di ANTONIO GOZZI
C’è una larga convergenza di analisi e previsioni economiche, e di considerazioni geopolitiche, sul fatto che anche il 2025 sarà un anno difficile.
Concorrono a queste previsioni: la grande incertezza legate alle due guerre in corso, il configurarsi di nuovi equilibri mondiali in cui l’Occidente sarebbe progressivamente marginalizzato, i timori di una risorgente inflazione che potrebbe non essere stata totalmente debellata e quindi di una discesa dei tassi di interesse meno veloce del previsto, le incognite legate alle future politiche economiche di Trump con un ritorno a dazi e protezioni, il fortissimo rallentamento economico cinese, la crisi grave dell’economia europea e in particolare di alcuni settori industriali, e chi più ne ha più ne metta.
Tutto vero, ma questa visione globale apocalittica non mi convince.
È vero che la complessità che abbiamo dinanzi sembra essere la cifra dominante del nostro tempo; ma proprio dalla lettura della complessità, da una lettura olistica e non parziale volta a cogliere il senso profondo delle cose, si possono individuare, a mio giudizio, segnali positivi che ci consentono di essere meno pessimisti senza perdere il realismo che deve sempre guidarci.
Troppo spesso i media e gli analisti indulgono nel pessimismo.
Oggi il pessimismo radicale è, in Occidente, anche il modo con cui viene fatta, specie a sinistra, opposizione: invece di proporre alternative si evocano disastri.
Il pessimismo, specie se apocalittico, non è mai servito a niente né ha fatto bene a nessuno, anzi spesso ingenera e autoavvera scenari negativi.
Proviamo una narrazione diversa delle cose.
Partiamo dai conflitti in corso, che rappresentano il vero snodo del futuro degli equilibri mondiali, e rispetto ai quali le opinioni pubbliche occidentali, affette da pessimismo cronico, sono state talvolta afflitte da “distorsioni cognitive”: sensi di colpa e pacifismo della resa. Tali atteggiamenti fortunatamente non sono stati seguiti dai Governi che, soprattutto nei confronti del neo-imperialismo russo e dell’invasione dell’Ucraina, hanno mantenuto la barra dritta.
La mia tesi è che nel 2025 le due situazioni, quella russo-ucraina e quella mediorientale, potrebbero volgere al meglio.
La prima buona notizia è che la nuova Amministrazione americana, al di là degli slogan da campagna elettorale (“in una settimana risolverò la questione ucraina”), sembra intenzionata a sfruttare il miglior rapporto con Putin ma niente affatto a lasciare spazio al neo-imperialismo russo. Si aprirà a breve una trattativa per arrivare ad una pace giusta che consenta all’Ucraina garanzie per il futuro con un rapporto forte con l’Europa che aiuti la ricostruzione del Paese.
La Russia, al di là dei proclami roboanti, è in difficoltà e fortemente indebolita dalla guerra, come la vicenda siriana conferma. L’unità di intenti tra UE e USA sarà determinante per far pendere il piatto della bilancia dalla parte giusta e per non rendere vano l’enorme sacrificio del popolo ucraino. Anche il ruolo dell’Italia e del Governo Meloni da questo punto di vista sarà importante, con la conferma del suo solido radicamento atlantico.
La vicenda medio-orientale, dal mio punto di vista, è ancora più positiva. L’eccidio del 7 ottobre perpetrato dalle bande di Hamas ha scatenato una reazione di autodifesa israeliana che dopo una guerra atroce, come tutte le guerre specie se combattute in aree urbane, ha sostanzialmente sconfitto il cerchio di fuoco che la teocrazia iraniana, attraverso le sue proxy Hamas, Hezbollah e Houthi, aveva messo in campo per eliminare dalle carte geografiche Israele, ‘dal fiume al mare’, e per cercare, con l’alleanza della Russia e della Corea del Nord, di mettere in crisi lo schieramento occidentale.
Io credo che anche il blocco dello stretto di Bab el Mandeb e l’accesso al mar Rosso provocato dagli attacchi degli Houthi, che ha provocato la riduzione di quasi del 70% dei traffici che passano da Suez con danni enormi all’Egitto e significativi rincari nelle tariffe dei trasporti marittimi, potrebbe risolversi con una sconfitta secca del gruppo terroristico yemenita.
Da questo tentativo di destabilizzazione dell’intera area l’Iran esce sostanzialmente sconfitto, con le sue difese aeree distrutte, con le sue milizie sciite terroristiche che non esistono quasi più, con il regime alleato di Assad in Siria, sostenuto da Teheran e Mosca, rovesciato. Quell’Iran che oggi imprigiona come ostaggio la giornalista italiana Cecilia Sala; la stessa teocrazia che invia messaggi di congratulazioni agli studenti americani ed europei che manifestano contro Israele.
Si riaprono le prospettive di un grande accordo tra Israele e Arabia Saudita, Emirati, Sudan e Marocco: l’accordo di Abramo, nato sotto la precedente presidenza Trump, che se portato a compimento può trasformare il Medio-oriente pacificato in una grande area di sviluppo e di innovazione. In questa situazione è anche più realistica la creazione nella striscia di Gaza di uno Stato palestinese completamente demilitarizzato e sotto patronato saudita, che curi la ricostruzione dell’area.
In generale si scorgono prospettive di apertura di nuovi modelli di cooperazione tra Occidente e sud del mondo in un quadro di rispetto reciproco.
Quella dell’alleanza del Sud del mondo contro l’Occidente è stata definita da più parti una finzione.
In effetti interessi spesso divergenti, debolezza economica e crisi istituzionali di molti Stati (si pensi ad esempio alla grave crisi del Sudafrica che nel sogno di Mandela doveva diventare il faro dei più deboli e oggi invece è stretta tra una crisi economica drammatica e la corruzione fortissima del partito al potere, gli eredi di Mandela appunto), confrontation storiche (si pensi ad esempio alle tensioni che da sempre caratterizzano il rapporto tra India e Cina) stanno a testimoniare che senza l’aiuto dell’Occidente il Sud del mondo è destinato a rimanere a lungo in difficoltà.
Questo è il punto. Il primo Ministro indiano Narendra Modi ha dichiarato di recente: “Quando interi Paesi sentono che i loro punti di vista, le loro preoccupazioni e i loro problemi non sono presi in considerazione nel processo decisionale, si profila una grande minaccia per l’ordine mondiale”. L’Occidente e l’alleanza atlantica tra USA e UE devono impegnarsi di più per cooperare con il Sud del mondo e aiutarlo nella sua crescita che interessa fortemente anche agli occidentali.
In questo contesto il Piano Mattei lanciato dal Governo italiano, che sta facendo i suoi primi passi, può essere un tassello fondamentale. Abbiamo detto più volte e ripetiamo che l’Italia può avere un ruolo importantissimo di ambasciatore e traduttore dei valori occidentali di libertà, democrazia, libera impresa nell’area del Mediterraneo e nei confronti dei popoli e dei Paesi del Nord Africa in particolare ma non solo.
La forza dell’Occidente, grazie anche all’eroismo ucraino e alla forza di Israele, non esce ridimensionata dalle turbolenze geopolitiche degli ultimi anni. Bisogna lavorare affinché la complessità attuale e il riequilibrio anche economico delle varie aree del globo vengano gestiti con logiche di cooperazione ordinata, senza lasciare spazio a neo-imperialismi insorgenti e a protezionismi eccessivi destinati a mettere in crisi il commercio internazionale e quindi anche i destini dei più deboli.
Il volgere al meglio dei due conflitti in corso può generare un sentimento di speranza e di crescita. E le aspettative psicologiche contano tantissimo in un contesto economico non brillantissimo come l’attuale.
L’Europa sta facendo seriamente i conti con gli errori e gli ideologismi del recente passato, in particolare su due argomenti chiave: green deal e debito comune.
Sul green deal la crisi dell’auto, conseguenza anche degli estremismi ambientalisti di cui più volte abbiamo scritto (ma si possono far pagare 16 miliardi di multe nel 2025 alle case automobilistiche europee perché non hanno venduto abbastanza auto elettriche?) ha fatto da detonatore. Non si rimetteranno in discussione gli obiettivi di decarbonizzazione ma tempi e modi sì. Bisogna in altre parole armonizzare la sostenibilità ambientale con quella del sistema industriale. Il 2025 sarà un anno chiave al riguardo.
Sul debito c’è da segnalare il documento recente di politica economica della CDU, (partito determinante nelle scelte del PPE europeo) che con ogni probabilità vincerà le elezioni tedesche, e che per la prima volta apre ad un debito europeo comune per finanziare gli investimenti, in particolare quelli della transizione. Draghi docet, e finalmente passa l’idea degli eurobond finalizzati agli investimenti di tremontiana memoria.
Un debito federale europeo volto a finanziare il rilancio e la transizione industriale può cambiare il mondo, e consentire all’UE di recuperare una parte del gap accumulato verso USA e Cina.
Altra buona notizia è che è in corso, e si consoliderà nel 2025, un avvicinamento tra UE e Gran Bretagna, grazie anche alla saggezza del nuovo premier inglese Starmer. L’Europa ha un grande bisogno della Gran Bretagna e speriamo che il processo di riavvicinamento si consolidi.
L’economia americana sotto l’effetto delle politiche di Trump correrà, se si riusciranno a contenere le pulsioni protezionistiche della nuova Amministrazione con un negoziato incentrato sul gas e sui beni per la difesa, e sul concetto di una sempre più stretta complementarietà e cooperazione economica atlantica.
Se l’impetuosa crescita statunitense, che per altro ha segnato anche gli ultimi anni della presidenza Biden, continuerà e si rafforzerà farà bene a tutto il mondo.
In questo contesto il nostro Paese e il sistema industriale italiano hanno una partita importantissima da giocare. Certamente la crisi di taluni settori, in primis l’automotive, si fa sentire anche da noi e, da taluni esponenti dell’industria nazionale, si levano grida di dolore comprensibili.
Ma anche qui lo sforzo deve essere quello di distinguere tra congiuntura e struttura.
La fase non è facile e le conseguenze si fanno e si faranno sentire; ma il nostro sistema industriale resta e si conferma il quarto del mondo in quanto a export davanti a Giappone e Corea del Sud, e dietro soltanto a USA, Cina e Germania.
Questo è un segnale di vantaggio competitivo puro della nostra manifattura, che nella sua diversificazione e nelle sue eccellenze viene ammirata anche dai colleghi europei francesi e tedeschi come il sistema industriale più vitale d’Europa.
Le sorgenti di questo vantaggio competitivo vanno bene analizzate e comprese per difenderle con le unghie e con i denti. E questo sarà uno dei compiti principali del sistema Italia nel 2025.
La stabilità del Governo italiano, a confronto con le turbolenze di Francia e Germania, può costituire un ulteriore elemento di forza della nostra economia, e ci consentirà di dire autorevolmente la nostra a Bruxelles per l’impostazione di politiche industriali europee nuove e pragmatiche che individuino il rilancio e la crescita come obiettivi strategici.
Churchill diceva che anche nelle avversità gli ottimisti vedono nuove opportunità. Se si fosse lasciato vincere dal pessimismo invece che dalla speranza il nazifascismo non sarebbe mai stato sconfitto.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link