I giovani siriani sospesi tra la gioia per la fine del regime e la paura del futuro

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Elmanya è una parola araba che significa laicità, secolarismo. Innalzata durante una manifestazione su dei cartelli che recitavano «Una Siria civile laica e democratica per tutti», ha cominciato a ottenere una connotazione negativa in ampi strati della popolazione siriana. La ragione? Il presidio, che ha radunato con i migliori auspici circa 800 giovani (moltissime donne) in Umayyad Square il 20 dicembre scorso, sarebbe stato organizzato da persone precedentemente implicate con il regime di Assad, gettando discredito su una iniziativa dalle parole d’ordine nobilissime.

Organizzata tramite un evento su Facebook, la convocazione era pensata in risposta alle affermazioni misogine di Obaida Arnaout, portavoce di Hay’at Tahrir al-Sham, secondo cui le donne sono biologicamente incapaci di sostenere determinati incarichi politici. Mossi da buone intenzioni, alcune centinaia di giovani hanno risposto all’appello, salvo poi pentirsene una volta scoperto che gli organizzatori erano dei nostalgici del regime.

«SE CHIEDIAMO alla popolazione siriana in che tipo di sistema politico vorrebbero vivere, sicuramente un abbondante 50% oggi affermerebbe che vedono di buon occhio la costituzione di un governo islamista, anche in virtù del sostegno di cui godono gli attori che hanno portato allo smantellamento della dittatura di Assad», ci racconta Amir, studente damasceno, che ha trascorso un periodo in Italia e ambisce a tornare in Europa per proseguire i suoi studi.

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«Tuttavia – continua – la restante metà auspicherebbe un modello democratico improntato ai valori di inclusione delle diverse identità siriane, rispettoso del ruolo della donna e delle scelte democratiche della società civile. Ma se venisse menzionata la parola “secolarismo” la percentuale scenderebbe a 2-3 punti percentuali. La parola viene associata all’ateismo e all’uso che se ne fa in paesi come la Francia, fortemente islamofobi. Nonostante il partito Baath si proponesse come laico, il paese è stato retto per decenni da una élite religiosa, che ha dispensato favori settari e ha fatto dell’elemento religioso un fattore importante dei suoi scambi, in particolare rispetto all’Iran. Purtroppo, dopo il discredito gettato sulla manifestazione della settimana scorsa, far sentire la nostra voce di giovani della società civile e fidarci di chi organizza dei momenti di rivendicazione politica a partire da questa concezione della società, è diventato ancora più difficile».

Pochi giorni fa Amir si è alzato presto per andare all’ufficio di polizia e ottenere un certificato che attestasse che la sua fedina penale è intonsa. Gli serve per una borsa di studio all’estero. «Nella mia testa, l’edificio era sempre lì, con i suoi funzionari ad attendermi: appena arrivato, ho riso di me stesso: l’edificio era stato dato alle fiamme. Ho posticipato il mio appuntamento all’ambasciata in Libano del paese in cui dovrei iscrivermi: non sono nemmeno sicuro che entro quella data riuscirò a ottenere i documenti necessari, o che la frontiera libanese sia agibile, o che Beirut non torni a essere bombardata».

Molti giovani siriani come lui vivono oggi in una situazione kafkiana, sospesi tra la gioia per la caduta del regime, ma preoccupati per il futuro. Amir si dice ottimista: «Anche se non sottovalutiamo l’instabilità regionale e i problemi geopolitici, nessun governo potrà essere peggiore di Assad. Assad è stato un macellaio, il regime ha distrutto le nostre vite, decimato la popolazione e fatto di noi un paese di rifugiati. Nulla potrà mai raggiungere la soglia di devastazione che ha prodotto».

INTERROGATO rispetto al rischio del settarismo etnico e religioso, si dice empatico verso i curdi, per le vessazioni tremende subite in passato e per il ruolo chiave giocato nella marginalizzazione dell’estremismo religioso. «Tuttavia – aggiunge – dovrebbero dare una chance al nascente governo siriano e trovare un compromesso rispetto alla detenzione delle armi, negoziando una forma di autonomia». «La frammentazione in milizie settarie sappiamo che cosa ha provocato in altre aree del Medio Oriente durante i processi di state building, come in Libia».

Rispetto ai diffusi episodi incendiari verso i simboli del Natale, come gli alberi addobbati (se ne calcolano almeno 10, concentrati in aree periferiche lontane dalla capitale), Amir aggiunge: «Nnon credo che giovi ad Hts venire percepito come incapace di gestire sporadiche manifestazioni di odio religioso né credo siano stati loro a fomentarle». La percezione locale è che siano i loro oppositori politici a condurre atti vandalici, per opacizzare la percezione del leader al-Julani all’estero.

«Il rebranding di Hts sta proprio nel mostrare un volto più soft rispetto alle loro origini politiche, ma non ci fidiamo ancora». L’ombra dei nostalgici del regime è ancora lunga, mentre la sfida da sollevare per il nascente governo siriano è complicatissima. Stretta tra i due poli, la voce di una gioventù lontana dai paradigmi mediatici e dagli stereotipi facili fatica a trovare eco.



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