IL GOVERNO HA VARATO UNA FINANZIARIA PER LA GUERRA, CONTRO IL FUTURO

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Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 


Oggi, 28 dicembre, il Parlamento ha approvato in via definitiva la legge di bilancio.
La legge di bilancio, blindata dal voto di fiducia e passata praticamente senza dibattito, contiene una manovra finanziaria DI GALLEGGIAMENTO.
Il ddl approvato prova a mantenere lo status quo, ossia una pace sociale fondata su bassi salari, scarsa sicurezza ed evasione fiscale.
Tutto ciò mentre si trasferiscono denari dalla spesa sociale alle spese militari, e si taglia sulla capacità di progettazione futura dell’amministrazione pubblica.

ECCO COSA DOVREBBE FARE UNA FINANZIARIA PER IL FUTURO.

Al nostro paese servirebbe un forte investimento pubblico in direzione della giustizia sociale e climatica.

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  • Bloccare i prezzi degli affitti e investire massicciamente nell’edilizia popolare pubblica e nella rigenerazione del grande patrimonio pubblico inutilizzato.
  • Introdurre forze nuove nel settore pubblico, in particolare negli enti locali e al Sud, assumendo a tempo indeterminato almeno un milione di nuovi dipendenti che si prendano cura dei malati, delle nostre strade, giardini, città, dei bambini e degli anziani – liberando milioni di donne dal lavoro di cura – dei giovani e delle giovani, dei nostri bisogni, e che abbiano le capacità tecniche di progettare il futuro delle nostre comunità. Futuro vuol dire anche riaprire una stagione di rinnovi contrattuali che traini anche il settore privato e punti almeno al recupero dell’inflazione.
  • Investire nella mobilità sostenibile e trasporto pubblico, nella produzione di mezzi elettrici, di nuove soluzioni che garantiscano a tutte e tutti il diritto alla mobilità a prezzi popolari, perché sia possibile per tutti andare a lavoro e godere delle bellezze di questo incredibile paese.

Per finanziare tutto questo: utilizzare le attuali spese miliari. Redistribuire gli extraprofitti di banche, gdo e industria energetica, una fiscalità progressiva che vada veramente a prendere dai ricchissimi e una lotta senza quartiere all’evasione fiscale, recuperando non decine, ma centinaia di miliardi per garantire a tutti una vita bella. Lottare contro l’austerità in Europa per un investimento necessario, a livello continentale, nella transizione ecologica, nella produzione di energie rinnovabili e nella messa dell’Intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie al servizio del popolo e non dei profitti e della guerra.

NON TROVERETE NIENTE DI TUTTO QUESTO NELLA FINANZIARIA DEL GOVERNO

Nella ricerca forsennata di fondi da trasferire alle spese militari per assecondare le richieste degli USA e di Trump (che chiede per l’adesione NATO il raggiungimento del 5% di PIL per la guerra), il Governo “sovranista” ha deciso di reperire ben 7,5 miliardi di euro in tre anni. Questi fondi per la guerra sono stati recuperati operando 7,7 miliardi di tagli ai ministeri esattamente per la stessa cifra. Si tratta di tagli orizzontali che colpiscono tanto le funzioni centrali, tanto i dipendenti periferici (si vanno a tagliare circa 7.800 posti tra docenti e ATA solo nella scuola). Siamo meno contenti noi, che vorremmo una pubblica amministrazione efficiente e capace di progettare il futuro del paese, ma saranno contenti gli industriali delle armi ben rappresentati al Governo dal loro collega Guido Crosetto.

Tra questi tagli (500 milioni già previsti di tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario, più 702 milioni di soldi mancanti nella nuova manovra) una parte importante andrà a colpire l’Università, ossia l’istituzione deputata più di tutte alla ricerca di soluzioni per costruire il futuro. A questi tagli è associata una riforma del reclutamento che nei fatti serve a rendere più lungo e più costoso per i giovani precari il processo, possiamo dirlo – feudale – di cooptazione dei futuri docenti e ricercatori universitari all’interno del mondo accademico.

Altri 5,6 miliardi, sempre nel triennio, verranno sottratti agli Enti locali, che non erano messi benissimo, e che ora dovranno sopperire al finanziamento di asili, scuole, strutture sanitarie, gestione rifiuti, manutenzione delle strade e del verde urbano con sempre meno risorse. In particolare si vanno a tagliare 400 milioni dal fondo per il dissesto idrogeologico, in un momento in cui fenomeni atmosferici estremi come siccità e piogge, stanno mettendo a dura prova un sistema infrastrutturale privo di manutenzione adeguata.

MANTENERE LA PASSIVITA’.

Per garantirsi la pace sociale e il mantenimento dello status quo, il Governo ha investito da un lato nel cosiddetto taglio del cuneo fiscale, che vale 13 miliardi, e dall’altro nella riduzione a soli tre scaglioni dell’IRPEF, la tassa sui redditi, che vale 5 miliardi.

Nel primo caso, per mettere in tasca alle persone meno di cento euro al mese, si mina la tenuta futura dei conti INPS, operando l’ennesimo raggiro ai danni di chi lavora. Quei contributi tagliati con la manovra, e che purtroppo anche settori maggioritari del sindacalismo confederale chiedono di eliminare per finanziare una paga netta dignitosa, sono in realtà una parte di salario sostanziale. Ossia quella parte, non visibile immediatamente, fatta di servizi sociali, di infrastrutture funzionanti etc. Tagliare il cuneo fiscale significa togliere ulteriori fondi a quei servizi. Per noi, un salario minimo e un reddito dignitoso devono essere garantiti dagli imprenditori, cioè da chi si avvale del nostro lavoro, senza togliere ulteriori fondi allo Stato.

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Il governo nei fatti fa un regalo alle imprese che, grazie alla riduzione del cuneo, possono contrattare aumenti salariali nulli o molto morbidi, sulla pelle degli stessi lavoratori. La lotta all’evasione fiscale, sulla carta più che reale, a fronte di oltre 82 miliardi di euro di evasione stimati dal MEF, è arrivata a recuperare 1,3 miliardi grazie all’ennesimo condono, il “concordato preventivo”, a cui hanno aderito solo l’11% delle partite Iva potenzialmente coinvolte. Il motivo? La logica dei condoni porta con sé l’idea di un fisco in grado di “perdonare” alle imprese qualsiasi sgarro. Perché concordare aliquote più basse se so che potrò sempre cavarmela in futuro?

Questa tendenza alla riduzione dei salari mascherata dal taglio al cuneo fiscale è evidente nella stessa manovra finanziaria, che si occupa anche di coprire il fabbisogno per gli stipendi dei pubblici dipendenti: per coprire i rinnovi contrattuali dei salari pubblici, il Governo ha stanziato 1,2 miliardi nel 2025, largamente insufficienti a coprire la perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione. Nei fatti, il salario reale di chi lavora, subirà una ulteriore diminuzione, tanto nel pubblico quanto nel privato.

La riduzione delle aliquote rende invece, semplicemente, il fisco più ingiusto, cioè chi ha di più pagherà di meno, mentre, contemporaneamente, l’aliquota centrale, resta al 35%, nonostante la promessa di ridurla.

La terza voce di spesa è il ponte sullo stretto, 1,4 miliardi l’anno fino al 2032. Qui balza all’occhio un dato: l’87% degli stanziamenti infrastrutturali da qui al 2038, riguardanti Calabria e Sicilia, sono impegnati dal Ponte sullo stretto. Ciò mentre spostarsi con il trasporto pubblico e privato, in particolare nelle regioni del Sud, resta un’odissea e alcune province sono senz’acqua a causa della scarsa manutenzione delle infrastrutture idriche, che andrebbero adeguate al nuovo contesto di siccità e riscaldamento globale. Che però, per il Ministro delle Infrastrutture peggiore della storia repubblicana, Matteo Salvini, semplicemente non esiste.

Quarta voce di spesa per importanza la sanità, 1,3 miliardi nel 2025, fondi non sufficienti nemmeno a coprire i costi dei rinnovi contrattuali e dell’inflazione. La spesa sanitaria italiana resta così in rapporto al PIL una delle più basse tra i paesi sviluppati, con un sistema sanitario al collasso.

Andando alle misure secondarie (in termini finanziari), sulla natalità continua la politica dei bonus, ma anche l’allungamento per il 2025 del congedo parentale facoltativo retribuito, un ulteriore mese, per un totale di tre, pagati lordi all’80%, invece che al 30%, fruibili in alternativa da entrambi i genitori. Si tratta certamente di un miglioramento rispetto al passato, ma 1) questo investimento serve a compensare l’assenza di investimenti negli asili nido (in Italia siamo ancora a una media di 30 posti ogni 100 bambini, che sono 13 ogni 100 bambini in Campania e Sicilia); 2) il conseguente peso del lavoro di cura grava dunque quasi esclusivamente sulla donna. Un grande problema resta infatti il congedo di maternità obbligatorio di 5 mesi totalmente squilibrato rispetto al congedo di paternità di soli 10 giorni, il minimo richiesto dall’Unione europea, che nei fatti costringe la donna, nei primi e fondamentali mesi di vita del neonato, a prendersi cura in maniera esclusiva del bambino. Se si pensa che in Spagna, senza citare gli stati scandinavi, il congedo obbligatorio è fissato rispettivamente in 16 settimane per il padre e 16 per la madre, capiamo come il nostro governo sta inevitabilmente spingendo le donne a “restare a casa”, nello stile de “I racconti dell’ancella” di Margaret Atwood, specialmente al Sud, dove è ancora più difficile trovare sia asili nido sia un contratto di lavoro.

La riduzione IRAP per chi investe almeno il 30% dell’utile accantonato (che deve essere pari all’80 % dell’utile complessivo) e assume a tempo indeterminato almeno l’1% in più del personale è chiaramente una misura destinata ad avere un impatto nullo o quasi sulle assunzioni, perché sono pochissime le imprese in grado di ottemperare a questi parametri.

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Al capitolo pensioni, la Riforma Fornero resta invariata. La pubblicità data alla possibilità di andare via a 64 anni se si raggiunge l’assegno minimo erogabile, cumulando la pensione integrativa, riguarderà una platea molto ridotta di contribuenti maschi con redditi medio-alti. Era già prevista da misure precedenti, vedi Governo Renzi, ed è uno specchietto per le allodole per spingere ancora di più sui fondi pensione privati, che in Italia non attecchiscono nonostante l’assurda regola del silenzio assenso. Le pensioni minime aumentano di 3 euro al mese, mentre il tentativo di aumento di stipendio dei ministri resta solo sotto forma di rimborso spese per un costo comunque pari a 1/2 milione di euro.

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L’obiettivo di accontentare il corpo elettorale, garantendosi il sostegno della piccola e media impresa e contemporaneamente la passività della grande massa dei lavoratori dipendenti, spinge il paese verso la recessione.

L’ISTAT ha tagliato la crescita già magra del PIL prevista dal governo dall’1% allo 0,5%, mentre il debito pubblico resta alto per i prossimi anni, in un quadro internazionale che vede prezzi delle materie prime alle stelle, guerra commerciale contro la Cina e guerra guerreggiata ai confini dell’Europa, promossa direttamente dagli USA e dai suoi stati vassalli, a partire da Israele. Il Governo punta infatti a ridurre il rapporto deficit-PIL per portarlo sotto il 2% entro il 2028, ma di fatto già dichiara di poter agire solo con tagli alla spesa, perché il denominatore non sono in grado di aumentarlo.

Difatti il contributo delle forze di lavoro al PIL è stimato intorno allo zerovirgola, ciò vuol dire che Meloni e co. non prevedono un aumento della produttività nei prossimi anni e che già sanno che i pochissimi interventi in materia di sostegno agli investimenti sono inutili, di pura propaganda. Ne è un esempio il tira e molla con Stellantis sul fondo automotive, inizialmente tagliato di 4,6 miliardi in tre anni, poi rimpolpato dopo le dimissioni di Tavares e il ricatto dei licenziamenti Transnova; come è indicativa la vendita, ricordiamolo, autorizzata da un governo “sovranista”, della Piaggio Aerospace, azienda strategica in termini strettamente militari, alla società turca Baycar, per la produzione di droni da guerra; o l’assenza di contrasto alla delocalizzazione della Beko verso Turchia, Egitto e Bulgaria, per un totale di circa 2000 posti di lavoro che rischiano di volatilizzarsi.

Sono a circa 105mila solo i lavoratori direttamente coinvolti in crisi industriali, numero emblematico dell’assenza di una politica industriale da parte dello Stato, ridotto a un passacarte delle multinazionali.

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Siamo insomma di fronte a una manovra contabile di galleggiamento che non risolverà i problemi storici del paese, figuriamoci la capacità di rispondere alle grandi sfide globali.

Una manovra che serve solo a garantire la conservazione di uno status quo sempre meno accettabile per chi come noi vive del proprio lavoro, e la permanenza per un altro anno dei “sovranisti” al Governo.

Non saranno loro a salvarci. Dovremo farlo noi, uscendo dalla passività e organizzandoci.



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