Il governo mette i bastoni tra le ruote della giustizia

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Il ministro Carlo Nordio aveva annunciato una forte depenalizzazione, ma ha soltanto eliminato l’abuso d’ufficio. Così il governo rende più complesse le inchieste sui reati dei colletti bianchi

II 22 ottobre 2022, dopo il giuramento come ministro, Carlo Nordio annunciava “una forte depenalizzazione e quindi una riduzione dei reati” come l’obiettivo per rendere la giustizia più veloce. Eppure, dall’inizio del suo mandato, governo e parlamento non solo hanno introdotto nuovi reati, ma ne hanno anche inasprito e ampliato molti già esistenti. Nordio si è accontentato di intervenire principalmente su quelli contro la pubblica amministrazione, attraverso una riforma, approvata il 10 agosto scorso, che ha eliminato l’abuso d’ufficio e ridotto l’ambito di applicazione del traffico di influenze illecite. In questo contesto, anziché velocizzare la maggioranza rischia di impantanare la giustizia in meccanismi burocratici che rendono più difficile perseguire i reati. Ma solo alcuni.

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La depenalizzazione e la sua controparte: l’impunità

Nordio ha ricordato che “in Italia abbiamo un arsenale normativo penale di ben 17 articoli contro la corruzione”, ma ha anche affermato che “l’intero sistema dei reati contro la PA è obsoleto”

“In Italia abbiamo un arsenale normativo penale di ben 17 articoli contro la corruzione“, aveva rassicurato il guardasigilli dopo il consiglio dell’Unione europea sulla corruzione, a metà giugno. Il 17 gennaio, invece, aveva sostenuto che “l’intero sistema dei reati contro la pubblica amministrazione è obsoleto” e che l’abuso d’ufficio in particolare doveva essere abolito perché “non c’era verso di modificarlo in altro modo”.

Quel reato puniva comportamenti che mettevano a rischio l’imparzialità nell’amministrazione pubblica, come l’ingiusto vantaggio ottenuto da un pubblico ufficiale. Eppure, nonostante i rilievi sollevati da magistrati e professori di diritto, è stato abolito. Nella sua relazione, Nordio aveva evidenziato l’esiguità dei processi arrivati a sentenza: nel 2021 solo 18 le condanne in primo grado con rito ordinario, nonostante le migliaia di iscrizioni nel registro degli indagati.

“L’abuso d’ufficio era il classico reato ‘starter'”, ossia una sorta di punto di partenza per indagini che possono portare alla scoperta di reati più gravi, spiega la procuratrice aggiunta di Milano, Tiziana Siciliano, che guida il gruppo di magistrati che persegue i reati contro la pubblica amministrazione. In questi casi buona parte delle iscrizioni arrivava da denunce dei cittadini che ritenevano di aver subito un sopruso e che danno avvio alle indagini. “Per questa ragione c’erano tante iscrizioni di fascicoli per abuso d’ufficio e tante archiviazioni”.

Il rischio di finire indagati, però, scatenava in funzionari e amministratori la cosiddetta “paura della firma”, con l’effetto di limitare l’operatività degli uffici pubblici. Per questo anche l’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) aveva spronato all’eliminazione del reato. Eppure, come sottolinea Davide Pretti, vicesegretario nazionale di Magistratura indipendente, il nodo reale non risiedeva nel reato ma nella sua applicazione: “La paura della firma si contrasta in altri modi, non abrogando la norma e aumentando l’impunità di alcuni comportamenti. È come se la politica avesse rinunciato al suo compito: siccome non è in grado di normare il fenomeno, allora elimina la legge”. Perdipiù, secondo lo studio di Cecilia Pagella pubblicato dalla rivista Sistema Penale, soltanto una piccola parte delle 345 sentenze della Cassazione sul tema riguardava i sindaci, coinvolgendo piuttosto dirigenti di uffici, medici e professori universitari su questioni quali permessi per costruire, licenze per avviare attività, collusioni con privati, favoritismi, demansionamenti e ritorsioni.

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Un pericoloso vuoto giuridico

Con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, le condanne passate (3.623 quelle censite tra 1997 e 2022) sono state cancellate, mentre le inchieste ancora in corso dovranno essere archiviate. A Milano, ad esempio, la procura stava indagando su abusi urbanistici legati alla costruzione di grattacieli, ma l’abuso d’ufficio è stato escluso dalle ipotesi di reato, complicando il percorso delle indagini. Inoltre, altri processi già in corso rischiano di perdere rilevanza legale. Almeno sei tribunali hanno sollevato la questione alla Corte costituzionale, chiedendo se la riforma sia conforme alla Costituzione e agli impegni internazionali contro la corruzione. In questo limbo, “il cittadino è privo di una tutela”, afferma Siciliano. Non solo: “Le procure potrebbero paradossalmente ipotizzare reati più gravi nei confronti degli indagati, con meno garanzie”.

Alcuni esperti, auditi dal parlamento, hanno spiegato che in certi casi potrebbero essere contestati reati come il peculato o la concussione, puniti più severamente, ma anche l’omissione di atti di ufficio, meno grave. La riforma Nordio ha poi depotenziato il traffico illecito di influenze, che puniva le mediazioni illecite, o più precisamente chi “sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale” o con altre figure, ne ricava un beneficio per sé o altri. Adesso sarà necessario provare la reale esistenza delle relazioni e il prezzo da pagare dovrà consistere in denaro o beni di natura economica: altri tipi di favori saranno esclusi. Aumenta la pena minima, ma non la massima, e così – nota il procuratore di Cuneo Onelio Dodero in una circolare – “non si consentono le intercettazioni in questo tipo di inchieste che, senza potersi avvalere delle intercettazioni, appaiono destinate a far poca strada”.

Colletti bianchi più sereni

Le novità della riforma introducono meccanismi che accrescono il disorientamento e l’incertezza del lavoro dei magistrati. Un esempio emblematico è rappresentato dalla riforma delle misure cautelari, che richiede un interrogatorio preventivo dell’indagato prima di qualsiasi arresto, a meno che non ci sia il pericolo di inquinamento delle prove, di fuga o – soltanto per alcuni reati come estorsioni, rapine, violenze sessuali, stalking o quelli di mafia e terrorismo – di reiterazione.

In sostanza, in casi di corruzione anche gravi, in cui però non c’è il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove, i presunti corrotti e corruttori saranno avvisati della richiesta di arresto e dovranno essere interrogati prima della decisione del giudice sulla misura cautelare. Quindi l’indagato riceverà dal giudice un invito a rendere l’interrogatorio preventivo e potrà conoscere gli atti dell’accusa ed eventualmente discolparsi. Solo dopo l’interrogatorio il gip potrà decidere sulla misura. Si tratta di una norma a garanzia dell’indagato, ma dimostra l’atteggiamento di riguardo verso chi è accusato di danneggiare la cosa pubblica.

Neanche altre proposte o modifiche procedurali, come i limiti all’uso dei trojan da installare sui telefonini per intercettare o i limiti ai sequestri degli smartphone, prevedono deroghe specifiche per le indagini su presunti casi di corruzione. Sin dai suoi esordi al potere, la destra ha adottato un approccio soft verso chi è accusato (o condannato) di reati a danno delle amministrazioni: il decreto anti-rave cancellava alcuni crimini dei colletti bianchi dall’elenco dei reati ostativi, cioè quelli per i quali non sono previsti benefici ai detenuti.

Una macchina ingolfata

“È in corso un attacco frontale più forte rispetto ai governi Craxi e Berlusconi. L’opera di delegittimazione della magistratura sta raccogliendo i suoi frutti”Angela Arbore – componente della giunta esecutiva dell’Associazione nazionale magistrati

Oltre all’interrogatorio preventivo, la riforma Nordio ha introdotto un’altra modifica che influirà molto sul lavoro dei palazzi di giustizia: dall’agosto 2026 le richieste di misure cautelari in carcere dovranno essere vagliate da tre giudici e non da uno soltanto. Questa norma avrà conseguenze soprattutto sui tribunali più piccoli, dove non ci sono abbastanza giudici per occuparsi delle varie fasi dei procedimenti più complessi. Intanto va avanti la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, un punto cruciale del conflitto tra governo e magistratura. Secondo Tiziana Siciliano, questa misura limita la autonomia della magistratura e indebolisce il controllo che la giustizia dovrebbe esercitare sul potere politico. “Stanno smantellando il sistema rendendo difficili le indagini e incerto l’esito con l’introduzione di orpelli formali e burocratici – afferma –. Vogliono che facciamo le indagini o no?”.

Cosa è la separazione delle carriere dei magistrati?

Le modifiche introdotte, come i test psicoattitudinali e altre norme destinate a limitare l’intervento delle toghe, sembrano voler dare al governo maggiore controllo sul lavoro dei pubblici ministeri. “C’è un filo comune – osserva Pretti –. Visto che la separazione di fatto c’è già, quella riforma punta ad altro: inserire il controllo del potere esecutivo sul pubblico ministero”. “È in corso un attacco frontale più forte rispetto ai governi Craxi e Berlusconi – dichiara Angela Arbore, giudice civile e componente della giunta esecutiva dell’Associazione nazionale magistrati –. L’opera di delegittimazione della magistratura sta raccogliendo i suoi frutti. Siamo arrivati all’acme”. Alcuni segni erano presenti nella riforma Cartabia, con una spinta alla burocratizzazione e le valutazioni, ma con il governo Meloni si è andati oltre. “I toni dello scontro hanno raggiunto livelli inaccettabili. Nordio parla di decisioni che “esondano”, sentenze “abnormi”, un linguaggio che travalica i termini civili”, conclude. 

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