È ammissibile il sequestro dei crediti fittizi ceduti a terzi estranei al reato

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La Corte di Cassazione, nella recente sentenza numero 41798 del 14 novembre 2024, ha ritenuto che, allorquando i crediti siano valutabili come beni pertinenti al reato e qualora vi sia il rischio che la loro libera circolazione possa aggravare le conseguenze del reato stesso, è concesso il sequestro cautelativo dei crediti medesimi.

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Non è, invece, possibile procedere alla confisca diretta dei crediti fittizi, poiché, essendo stati ceduti, appartengono a una persona diversa dall’imputato. Inoltre, non è ammissibile nemmeno la confisca per equivalente, dato che i crediti non sono più nella disponibilità del soggetto cedente.

La questione legale

Il Tribunale di Salerno, con un’ordinanza datata 11 aprile 2024, ha rigettato la richiesta di riesame presentata dalla banca ricorrente, confermando il sequestro preventivo disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vallo della Lucania riguardante i crediti agevolati ai sensi del decreto rilancio. Questi crediti, ceduti all’istituto di credito da un’impresa di costruzioni, ammontano a circa settecentomila euro.

Secondo l’accusa, tali crediti erano supportati da fatture false e documentazione contabile non veritiera, e si riferivano a opere che, in realtà, non erano mai state realizzate. La loro cessione alla banca ricorrente sarebbe avvenuta con l’intento di ottenere indebitamente le agevolazioni fiscali previste dal decreto legge numero 34/2020, sotto forma di detrazioni d’imposta.

Tuttavia, non sono state intraprese azioni legali nei confronti della banca cessionaria, del suo legale rappresentante, del consiglio di amministrazione, né tantomeno nei confronti delle singole persone fisiche a essa riconducibili. Pertanto, l’istituto di credito ha presentato ricorso per la cassazione dell’ordinanza del giudice del riesame.

La difesa del cessionario

In particolare, la banca ha presentato le proprie argomentazioni difensive, contestando la legittimità del sequestro sui crediti acquistati, basandosi su due elementi specifici: l’assenza del necessario periculum in mora, poiché essa stessa non solo è un soggetto estraneo al reato, ma è addirittura danneggiata dalla condotta criminosa, che in realtà è attribuibile esclusivamente all’impresa che ha emesso le fatture false; e la mancanza di qualsiasi collegamento strumentale tra i crediti sequestrati e il reato di falsa fatturazione, considerando che, come già evidenziato, nessun rappresentante della banca ricorrente è sotto indagine e i crediti sequestrati sono stati legittimamente acquisiti dai cedenti, questi ultimi effettivamente accusati del reato previsto dall’articolo 8 del decreto legislativo numero 74 del 2000, in un procedimento distinto e separato.

La valutazione della Suprema Corte

Con la sentenza numero 41978 del 14 novembre 2024, la Corte di Cassazione ha espresso il proprio parere favorevole riguardo all’opportunità del sequestro dei crediti in questione, disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vallo della Lucania e successivamente confermato con ordinanza dal Giudice del riesame di Salerno.

Tuttavia, la Corte ha anche evidenziato la carenza di motivazione a supporto della misura adottata.

In particolare, la Suprema Corte ha osservato che non è chiaro, dalla lettura della motivazione del provvedimento cautelare, se il sequestro sia stato disposto per prevenire l’aggravamento o la reiterazione delle conseguenze del reato, o la commissione di ulteriori illeciti, nel qual caso si tratterebbe di un sequestro impeditivo, oppure se sia stato adottato in vista di una futura confisca, diretta o per equivalente, dei beni oggetto di reato.

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L’identificazione precisa della fattispecie presupposta dal Tribunale è fondamentale, poiché solo il sequestro non finalizzato alla confisca può riguardare, come nel caso in esame, beni (i crediti) di proprietà di un terzo (la banca) estraneo all’illecito e in buona fede, qualora la loro libera disponibilità possa comunque rappresentare un pericolo di aggravamento della situazione criminosa o delle sue conseguenze (Corte di Cassazione, numero 24065/2024).

Identificazione del profitto del reato

La Corte di Cassazione ritiene necessario effettuare un’ulteriore precisazione, esaminando se i crediti sequestrati possano essere considerati, nel caso specifico, come profitto diretto del reato. La conclusione a cui giunge il collegio è negativa, poiché, nell’ipotesi esaminata, il profitto del reato, che potrebbe teoricamente essere soggetto a confisca, deve essere identificato esclusivamente nel pagamento effettuato dalla banca ricorrente, che, sebbene negligente, non è complice dell’operazione fraudolenta, per l’acquisto dei crediti sequestrati dall’impresa emittente delle false fatture (l’unica indagata in un altro procedimento per falsa fatturazione).

Infatti, è stato dimostrato che quest’ultima non ha ricevuto alcun pagamento dalla committenza per lavori non eseguiti e, d’altra parte, non ha utilizzato i crediti ceduti alla banca per compensazione.

Pertanto, risulta necessario verificare la (molto probabile) sussistenza dei presupposti per il sequestro impeditivo, come precedentemente descritto. Tuttavia, la Corte osserva che su questo aspetto dovrà pronunciarsi il giudice di merito, ovvero il Tribunale di Salerno in diversa composizione, al quale, annullata l’ordinanza impugnata, viene rimessa la causa per una nuova valutazione dei fatti, in base ai principi di diritto esposti nella sentenza.

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