Le mani del clan della camorra su ristoranti e pizzerie indebitati di Milano: le strategie e le aperture (sospette)

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di Andrea Galli

Il denaro dei D’Amico di Ponticelli per prendersi i locali. Affiliati che hanno studiato all’università e l’arruolamento di professionisti: notai, commercialisti, dirigenti di filiali di banca.Il caso della nota discoteca

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Ripubblichiamo questo articolo di Andrea Galli uscito a gennaio, uno dei più apprezzati dalle nostre lettrici e dai nostri lettori nel 2024.

La città degli striduli e noiosi duelli politici sull’(inesistente) allarme sicurezza si conferma un laboratorio per la criminalità organizzata. Nella fattispecie dei clan camorristici che con i D’Amico di Ponticelli, una zona nel quadrante orientale di Napoli, hanno elaborato nell’immediato periodo successivo all’emergenza Covid — e tuttora la proseguono — una strategia a Milano non rivoluzionaria, anzi perfino classica, e però codificata, efficace, eterna: ovvero ripianare i debiti di ristoranti e soprattutto di pizzerie senza mai entrare negli organigrammi societari, per non comparire in ogni approfondimento documentale, bensì lasciando i vecchi titolari oppure, al massimo, posizionando dei prestanome, incensurati, al di sopra di sospetti. Quantomeno a un primo livello esplorativo.




















































Ebbene, l’analisi effettuata dal Corriere con fonti qualificate in Campania e Roma conduce in misura pressoché unitaria a loro, ai D’Amico, i quali hanno una storia che è utile ora introdurre, nell’attesa che le indagini ufficiali esplorino quest’avamposto camorristico nella meneghina geografia da «mangificio», con la costante apertura di nuovi locali quasi che sia un comandamento divino quello di cenare fuori casa. Servirà beninteso la collaborazione mai scontata dei diretti interessati, quei ristoratori che anziché denunciare beneficiano della situazione, e non essendo mai vittime ma complici come da anni ripetono i magistrati dell’anti-mafia. Omertà, collaborazionismo, tornaconto. E chi se ne frega di codici morali e leggi.

La mala gioventù

Dapprima utilizzati come gruppo di fuoco per agguati e attentati, i D’Amico avevano avviato la conquista del quartiere napoletano nella fase successiva al terremoto del 1980, con l’ingresso nella gestione dei finanziamenti per la costruzione di aree popolari dove far abitare gli sfollati. Il rione Conocal era e rimane un simbolo per antonomasia della malavita, del degrado, dello sfascio, dell’autentica difficoltà di campare per i poveri cristi, della «solita» assenza dello Stato. Ma se questo rione è il punto centrale della narrazione dei D’Amico, i quali minacciano di morte i pochi, coraggiosi e spesso non protetti, cioé nell’indifferenza della stessa categoria, cronisti che svelano le prepotenze di piccoli e grandi boss, bisogna registrare l’estesa operazione dei carabinieri, condotta tra il 2018 e il 2020, e i successivi processi che avevano sentenziato secoli di detenzione per donne e uomini (sì, in questo clan le donne hanno ruoli apicali).

Le condanne hanno decapitato il vecchio organigramma del gruppo camorristico nel mentre avviando un ricambio generazionale, e hanno da subito innescato un ingente bisogno di denaro, a fronte della chiusura delle redditizie piazze di spaccio di droga, per pagare gli avvocati e sostenere i famigliari dei galeotti. L’avvento di ventenni e trentenni si è portato dietro una modifica della strategia del clan, secondo uno storico canovaccio imprenditorial-mafioso: ragionare da manager, svecchiarsi da capo a piedi, non confinare le manovre alla zona di conforto del quartiere di dominio, uscire pure da Napoli, pur non rinunciando all’agevole riscossione locale — tangenti richieste sui prestiti, sui parcheggi, sui lavori di manutenzione —, e muoversi in direzione delle terre dei soldi. Milano. Magari dopo un’adeguata preparazione con affiliati che hanno studiato all’università e dopo l’arruolamento di professionisti che maneggiano il denaro per mestiere: notai, commercialisti, dirigenti di filiali di banca. E magari affidandosi alle medesime donne, donne del clan che, intercettate, hanno scandito frasi come la seguente: «Esternamente io sono una femmina ma dentro mi sento un uomo. Non sono la guagliona di nessuno».

Droga connection

Quell’analisi che abbiamo effettuato permette di inquadrare sia il teorema del ripianamento dei debiti per ristoranti e pizzerie, sia al contempo la scelta di aprire locali ex novo (per lo più le solite pizzerie). C’è poi una nota discoteca che andrà, con larga probabilità, sotto l’attento esame degli investigatori in conseguenza di un recente cambio alla guida societaria che odorerebbe di camorra. Non è che nasca qui — pare addirittura ridicolo starlo a rimarcare ma è un atto di prudenza per chi non voglia apposta capire — una caccia a prescindere agli investimenti extra cittadini nella ristorazione. Ma se, e parliamo della discoteca, gli amministratori se ne vanno e al loro posto subentrano soggetti i quali hanno frequentazioni, magari anche strette, con altri soggetti a loro volta connessi ai D’Amico, risulta evidente, se non altro per la regola investigativa dell’esasperata coltivazione dell’arte del dubbio, avviare delle riflessioni. Vedremo.

Dopodiché l’assenza di trasparenti operazioni finanziarie — i camorristi non lasciano traccia bonificando le somme ai ristoratori — complica, va da sé, gli accertamenti bancari; e il possesso, non all’apparenza ma comunque fattuale dei locali aumenta le possibilità di luoghi per il riciclaggio di denaro sporco che, seguendo la genesi e la crescita criminale dei D’Amico verte con significativo peso sul traffico di droga. Ed «esserci», su una delle maggiori piazze continentali degli stupefacenti quale Milano — chissà perché i temi dell’eroina, della coca, non scalano mai posizione nei dibattiti — innesca ulteriori meccanismi: l’aumento del peso economico grazie ai proventi dello spaccio, la possibilità di incontrare altri partecipanti al gran banchetto e stabilire legami forieri di sviluppi fuori dall’Italia. Del resto quasi non ci si ammazza più per la droga: la città si configura come mercato libero tale è la domanda. Finanche i clan albanesi, che si facevano guerre intestine, non sono più quelli d’una volta: oggi dialogano direttamente con i narcos sudamericani e la ’ndrangheta.

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