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Dal World Index 2024 di ChildFund Alliance e WeWorld emerge un quadro preoccupante: ci vorranno 13 anni per raggiungere l’inclusione di donne, bambine e bambini. I loro diritti non sono sempre garantiti

«Dovrebbero proteggere i bambini dalla violenza, chiedere la loro opinione e trattare i ragazzi e le ragazze allo stesso modo». Così un ragazzo di 16 anni del Kenya riferendosi agli adulti [traduzione dell’autrice dell’articolo], tra le voci raccolte da ChildFund Alliance  e WeWorld per il ChildFund Alliance World Index 2024, l’indice che analizza la condizione di donne, bambine e bambini in 157 Paesi nel mondo, Italia compresa, presentato alle Nazioni Unite a New York il 13 novembre scorso. Le associazioni hanno raccolto le testimonianze di 10mila bambine, bambini e adolescenti tra i 10 e i 18 anni di 41 Paesi.

L’attenzione ricade per prima su un dato allarmante: 113, gli anni che ci vorranno, di questo passo, per raggiungere l’inclusione di donne, bambine e bambini in tutto il mondo. Sono stati compiuti notevoli progressi, nonostante questo, afferma il rapporto, un bambino e una bambina su tre e più di una donna su quattro vivono in Paesi in cui i loro diritti non sono ancora sufficientemente rispettati. Sono gli stessi bambini e bambine ad affermare di non sentirsi felici, almeno uno su 10. Questo dovrebbe farci porre diversi interrogativi e pensare a soluzioni strutturali per il futuro. Ed è da qui che partiremo per analizzare gli altri dati.

Il ChildFund Alliance World Index

ChildFund Alliance è un network globale di 11 organizzazioni umanitarie, tra cui WeWorld, membro italiano della rete. WeWorld è un’organizzazione no profit italiana indipendente attiva in 26 Paesi, compresa l’Italia. Si occupa di progetti volti a garantire i diritti delle donne, delle bambine e dei bambini, promuovendone lo sviluppo  umano ed economico. Il ChildFund Alliance World Index, pubblicato in precedenza come WeWorld Index da WeWorld, si occupa di valutare l’implementazione dei diritti di donne, bambine e bambini in 157 Paesi in base a 30 indicatori. Il tema del 2024 era il diritto dei più giovani ad avere un futuro, di vivere in un mondo che possa garantire il loro benessere con opportunità più eque.

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Opportunità che non sempre vengono garantite. Dal rapporto emerge che i contesti in cui vivono donne e bambini sono meno sicuri e democratici rispetto al passato, nonostante i progressi nell’accesso alle informazioni e ai servizi WASH (Water, Sanitation and Hygiene), ovvero i servizi igienico-sanitari ma anche l’accesso alle fonti d’acqua. Fermi dal 2020, invece, i miglioramenti nell’accesso all’istruzione, anche a causa della pandemia.

L’istruzione delle donne, in particolare, e la loro presenza nei posti apicali e nei processi decisionali sono in aumento, nonostante questo permane una forte disparità con gli uomini: le donne sono la categoria sociale con la più alta probabilità di veder violati i propri diritti.

I dati

Prima di volgere lo sguardo ai dati ricordiamo che per questa edizione sono stati esclusi per mancanza di dati i seguenti Paesi:  Bahamas, Barbados, Brunei, Repubblica del Congo, Eritrea, Micronesia, Gabon, Guinea Equatoriale, Haiti, Iraq, Libia, Corea del Nord, Sudan, Isole Salomone, Somalia, Sud Sudan, São Tomé e Príncipe, Siria e Turkmenistan. Nell’ultimo anno non è stato possibile tenere conto dei dati provenienti dal Medio Oriente. I dati più recenti fanno riferimento al 2023 ma potrebbero non riflettere le conseguenze dei grandi eventi globali recenti.

Ai primi tre posti per rispetto dei diritti di donne e bambini (sui 157 Paesi analizzati) rimangono Svezia, Islanda e Norvegia, seguite da Svizzera, Australia e Danimarca. Tra i primi 21 Paesi (Advanced Human Rights Implementation) ci sono Slovenia, Finlandia, Paesi Bassi, Estonia, Austria, Irlanda, Lituania, Nuova Zelanda, Portogallo, Francia, Regno Unito, Belgio, Lettonia, Canada e Spagna. In fondo alla classifica (Minimal Human Rights Implementation, posizioni 131-157)  ci sono Afghanistan, Mali, Niger, Repubblica Centrafricana e Ciad. Il rapporto prevede una maggiore erosione dei diritti in Palestina e in Libano.

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Per quanto riguarda i diritti dei bambini nello specifico, ai primi tre posti abbiamo Danimarca, Paesi Bassi e Svezia, agli ultimi tre Niger, Repubblica Centrafricana e Ciad. Si registra, sottolinea il rapporto, una stagnazione dal 2021 e un leggero deterioramento dei diritti dal 2022, con variazioni nelle singole Regioni. Se si guarda, invece, alla classifica relativa ai diritti delle donne, sul podio troviamo Svezia, Australia e Islanda; fanalino di coda Niger, Ciad e Afghanistan.

E l’Italia? La Penisola si trova al 34esimo posto della classifica generale (Strong Human Rights Implementation, Forte implementazione dei diritti umani), al 25esimo posto (quindi nella parte alta, Advanced Human Rights Implementaion, posizioni 1-29) per quanto riguarda i diritti dei bambini ma al 40esimo posto per quanto riguarda l’implementazione dei diritti delle donne. La situazione, emerge dall’indice, è sostanzialmente peggiorata dal 2015; nonostante ci sia stato un lieve miglioramento nella salute femminile, si è registrato un peggioramento in altri ambiti, come l’accesso e la presenza nei processi decisionali.

Spesso ci si dimentica di un aspetto fondamentale: i bambini e le bambine godono di diritti, e andrebbero interpellati e ascoltati, cosa che non sempre avviene. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rights of the Child – CRC), approvata nel 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riconosce le bambine, i bambini, le e gli adolescenti come titolari dei diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici.

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Il primo dato a emergere è che un/a bambino/a con disabilità su 7 non frequenta la scuola a cadenza regolare. Inoltre, l’insicurezza alimentare colpisce maggiormente bambini e bambine disabili (il 23%, 1 su 4), rispetto a chi non ha disabilità. Inoltre, quasi un bambino su 10 ha affermato di lavorare.

Una fotografia che mostra un presente problematico. E il futuro? Ai bambini e agli adolescenti ascoltati è stato chiesto di indicare quali sono le minacce attuali che possono influire sul loro futuro. Le prime tre sono risultate essere la disoccupazione (per il 66,3% delle persone che hanno risposto), la povertà (per il 65,3%) e le epidemie (65,2%), visto anche l’impatto della pandemia. Ma sono tante le preoccupazioni per i e le più giovani: guerre, mancanza di acqua e di cibo, cambiamenti climatici, discriminazione in base al genere, alla provenienza, all’etnia, alla disabilità, alla religione, l’essere costrette/i ad abbandonare le proprie case o la propria comunità, il crimine, la violenza (il bullismo ma anche gli abusi da parte degli adulti), il terrorismo e i rischi del web.

epa11564445 An Afghan woman walks on a road in Kabul, Afghanistan, 25 August 2024. The Taliban in Afghanistan have recently enforced new laws mandating that women must cover their bodies and faces in public, citing these measures as necessary to promote virtue and prevent vice, the Ministry for the Propagation of Virtue and Prevention of Vice said. Approved by their Supreme Leader Hibatullah Akhundzada, the regulations include restrictions on women’s voices in public, the prohibition of images of living beings, and bans on music and mixed-gender interactions. The measures have drawn criticism from the United Nations (UN) for fostering fear and intimidation, especially among women and girls, as the Taliban’s Ministry for the Propagation of Virtue and Prevention of Vice expands its control over public life. EPA/SAMIULLAH POPAL

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Una donna a Kabul, Afghanistan, nel 2024 – ANSA/EPA/SAMIULLAH POPAL

L’intervista

Abbiamo parlato del World Index 2024 con Martina Albini, Coordinatrice del Centro Studi di WeWorld.

Dal World Index 2024 emerge che ci vorranno 113 anni per raggiungere l’inclusione di donne, bambine e bambini. Una donna su quattro vive in Paesi in cui l’implementazione dei diritti umani è limitata o minima. Considerando le diverse aree geografiche, quali sono i settori in cui sono stati fatti meno progressi e quelli in cui ne sono stati fatti di più?

«Noi consideriamo tre sottoindici: quello di contesto, quello relativo ai bambini e quello relativo alle donne. Dal 2015, anno in cui abbiamo iniziato a pubblicare il World Index, quello relativo alle donne è stato quello meno performante: questo significa che a oggi le donne sono la categoria sociale più vulnerabile e in condizione di maggiore fragilità. E ci sono Paesi in condizione di fragilità cronica, in particolare l’Afghanistan. Tra le dimensioni che migliorano maggiormente ci sono l’educazione. Dovremmo, poi, andare a vedere le differenze tra l’accesso all’educazione, la retention e le competenze educative, ma in generale è sicuramente migliorato molto. Dal 2015 sono migliorate anche le opportunità economiche, seppure non tanto quanto l’educazione: anche in questo caso non c’è stato un miglioramento elevato. Va considerato a parte, invece, l’accrescimento relativo alla partecipazione ai processi decisionali delle donne – che ha registrato un miglioramento di due punti percentuali – perché questa dimensione è volatile: sicuramente ci sono stati dei processi di empowerment importanti, (il role modeling conta molto, vedere donne in ruoli di potere ha un forte impatto sulle bambine). Ma, ad esempio, i cicli elettorali sono particolarmente volatili, pensiamo anche solo al nostro Paese: la legislatura attuale è quella che ha meno donne presenti in Parlamento, quindi non si può dire che il risultato della partecipazione delle donne ai processi decisionali sia consolidato. Sappiamo che al momento c’è un miglioramento ma non sappiamo cosa accadrà nei prossimi anni, dovremmo valutare i trend sul lungo periodo. Per quanto riguarda le aree geografiche, i miglioramenti maggiori si osservano in quei luoghi che partono da livelli molti bassi di implementazione dei diritti umani. Questo, purtroppo, è normale: quando si parte da livelli molto bassi di accesso ai diritti umani quali i WASH (quindi accesso all’acqua, all’elettricità) il salto in avanti fa registrare un avanzamento molto elevato. Questo è quello che è successo negli ultimi anni, soprattutto da quando è stata lanciata l’Agenda 2030 [Agenda delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, NdR]. Tendenzialmente i Paesi che partono da una condizione svantaggiata corrono più veloci e questo dipende da un fatto: i diritti umani non esistono in natura, sono una scelta che facciamo ogni giorno, vanno coltivati, quindi, paradossalmente, le aree geografiche che tendiamo a considerare più avanzate come i nostri Paesi occidentali non migliorano così tanto. Questo lo abbiamo notato in tutte le edizioni degli indici: dobbiamo investire per salvaguardare i nostri diritti umani. Lo vediamo continuamente nel nostro Paese, dove i diritti umani sono costantemente sotto attacco, specialmente quelli delle donne».

Avete raccolto le testimonianze di 10mila bambine, bambini e adolescenti in 41 Paesi. C’è un dato in particolare: un bambino su 10 ha affermato di non sentirsi felice. L’indice evidenzia come il livello di felicità sia collegato alla frequenza scolastica e alla sicurezza alimentare. Ad oggi qual è lo “stato di salute” dei diritti all’istruzione e al cibo, tenendo sempre conto delle differenze a livello geografico?

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«Questo dato è molto più alto nei Paesi del Nord globale, in particolare europei, dove sale a un bambino su due. Questo ci ha fatto riflettere: evidentemente nelle nostre società occidentali c’è qualcosa che non funziona nella salvaguardia della salute mentale dei bambini e delle bambine. Dopodiché ci siamo concentrati sulla condizione sociale delle bambine e dei bambini e abbiamo rivolto loro una serie di domande. Le aree in cui si registra una maggiore deprivazione purtroppo non ci hanno sorpreso: l’Africa subsahariana rimane quella a maggiore povertà cronica. Un bambino su tre in Africa centrale e occidentale – che a oggi rimane la parte più povera del Pianeta – non va a scuola regolarmente. In generale un bambino su 7 è in condizione di insicurezza alimentare: è un dato altissimo. Abbiamo, poi, studiato le condizioni di vulnerabilità intersezionale ed è emerso che i bambini con disabilità sono maggiormente esposti ad alcune di queste privazioni; l’insicurezza alimentare colpisce un bambino con disabilità su quattro. Siamo, poi, andati a vedere come queste situazioni si correlassero a all’infelicità: in generale, più i bambini si trovano in queste situazioni e più sono infelici. Più i vivono queste condizioni e più sono inconsapevoli di essere portatori di diritti: molti non sono consapevoli del concetto stesso di diritto. Con i bambini abbiamo approfondito tematiche profonde durante l’indagine, volevamo far sì che avessero una conoscenza nuova, una agency, e che si rendessero conto che non sono semplicemente appendici dei loro genitori».

Quali sono le preoccupazioni principali delle bambine e dei bambini e le loro speranze?

«I bambini sono molto consapevoli di quanto succede nel mondo, quindi non pensiamo che non sappiamo cosa accade intorno a loro. Tra le loro preoccupazioni ci sono, innanzitutto, le guerre e i conflitti: molti bambini che abbiamo intervistato vivono queste situazioni. Poi la disoccupazione, proprio perché i conflitti lasciano situazioni di povertà cronica. Ovviamente la povertà stessa e le pandemie, e questo pensiamo sia influenzato da quello che molte e molti di loro hanno vissuto in seguito al COVID 19. Nella consultazione c’era una parte aperta alle testimonianze, abbiamo lasciato che fossero i bambini a dire agli adulti quali azioni compiere per creare un futuro migliore. Mettendo insieme tutte le testimonianze e facendo un’analisi qualitativa abbiamo stilato cinque indirizzi relativi alle indicazioni principali. Il primo riguarda l’educazione: i bambini chiedono l’accesso a un’educazione di qualità perché riconoscono in essa la strada principale per raggiungere i loro obiettivi. Vogliono essere protetti da ogni forma di violenza e discriminazione – che ancora molti di loro sperimentano – vogliono essere ascoltati e capiti, vogliono che la loro opinione venga presa sul serio. Mentre facevamo questa indagine abbiamo chiesto loro se venisse richiesta la loro opinione e molti non sapevano il significato della parola “opinione”. Questa cosa è gravissima: l’articolo 12 della CRC (Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza) sancisce il rispetto dell’opinione dei bambini. Vogliono essere capiti, incoraggiati, guidati, supportati nelle loro scelte e nel loro cammino verso l’età adulta».

Alla fine del rapporto sono elencate delle raccomandazioni. Quali sono?

«Innanzitutto l’istituzionalizzazione dei meccanismi della child participation. Il filo conduttore della pubblicazione è il riconoscimento del diritto al futuro, che è un modo nuovo di guardare alle sfide che ad oggi le politiche non sono state in grado di affrontare, pensiamo al cambiamento climatico, ai conflitti in generale. Si è rotto il patto intergenerazionale, per questo bisogna parlare seriamente non solo con le nuove generazioni, ma anche con quelle che devono ancora venire. Nelle nostre raccomandazioni ci sono una serie di consigli, come, ad esempio, creare dei tavoli di child participation, l’adozione del budget intergenerazionale , come creare documenti child friendly nel linguaggio e come far sì che i bambini conoscano i loro diritti».

La strada è ancora lunga ma per percorrerla dobbiamo farci guidare dalle opinioni delle bambine, dei bambini, degli adolescenti. Tra le testimonianze raccolte c’è quella di una bambina di 12 anni del Mozambico che ha detto: «Adults should know that we are flowers that do not wither», «Gli adulti dovrebbero sapere che siamo fiori che non appassiscono».

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di: Francesca LASI

FOTO: SHUTTERSTOCK/ANTON_IVANON





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