Sono molteplici le sfide di fronte a cui ci ha posto il 2024, dal punto di vista della crisi climatica. Ma non sono da meno le opportunità che potremmo e dovremmo cogliere nel 2025 per attuare una transizione energetica in grado di mettere al riparo dai principali rischi noi e il pianeta che ci ospita. Un sintetico quanto chiaro quadro di entrambe le cose emerge da un’intervista che Gianni Silvestrini ha rilasciato al magazine online di Enea “Energia ambiente e innovazione”. Dal consumo di suolo in Italia che non si arresta alla crescita delle rinnovabili, sono molti i temi toccati dal direttore scientifico del Kyoto club, tutti ruotanti intorno a quello che è l’obiettivo centrale da perseguire nei prossimi mesi: ridurre le emissioni di CO2 per mettere un argine ai sempre più frequenti eventi meteo estremi che, tra fenomeni di grave siccità, alluvioni, uragani stanno provocando sempre più ingenti danni in termini economici e di perdita di vite umane.
In Italia la questione dovrebbe essere affrontata con serietà e urgenza, anche alla luce di quanto avviene nel nostro Paese, alla luce della particolare conformazione della nostra penisola e alla luce di un consumo di suolo che procede a ritmi accelerati anche in zone ad alto rischio idrogeologico. Eppure, come ha evidenziato l’ultimo rapporto Ispra, in Italia ogni secondo 2,3 metri quadrati di terreni verdi diventano grigi di cemento anche in aree alluvionali e franose. Sottolinea Silvestrini: «In Italia il Piano per la transizione ecologica (Pte) aveva fissato l’obiettivo di arrivare a un consumo netto del suolo pari a zero entro il 2030, anticipando di vent’anni l’obiettivo europeo, ma pare un obbiettivo svanito nel nulla. L’azzeramento del consumo di suolo doveva avvenire sia minimizzando gli interventi di artificializzazione, sia aumentando il ripristino naturale delle aree più compromesse. Purtroppo tutto questo non è successo, anzi. Secondo Paolo Pileri, docente di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano, la Regione Emilia-Romagna dal 2006 al 2022 ha cementificato oltre 11mila ettari, ovvero 110 chilometri quadrati e quasi tutto, per giunta, in aree alluvionabili».
Ma il problema è molto più vasto e richiama appunto la necessità di ridurre le emissioni climalteranti. Tra molte ombre, ci sono un paio di fasci di luce che il direttore scientifico del Kyoto club individua in quanto sta accadendo a livello planetario, ovvero l’accelerazione del contributo delle rinnovabili e lo sviluppo della mobilità elettrica. «Secondo I’Agenzia internazionale per l’energia nel 2025 le energie pulite sorpasseranno su scala mondiale, oltre alla generazione da gas, anche quella da carbone», osserva Silvestrini. «Questo boom delle installazioni pulite fa ritenere che siamo in presenza di un cambio di passo destinato a trasformare radicalmente gli scenari internazionali». Il dato interessante è che la potenza fotovoltaica solare installata raddoppia all’incirca ogni tre anni. «Fra un decennio questa potrebbe essere la principale tecnologia per la produzione di elettricità nel mondo. Nel 2004, ci è voluto un anno per installare un GW fotovoltaico a livello globale. Nel 2010, un mese. Nel 2023, un giorno. L’anno scorso sono stati installati nel mondo 446 GW solari con un incremento dell’88% sull’anno precedente. La stima per il 2024 è di 593 GW». Questo scenario, in cui i costi delle tecnologie pulite sono diminuiti fino all’80%, mentre gli investimenti sono quasi decuplicati e la produzione solare è aumentata di dodici volte, dice Silvestrini, fa indulgere all’ottimismo e «l’Italia deve inserirsi in questa onda positiva. E se il governo Meloni punta al ritorno del nucleare, il direttore scientifico del Kyoto club ricorda, numeri alla mano, che «nel 1996 il contributo atomico nella produzione elettrica mondiale era del 17,5% una percentuale che è continuamente calata ed è scesa al 9,5% nel 2023», anno in cui «a fronte di un calo di 1 GW nucleare a causa di un maggior ruolo dei reattori dismessi rispetto a quelli avviati, l’eolico e il fotovoltaico hanno visto un aumento di 510 GW».
C’è poi un altro settore che può contribuire in maniera importante al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, quello dell’automotive, se adeguatamente indirizzato. «In Cina, dove ormai molti modelli sono meno costosi degli equivalenti a combustione interna, nel 2024 oltre la metà delle vendite ha riguardato auto elettriche». L’Europa però deve saper giocare in modo adeguato questa sfida. Cosa che, come dimostrano i dati sulle vendite emersi nei mesi scorsi e recentemente sempre più conclamati, finora non ha saputo fare. Osserva Silvestrini: «Secondo un’analisi di Transport&Environment, mentre nel 2021 il prezzo medio dei veicoli elettrici europei era inferiore a 30.000 euro e la quota delle vendite di veicoli di grandi dimensioni era vicina al 40%, all’inizio del 2024 il prezzo medio era aumentato di oltre 10.000 euro e la quota di veicoli elettrici di grandi dimensioni venduti era aumentata fino a circa il 60%. Cioè le case automobilistiche europee hanno scelto di concentrarsi sulla produzione e promozione di modelli di lusso e di grandi dimensioni a scapito delle auto compatte». Una riflessione su questo andrebbe fatta, da parte delle aziende produttrici ma anche da parte dei vertici comunitari. Osserva infatti Silvestrini che assecondare scelte di produzione sbagliate crea danni di tipo economico e ambientale. «Secondo la Iea le emissioni dei Suv hanno contribuito al 20% dell’aumento globale delle emissioni di CO2 nel 2023. Se i Suv fossero una nazione, sarebbero il quinto più grande emettitore di CO2 al mondo, superando quelle di Giappone e Germania. L’aumento della loro popolarità è legato allo status symbol, al marketing e alla percezione di un maggiore comfort. Tuttavia, i Suv presentano rischi maggiori negli ambienti urbani e occupano più spazio rispetto alle auto standard».
Un’ultima riflessione, questa volta di segno positivo, Silvestrini la dedica a un altro settore, anch’esso legato alla decarbonizzazione, alle rinnovabili e alle auto elettriche. «Per finire, va sottolineato come sia il successo del fotovoltaico che della mobilità elettrica dipendono anche dalla disponibilità di batterie sempre più efficienti e meno care. Il loro costo in meno di 15 anni si è infatti ridotto di più del 90%. I prezzi delle batterie sono scesi da 1.400 dollari per kWh nel 2010 a meno di 140 dollari per kWh nel 2023, un vero e proprio crollo, destinato peraltro a continuare. E il grande produttore cinese di batterie Catl ha infatti dichiarato che ridurrà quest’anno il costo delle sue batterie del 50%». Sottolinea il direttore scientifico del Kyoto club che nel settore della generazione elettrica, «nell’ultimo quadriennio la crescita di questa tecnologia è stata impressionante, con un raddoppio annuo degli incrementi. E, per triplicare la potenza elettrica rinnovabile al 2030 occorrerà moltiplicare per sei la domanda dei sistemi di accumulo».
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