Firenze
Sui social “forme di aggressività, insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro”, ha detto l’arcivescovo di Firenze nell’omelia proclamata in cattedrale per la festa di Maria SS. Madre di Dio e Giornata mondiale della Pace
“Le guerre nel mondo sono la punta dell’iceberg di tante situazioni di conflitto presenti nel quotidiano, pensiamo solo a tutto quel pullulare di forme di aggressività, insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro, che circolano sui social”. Lo ha detto questa sera l’arcivescovo di Firenze, monsignor Gherardo Gambelli, nell’omelia proclamata questo pomeriggio in Cattedrale nella Solennità di Maria SS. Madre di Dio, e Giornata Mondiale della Pace.
Di seguito il testo dell’Omelia
Il primo giorno dell’anno civile, a conclusione dell’Ottava di Natale, celebriamo la solennità di Maria Santissima Madre di Dio. Questo titolo di Theotókos attribuito a Maria fu proclamato solennemente dal Concilio di Efeso nel 431. Si voleva in tal modo ribadire l’intima unione delle due nature: umana e divina del Verbo incarnato. Poiché Gesù è vero Dio e vero uomo, Maria è madre di Gesù e dunque madre di Dio. All’inizio di questo nuovo anno vogliamo affidare alla sua intercessione le nostre speranze e le nostre inquietudini, le nostre gioie e le nostre croci. Maria che ha tanto aiutato Gesù a crescere ora aiuta ognuno di noi a far crescere Gesù nella propria vita, a credere che la speranza riposta in Lui non illude né delude. Nelle letture della Messa di oggi possiamo cogliere tre aspetti su cui soffermarci nella riflessione: la benedizione di Aronne, il cuore di Maria, il canto dei pastori.
La prima lettura, tratta dal libro dei Numeri, ci presenta le parole di Mosè ad Aronne riguardo alla benedizione che Aronne e i suoi figli sono invitati a invocare sul popolo. Per la tradizione biblica, benedire significa stabilire una corrente di vita tra chi benedice e chi è benedetto. Accogliere la benedizione significa riconoscere Dio come nostro Creatore, colui che ci dà la vita. La conoscenza della nostra origine ci rivela chi siamo e dove stiamo andando: veniamo da Lui e andiamo verso di Lui. Un midrash racconta che, quando Dio decise di creare il mondo, le singole lettere dell’alfabeto si presentarono davanti a lui, perché egli creasse il mondo per mezzo di loro. Si presentò la lettera T. «Perché dovrei creare il mondo per mezzo di te?», le chiese Dio. «Perché io sono l’iniziale di tenerezza» fu la risposta. «Sì, ma T è pure l’iniziale di tradimento». Si presentò la lettera S e fece la stessa richiesta, essendo l’iniziale di santità. Ma Dio la rifiutò, perché era anche l’iniziale di solitudine. E anche tutte le altre lettere furono scartate perché, oltre che di termini positivi, erano anche iniziali di parole negative. Alla fine, si presentò la lettera B che è iniziale di benedizione. Dio si trovò d’accordo e creò il mondo! La benedizione dell’amore di Dio che si rivela nella creazione, nel donarci la vita, si manifesta ancora di più nella redenzione in Gesù Cristo che ci libera dal peccato e dalla morte. La stessa benedizione di Aronne sembra alludere a questa venuta del Messia Salvatore. Dice infatti il testo nella lingua originale: “Il Signore sollevi verso di te il suo volto e ti conceda pace”. La pace, la benedizione di Dio vengono dallo scoprirsi così tanto amati da un Dio che si fa piccolo e umile per venire a visitarci nelle nostre miserie. L’atto di sollevare il volto da parte di Dio, per guardare in alto, ci ricorda la storia di Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco che cercava di vedere Gesù mentre passava da Gerico. Il vangelo di Luca ci dice che è Gesù a vederlo per primo, alzando lo sguardo e invitandolo a scendere dal sicomoro: “Zaccheo, scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua”.
Benedetti da Dio anche noi benediciamo. Per poterlo fare con autenticità siamo invitati a seguire l’esempio di Maria che custodiva tutte le cose riguardanti suo Figlio, meditandole nel suo cuore. Papa Francesco nel messaggio per la 58° Giornata mondiale della pace ci invita a questa attenzione alla purificazione del cuore: “Cerchiamo la pace vera, che viene donata da Dio a un cuore disarmato: un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo”. Il verbo “meditare” (symballein) utilizzato a proposito di Maria che “custodiva tutte questa cose meditandole nel suo cuore”, ha il senso profondo di mettere insieme. È quell’atteggiamento che siamo chiamati a fare nostro imparando a leggere la vita con la Bibbia e la Bibbia con la vita. “Seguendo la parola delle tue labbra, Signore, ho evitato i sentieri del violento”, dice il Salmo 17.
Le guerre nel mondo sono la punta dell’iceberg di tante situazioni di conflitto presenti nel quotidiano, pensiamo solo a tutto quel pullulare di forme di aggressività, insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro, che circolano sui social. Alcuni anni fa, quando c’era la bella abitudine di mettere le bandiere della pace alle finestre, un gruppo di preti ebbe la bella idea di metterne due: una fuori e una dentro la sala da pranzo. Le nostre preghiere e le nostre manifestazioni per la pace saranno efficaci, se cominciamo a disarmare il cuore in casa, nei social e se sapremo tenere insieme la preghiera con il rispetto e la cura per la vita di tutte le creature.
Nella parte finale del Vangelo si racconta dei pastori che se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. I pastori si trasformano in angeli, cioè annunciatori della buona notizia. Come gli angeli, anch’essi trasmettono la gioia dell’incontro con il Salvatore attraverso il canto. Esprimono così la bellezza di questo avvenimento del Dio che si fa uomo e dona la forza di vincere il male con il bene. Un bel racconto immagina qualcosa che avvenne a Nazareth durante i trenta anni della vita nascosta di Gesù.
Quel giorno Maria si alzò di buon mattino e, senza calzare i sandali per non svegliare Gesù e Giuseppe che ancora dormivano, a piedi nudi e di buona lena, si diede a sfaccendare per casa. Riattizzò dalla cenere il fuoco, spalancò la finestra, andò ad attingere acqua al pozzo, poi pensò al pane per il giorno che cominciava. Guardò nella madia e non trovò che un mucchietto di farina, non più grande di un pugno. Per tre era poco, ma doveva bastare. Quella di fare il pane era per Maria una lieta fatica. Lo impastava con amore fino a renderlo una morbida pasta, ne faceva delle pagnottelle odorose e paffute, le portava poi al forno per farle dorare. La fragranza del pane quotidiano era per Lei una dolce preghiera di ringraziamento che saliva al cielo, anche quando, come in quel giorno, il pensiero di quell’unica pagnottella che doveva bastare per tutti le pesava sul cuore. Posata la forma su un’assicella coperta di lino, prese una fascina sotto il braccio e andò al forno. Là incontrò altre donne con il pane da cuocere. L’infornata sarebbe stata una sola. Vedendo il poco che portava, una di loro le chiese con aria sprezzante “Non siete più tre in famiglia, Maria?”. “Fornaio” disse un’altra, “attento a quando caverete il pane dal forno! Fate in modo che qualcuno non allunghi le mani più del dovuto per fare crescere il poco che ha portato”. Maria guardava fuori della bottega verso la sua casa lontana, sperando di vedere arrivare Gesù. Vedendola così distratta, la donna che aveva la forma più grande prese un coltello e con due colpi fece una croce sul pane di Maria. “Così” disse alle altre “quando sarà cotto si potrà riconoscere quello che è nostro da quello d’altri”. Il fornaio intanto mise a cuocere le forme. Le donne, aspettando, chiacchieravano, e il fornaio dava a tratti un’occhiata al forno per voltare il pane che cuoceva. “Ce n’è una che non smette di crescere” disse manovrando la pala di legno. E la donna che aveva fatto la croce sul pane pensava che quella forma non potesse essere che la sua. Il fornaio tornò a voltare il pane, sempre più stupito, sbottò: “C’è un pane che fiorisce come una rosa. Pare che si alzi in punta di piedi!”. E la donna superba pensò fra sé: “Eppure ho sempre adoperato lo stesso mucchio di farina degli altri giorni”. Quando il fornaio tolse le pagnotte, ecco cosa vide: quello segnato dalla croce sembrava moltiplicato in grandezza. Da misera pasta era diventato il più grosso, il più dorato, il più odoroso. Il segno tracciato dall’avarizia lo aveva fatto fiorire e crescere come per incanto. C’erano lì delle donne e la notizia del prodigio si diffuse. Da quel giorno tutti cominciarono a portare il loro pane segnato da una croce e, ancora oggi, non si cuoce pane senza che non porti quel segno di croce come una piccola benedizione di Dio.
Anche noi stasera Padre, ricevendo il corpo di Cristo tuo Figlio nell’Eucaristia siamo segnati con il segno della croce. Fa’ che accogliendo la tua benedizione e meditando la tua Parola nel cuore anche noi possiamo cantare la tua gloria con la santità della nostra vita e offrire del cibo a chi ha fame di senso per la propria esistenza.
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