Giustizia e ragion di stato

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La sentenza a favore del ministro Salvini è una sentenza suicida, dettata dalla ragion di Stato che i giudici hanno considerato prevalente sulla ortodossia giurisdizionale. Naturalmente si tratta di una sentenza impugnabile.

Giustizia e ragion di stato
(l’assoluzione di Matteo Salvini)
di Raniero La Valle
(pubblicato sul Il Fatto quotidiano del 28 dicembre 2024)

La sentenza di Palermo grazie alla quale è andato assolto il ministro Salvini è un paradosso che spiega più cose di quanto potrebbe fare un intero corso universitario. Si tratta di una sentenza evidentemente dettata dalla ragion di Stato, che è il paradigma nascosto che ispira la condotta degli Stati accanto e contro il paradigma ufficiale e dichiarato del diritto. E che di questo si tratti è dimostrato dalla lunga gestazione della sentenza (una giornata intera in Camera di Consiglio) e dalla plateale motivazione secondo la quale “il fatto non sussiste”, che è l’unica cosa invece assolutamente incontrovertibile: si può infatti dire che non sia un reato quel sequestro di persone, o che non si possa definire così quella omissione di atti d’ufficio, o che quelli fossero atti d’ufficio non dovuti, ma non si può dire che non sussista il fatto che a 147 naufraghi disperati, compresi infermi, donne e bambini, per nove giorni, sia stato impedito di toccare terra, di raggiungere la salvezza, di esercitare il diritto di chiedere asilo, di essere trattati e curati come esseri umani. È dunque una sentenza suicida, che nega se stessa, che sfugge ad ogni principio di realtà, e di cui gli stessi giudici sembrano dire che è impugnabile e riformabile da un’istanza giurisdizionale superiore.

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Ma ciò non per caso, o per denegata giustizia.  Al contrario appare che i giudici con tutto fondamento abbiano ritenuto di dover farsi carico di una ragion di Stato che, in presenza di un potere del tutto privo di una cultura di governo, di senso delle istituzioni, e incline a discorsi eversivi e vendicativi esigeva di prevenire una crisi devastante dell’ordinamento repubblicano e dei rapporti tra gli organi dello Stato, che nemmeno il presidente della Repubblica avrebbe forse potuto risanare.

L’arrogante preannuncio del ministro di non dimettersi e la solidarietà con l’imputato manifestatagli da poteri legittimi o prevaricatori interni e internazionali, rendevano molto plausibile tale pericolo. Ancora di più la millanteria del ministro Salvini di aver difeso i confini della Patria facendo strage di migranti inermi, rappresentava un oltraggio a quanti, militari e no, ad altissimi costi difendono le loro terre.

Quanto alla ragion di Stato, è chiaro che un ente pubblico, compresa la magistratura, agisce pur sempre nell’ottica del perseguimento dell’interesse collettivo, ma è molto delicato maneggiarla. È la prima cosa che andrebbe rivisitata in una riforma dello Stato che abbandonasse la sua versione moderna fondata sull’assoluto della sovranità, sul diritto di guerra, sulla mitica difesa dei confini e sulla “competizione strategica” di ognuno contro tutti. Dalla ragion di Stato discendono i Servizi segreti, che solo quando affiorano dal buio del segreto sono chiamati “deviati”; suoi frutti sono i colpi di Stato, come in Cile o a Damasco, le false rivoluzioni come in Ucraina o in certe “primavere arabe”, il sabotaggio delle infrastrutture, come i gasdotti nel mar Baltico, le irruzioni con i deltaplani a motore come a Gaza, gli omicidi mirati, come quelli a Teheran e a Dubai, o con i cercapersone come in Libano e in Siria, i prelevamenti forzati della CIA  e le “renditions”, come quella di Abu Amar a Milano.

Ma  dove la ragion di Stato e i relativi Servizi danno il meglio di sé è nel tirannicidio, pratica celebrata e discussa perfino in diritto e in morale, da Cesare a Saddam Hussein, e risparmiata, grazie a Putin, a Bashar al-Assad: la tesi soggiacente, come ricordato da Carl Schmitt, è che tyrannum licet adulari, tyrannum licet decipere, tyrannumm licet occidere: è lecito adulare il tiranno, è lecito ingannarlo, è lecito ucciderlo. Lecito o no, di certo è quello che in nome della ragion di Stato si fa nel benemerito Occidente, anche se non si tratta di tiranni, da Wael Zuaiter, il palestinese ucciso a Roma, a Kennedy, a  Allende, a Moro, a Gheddafi, fino a Ismail Haniyeh, il capo Hamas che voleva trattare, fino al generale russo Kirillov, che sosteneva vi fossero armi biologiche in Ucraina.

In ogni caso, tutto si può sostenere, tranne che la ragion di Stato consista nel fare del Mediterraneo un cimitero, e delle navi di soccorso bare galleggianti.

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