Per rilanciare l’economia nel 2025 bisogna aprire un tavolo locale

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Le ultime informazioni di fine anno sullo stato dell’economia della provincia di Bologna, il più in generale della regione Emilia-Romagna impongono riflessioni fuori dagli schemi su quello che può essere il futuro dell’occupazione nei nostri territori

di Maurizio Morini, Innovation Manager


Gli ultimi articoli in ordine di apparizione sulla stampa locale relativamente alle crisi aziendali del nostro territorio sono quelli relativi alla Manz Italy, sede italiana della multinazionale tedesca con 110 lavoratori a Sasso Marconi, tra l’altro dopo 10 anni dalla vendita alla Manz AG da parte della Kemet anch’essa in crisi d’impresa. In totale si parla di 230 addetti in esubero fra le due imprese; la cosa particolare è che non si tratta di imprese della vecchia economia, che producono materiali e componenti legati a processi desueti, ma nel caso della Manz  stiamo parlando di un’impresa che produce componentistica per le batterie agli ioni di litio, quindi di interesse per l’attuale ciclo economico.

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Questa situazione può apparire marginale in una fase nella quale le difficoltà di interi settori strutturali per la nostra economia sono state evidenziate, non più tardi del 21 dicembre, da parte della Regione Emilia-Romagna: in difficoltà sono il comparto legato all’automobile e ai veicoli in generale, la moda, le piccole medie imprese la cui cassa integrazione è raddoppiata rispetto all’anno precedente secondo le dichiarazioni delle associazioni competenti.

I referenti politici amministrativi chiedono operazioni straordinarie che possano condurre imprese lavoratori fuori dalla crisi. 

Ma quello che emerge è come si ragioni ancora una volta con strumenti concettuali del passato per interpretare una fase economica che non ha probabilmente precedenti nella storia delle nostre zone, dell’Italia e probabilmente dell’intera umanità. In Italia al momento registriamo un picco occupazionale rispetto agli ultimi 20 anni, il famigerato Pil cresce, eppure registriamo questa situazione critica e la difficoltà di vari comparti a trovare maestranze.

Nel 2019 insieme ad altri studiosi avevo previsto che oltre il 10% delle professioni attive nella provincia di Bologna e in Emilia-Romagna sarebbero state fortemente ridimensionate entro il 2025. Oggi, alla soglia del fatidico anno, molto probabilmente quella previsione era ottimistica; siamo di fronte a un grande cambiamento strutturale anche delle nostre economie, molto legate alla dimensione produttiva di scala e destinate a essere stravolte dei nuovi servizi di produzione personalizzata e di utilizzo a consumo dei beni e delle attività.

Sembra di ritornare all’inizio del 1800, quando nel giro di pochissimi anni i tessitori di Nottingham sono stati minacciati e il loro lavoro praticamente cancellato dall’introduzione del telaio a vapore e dei macchinari per la tessitura.

Dobbiamo essere consapevoli che da qui al 2030 molto probabilmente oltre il 30% degli occupati lavoreranno in contesti e con incarichi che attualmente non esistono. Pensare di gestire questa fase con semplici e costosi interventi di sostegno pubblico all’economia significa non solo rendere ancora più pesante la situazione economica dello Stato, ma anche prolungare un’agonia che invece va affrontata con strumenti diversi.

Ne elenco cinque per avviare la discussione.

  1. Sarà fondamentale rendere consapevoli le piccole medie imprese della necessità di dematerializzare una parte significativa delle loro attività sia in termini di processi sia in termini di servizi. Le stesse filiere industriali andranno rivisitate in maniera innovativa. Va stimolata e incentivata la nuova imprenditorialità scientifica, capace di creare soluzioni differenzianti ed esponenziali.
  2. Diventerà cruciale coinvolgere rappresentanze delle imprese e dei lavoratori in profonde operazioni di ridefinizione dei contenuti del lavoro e delle conoscenze di tutti gli operatori. Il Patto per il Lavoro regionale e quello metropolitano dovranno operare in questa direzione.
  3. Sarà imprescindibile mettere in atto quanto sostengo da tempo, ovvero che almeno il 10% del tempo di lavoro deve essere dedicato strutturalmente all’aumento delle proprie conoscenze e alla formazione sia collettiva sia individuale.
  4. In questo senso sarà necessario coinvolgere la pubblica amministrazione per un indispensabile snellimento di tutti i processi, almeno a livello locale, al fine di ridurre del 75% i tempi di gestione amministrativa degli atti che riguardano imprese e attività economiche.
  5. Andranno stimolate le creazioni di organizzazioni non profit e associazioni che coadiuvano i lavoratori e le lavoratrici, anche nei processi di natura psicologica legati al cambio delle condizioni della loro attività, e nel contempo andranno introdotti servizi sociali e di prevenzione sempre più qualificati per agevolare le famiglie permettendo di affrontare in maniera serena momenti di cambiamento professionale radicale che procurano sempre stress e condizionamenti anche nei rapporti interpersonali.

Da questo punto di vista, Bologna ha senz’altro più possibilità di altri territori, al pari delle zone metropolitane più qualificate; l’approccio sistemico possibile tra istituzioni locali, rappresentanze dei lavoratori e delle imprese, tessuto associativo e strutture deputate alla formazione (incluso anche un auspicabile cambiamento della fornitura di servizi di alta formazione accademica) può mettere in grado di affrontare rapidamente questo percorso.

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Il tempo da perdere non esiste, ma se c’è la volontà si può intervenire da subito per costruire quel tavolo dell’ecosistema Bologna che è l’unico ad avere un senso nello scenario prossimo venturo.




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