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Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma e segretario nazionale del movimento ‘Indipendenza!’, nel tardo pomeriggio di martedì 31 dicembre, è stato raggiunto dalla revoca dei servizi sociali che erano stati concessi dal tribunale di Sorveglianza e, per questo motivo, è stato portato nel carcere di Rebibbia.
I giudici, secondo quanto si apprende, contestano alcuni episodi di violazione a cui Gianni Alemanno avrebbe fornito giustificazione poi risultate false. Entro trenta giorni dovrà essere fissata udienza e in quella sede si valuterà una eventuale conferma dell’ordinanza. Il rischio è che Alemanno, che ha iniziato l’attività presso la struttura nel novembre del 2023, si veda revocato il ‘presofferto’ e debba, quindi, scontare per intero la pena passata in giudicato.
Abbiamo parlato con Salvatore Buzzi, ex l’amministratore della cooperativa “29 Giugno” che con Alemanno ha affrontato l’inchiesta Mafia Capitale, prima che emergesse che la mafia non era coinvolta.
Salvatore Buzzi, come commenta l’arresto di Alemanno?
«Posso solo dire quello che ripeto da anni: non gli ho dato soldi in cambio di utilità, che i contributi dati erano tutti tracciati, tanto è vero che l’originaria accusa di corruzione per esercizio della funzione è stata derubricata in traffico di influenze. Mi dispiace che sia a Rebibbia».
Come ricorda l’inizio della collaborazione della sua cooperativa ‘29 giugno’ con Alemanno?
«Feci la prima manutenzione dell’Eur nel 2000, vinsi la prima gara da solo. Nel 2008 le elezioni amministrative le vince Gianni Alemanno. All’Ente Eur va Riccardo Mancini, con il quale andava tutto bene. Lui di destra, noi di sinistra: usava il motto di Deng Xiao Ping: non mi interessa se il gatto è bianco o nero, l’importante è che prenda il topo. E noi il lavoro lo facevamo. Lavoravamo sodo, problemi di mancata manutenzione non ce n’erano mai. Quando nel 2009 rifacciamo la gara, la faccio da solo».
Poi però entra in gioco Carminati, che con Alemanno aveva condiviso la cella, anni prima…
«Nel 2012, quando la gara va a rinnovo, Mancini mi chiede di lavorare insieme con Massimo Carminati, che è un ex detenuto come tanti con cui già lavoravo. E io perché mi devo fare problemi? La nostra è una cooperativa nata da ex detenuti. Gli ho detto sì. E quando me lo presentano, guardo i suoi precedenti penali. Tre rapine a mano armata e un furto. Il resto delle ombre è operazione mediatica. Io in cooperativa avevo già avuto Concutelli, killer del giudice Vittorio Occorsio. Era un uomo di estrema destra, certo, ma che aveva pagato i conti con la giustizia. Due volte è stato assolto per l’omicidio Pecorelli. Nel mio libro pubblico le sentenze di condanna di Carminati, per mettere le cose in chiaro».
Vi avevano descritto come una banda malavitosa. Poi sono cadute le ipotesi accusatorie per mafia.
«La magistratura aveva fatto partire la sua operazione mediatico-giudiziaria prendendo alla lettera quello che scrivevano Bonini e De Cataldo nel libro Suburra. Attenzione: Suburra esce nel 2013. Io nel mio libro riporto dieci similitudini tra l’inchiesta su di me e la narrazione del libro. Dieci punti identici. Per fare sei al superenalotto ci vuole parecchia fortuna, no? Ecco, loro pretenderebbero di aver fatto dieci con l’inchiesta cosiddetta di Mafia Capitale, che poi è stata smontata. E il Ros dei Carabinieri ha estrapolato alcune conversazioni private, le ha stravolte fuori dal contesto e le ha proiettate nell’immaginario collettivo come fossero frasi da film».
Una trama a beneficio di chi?
«Arrestano Carminati, l’incarnazione del male. E fanno scattare la stessa misura cautelare per Riccardo Mancini, che era il braccio destro di Alemanno e per Franco Panzironi che ne era il braccio sinistro. Alemanno viene indagato per 416 bis e la cooperativa 29 giugno, definita “cooperativa di destra”, messa in amministrazione giudiziaria. Non avevano neanche capito che noi eravamo di sinistra. Passano dei mesi e arrestano Gramazio. E poi arrestano qualcuno della corrente di Bersani, nel Pd di Roma. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Arrestano Daniele Ozzimo per un contributo elettorale richiesto e dato, e Pierpaolo Pedetti non ho mai capito perché l’hanno arrestato. Tutti gli altri, niente. E dire che tutti gli altri, che pure erano nelle intercettazioni, che mi chiedevano soldi e contributi, tutti archiviati. Solo qualche arresto in una certa corrente di destra e in una precisa corrente di sinistra. Quasi col bilancino. La mia operazione era funzionale a colpire due famiglie politiche equidistanti, io posso solo dare questo dato. Poi ciascuno tragga le sue valutazioni».
Cos’era la sua cooperativa al momento del suo arresto?
«La ‘29 Giugno’ era la più solida cooperativa sociale del Lazio. Trenta milioni di patrimonio, 1250 dipendenti. 500 soci. I soci avevano sedici mensilità, e ogni mese prendevano i loro soldi. Questa realtà gli amministratori giudiziari la hanno spolpata».
Spolpata?
«Sto leggendo ora la relazione: gli amministratori commissariali hanno assunto svariati collaboratori, si sono fatti autorizzare dal giudice l’assunzione di familiari. I dipendenti sono stati precarizzati. Io sono passato per boss mafioso, e loro per fenomeni. Capaci di liquidarsi tre parcelle da un milione di euro l’una».
Un milione di euro ciascuna?
«Ha capito bene. Più Iva. Per tre anni di lavoro. E non per averla rimessa in piedi, al contrario: per averla fatta fallire. Erano tre, quindi tre milioni. Più settantamila euro agli otto collaboratori che si sono portati dietro, più svariate centinaia di migliaia di euro per tutte le assunzioni, tra cui alcuni famigliari degli amministratori. Io l’azienda l’avevo lasciata sana, adesso non c’è più. E il danno non lo subisco solo io ma tutti quelli che ci lavoravano».
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