La guerra in procura, le minacce a Chinnici e l’omicidio di Costa

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Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo il libro “L’illegalità protetta”, edito per la prima volta nel 1990 e ristampato nuovamente da Glifo Edizioni, dedicato a Rocco Chinnici e ai giudici del pool antimafia


Io vorrei fare altre due domande, collegandomi ancora alle cose precedenti. Dopo l’assassinio del giudice Costa e dopo l’invio a questo Consiglio superiore, da parte di tutti i sostituti procuratori, di un esposto che ha dato luogo a questa indagine, anche i giornali, e c’è stata un’istruttoria, hanno parlato di pretesi contrasti scoppiati alla Procura della Repubblica fra i vari sostituti procuratori e si parlò anche di un dissidio riguardante cose di non poco conto, cioè del sistema di sicurezza dei magistrati che indagavano sui processi mafiosi, e voglio dire anche filosofia della lotta alla mafia che avrebbe trovato dissensi, che si sarebbero anche in qualche modo formalizzati. Tu sai qualcosa di questo?

Sì. Nei primi mesi dell’autunno 1980, dopo la morte di Costa, vennero a trovarmi due sostituti procuratori: il sostituto Geraci e il sostituto Di Pisa. Mi parlarono di un documento stilato da un altro gruppo di magistrati. Un gruppo piuttosto numeroso, la quasi totalità, a tale documento avrebbe aderito la quasi totalità degli altri sostituti. In esso si parlava di enfatizzazione delle misure di sicurezza, delle misure a garanzia dei magistrati, cioè delle scorte, di mimetizzazione della mafia. Mi si disse anche che si criticava un po’ il mio ufficio, perché i processi venivano assegnati a determinati magistrati. Io cercai di avere copia di questo documento, ma non la ebbi. Poi di questo documento non si parlo più. Questo documento avrebbe dovuto essere trasmesso al Consiglio Superiore della Magistratura, ma non fu più trasmesso. sostituti che mi parlarono di questo episodio, il sostituto Geraci e il sostituto Di Pisa, vennero trovarmi di proposito nel mio ufficio per informarmi di questo documento e per chiedere cosa io ne pensassi.

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Loro si dichiararono d’accordo o no?

No, loro erano in contrasto. Me lo hanno riferito loro. Ci fu un contrasto terribile in Procura, tra loro due più che altro – ma non più di uno – e l’altro gruppo, contro questo insanabile, perché nel momento in cui si moriva e si rischiava in maniera concreta, quel momento si ritenne addirittura assurdo.

Era l’agosto 1980?

Settembre, ottobre 1980, dopo la morte di Costa.

Costoro misero nero su bianco?

Sì, il documento fu redatto. Anzi, questo gruppetto di due o tre magistrati fece un contro-documento, ma ripeto, credo che qui al Consiglio non se n’è avuta notizia. Del documento di questo gruppetto sparuto di colleghi di magistrati non si seppe più nulla. Per me era retorico e pieno di enfasi

Scusi, il primo documento, quello che sottovalutava la necessità di misure di sicurezza, era di tipo tecnico, nel senso che le scorte non servono, oppure sottovalutava la pericolosità del fenomeno mafia in relazione alla sicurezza dei magistrati?

Io il documento non l’ho letto, però mi si parlò allora di mitizzazione di mafia e di enfatizzazione di misure di sicurezza per i magistrati. Il documento non è mai venuto fuori

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Si tendeva a ridurre l’entità del pericolo?

Potrebbe dedursi questo, ma io, non avendo letto il documento, non posso dare un giudizio. Di questi due termini, «enfatizzazione delle misure di sicurezza per i magistrati» e «mitizzazione della mafia» mi fu riferito.

Vorrei tornare proprio nel momento in cui Costa firmò, cioè convalidò gli arresti. Che eco ci fu del contrasto?

Ci fu un’eco gravissima, perché la stampa riportò in prima pagina – la stampa locale – virgolettando espressioni che sarebbero state pronunciate.

Avvenne così l’individuazione di quelli, tra i sostituti, che si erano più degli altri esposti contro la convalida degli arresti. Se non sbaglio la stampa riportò tra virgolette anche dichiarazioni di alcuni sostituti.

No, che io ricordi nomi di sostituti la stampa non ne riportò; però ebbe un’eco molto, molto vasta, che poi ebbe delle ripercussioni sul mio ufficio, perché è giusto che io dica fatti che non so come potranno essere valutati: dopo questo episodio di questa convalida da parte di Costa (c’erano dei processi in cui non fu concessa la scarcerazione per mancanza di indizi), io ebbi la prima telefonata di minaccia a casa.

Costa era vivo?

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Sì.

Quando avvenne?

Nei primi di giugno. È tutto documentato. Questa gente non fu messa fuori, salvo quei quattro messi fuori da Calabrese.

Dopo quindi la formalizzazione?

Sì, dopo la formalizzazione, quindi, nei primi mesi di giugno. Io ho avuto la prima telefonata di minaccia. Mi si disse testualmente: «Sono l’avvocato Russo D’Agrigento», non er un professionista. Da come parlava si sentiva molto bene che era un mafioso. È stata sempre la stessa persona che mi ha telefonato tre o quattro volte in maniera chiara e aperta. Poi telefonate a mezze voci, venivo svegliato di notte, alzavo il microfono e non sentivo niente, le prime parole furono queste: «Che intenzioni ave lei con i processi di Palermo?» Perchè allora si diffuse la voce che ero stato io, perché vicino a Costa, perché amico di Costa, e che, per le mie convinzioni, aveva quasi imposto al collega Falcone (con ciò offendendo me e Falcone) ad emettere i mandati di cattura. allora è sintomatico il tenore di questa telefonata: «Che intenzioni ave lei con i processi di Palermo?» Non con il «suo» processo, perché i avevo il processo che istruivo io, il processo Sollena-Bontate e compagni, con i processi di Palermo. Poi, sempre su questa scia altre telefonate. L’ultima, la più brutta, quella in cui mi si dice: «Il nostro tribunale l’ha già condannata, l’ammazzeremo», comunque questa è registrata. Quando andai da Costa per riferire a voce il contenuto delle telefonate, Costa ebbe quella frase: «Palermo è una città nella quale non si può vivere».

Lei ne ha avute anche dopo di queste telefonate?

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Sì, e continuo a ricevere dall’America le minacce, ora per iscritto. Me ne hanno mandata una che è, magari, in una forma elegante, perché ci sono le 7 beatitudini: «Beato chi ti farà del male, beato chi parlerà sempre male di te, beato chi ti distruggerà, ecc.» Questa mi è arrivata per cartolina postale tre mesi fa; un’altra mi è arrivata un mese fa, pure dall’America

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