasce nel 2012, seguendo l’esempio della ben più nota enciclopedia digitale Wikipedia, per fare informazione sul fenomeno mafioso. L’obiettivo principale dell’associazione è infatti sempre stato quello di mantenere viva la memoria storica sulla mafia, perché è fondamentale che l’opinione pubblica non abbassi mai la guardia. Negli anni abbiamo anche cominciato a organizzare eventi, invitando magistrati, giornalisti, amministratori e attivisti per ascoltare le loro testimonianze. Nel 2022 abbiamo poi lanciato la prima edizione del Festival internazionale dell’antimafia. E dal 2021, come Wikimafia, ci costituiamo parte civile ai processi per mafia per sostenere le vittime, dare voce a quelle che per paura non si presentano alle udienze e per dare supporto ai pubblici ministeri che hanno condotto le indagini”.
Un’ultima domanda. L’Italia negli anni Ottanta e Novanta era il paese più all’avanguardia per le indagini contro la mafia. Addirittura magistrati e poliziotti italiani addestravano le forze dell’ordine di altri paesi. È ancora così?
“Purtroppo no, siamo rimasti indietro perché mancano risorse e strumenti adeguati. Faccio un esempio: mio padre, negli anni Novanta, era sostituto procuratore e faceva parte della prima Direzione distrettuale antimafia di Milano. All’epoca nel pool c’erano un procuratore aggiunto e otto sostituti. Lo stato metteva a disposizione risorse importanti: grandi quantità di fax per velocizzare le comunicazioni, un numero consistente di carabinieri e poliziotti, straordinari pagati, microtelecamere, microfoni, strumenti all’avanguardia e autovetture blindate per garantire la sicurezza dei magistrati che conducevano le indagini. Oggi, invece, la situazione è molto diversa. In procura a Milano non c’è nemmeno un sostituto procuratore che abbia una macchina a disposizione, gli straordinari per le forze dell’ordine non vengono più pagati e le tecnologie sono rimaste quasi le stesse di allora. Le mafie comunicano via satelliti, usano l’intelligenza artificiale e fanno transazioni con criptovalute. Noi invece siamo ancora fermi a trascrivere manualmente le intercettazioni…”.
Cos’è cambiato da allora?
“Che lo stato ha smesso di investire nella lotta alla mafia come faceva in quegli anni. Ma senza investimenti, lo stato non potrà mai sconfiggere la criminalità organizzata. È vero, un’indagine antimafia costa molto, ma consente anche di recuperare enormi risorse attraverso le confische. Purtroppo, però, in Italia si tende a guardare al costo della singola intercettazione, del carabiniere o dell’autoblindo, senza avere una visione d’insieme. Nonostante tutto, ci sono ancora tanti magistrati che, con uno straordinario spirito di servizio, continuano a portare avanti le indagini con i pochi mezzi che hanno a disposizione. E speriamo che questo spirito rimanga vivo, perché altrimenti sarebbe la fine”.
Edoardo Venditti
2 gennaio, 2025
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