L’odissea della zona industriale. Una vera ’potenza’ economica che dava il pane a settemila addetti

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Per decenni ha dato lavoro a migliaia di famiglie massesi, carraresi e non solo. Poi è arrivata la smobilitazione, il domino delle dismissioni, le chiusure e un’eredità fatta di cassa integrazione, licenziamenti e terreni inquinati da bonificare. E sullo sfondo il nodo non ancora risolto della convivenza tra industria e ambiente. E’ la zona industriale apuana, nata a fine degli anni ’30 del ‘900 per volontà del Fascismo con un Regio Decreto del 1938, circa 8 milioni di metri quadri. Una nascita a cui non sono estranee le pressioni del carrarese Renato Ricci, il ras di Apuania, presidente dell’Opera Nazionale Balilla e successivamente ministro delle Corporazioni; e quelle del massese Osvaldo Sebastiani segretario politico di Mussolini.

In quegli anni pesa ancora la crisi del 1929, nel 1931 nasce IMI (l’istituto mobiliare italiano) per sostenere l’economia a medio e lungo termine; mentre nel 1933 nasce IRI (Istituto Ricostruzione Italiana) per salvare le banche e le aziende con esse indebitate. Ma all’ombra delle Apuane pesa anche la crisi del marmo che tra il 1930 e il 1936 ha ripercussioni negative in tutto il territorio.

Positiva invece è la presenza del porto, la vicinanza della ferrovia Genova-Roma e dell’Aurelia, la vicinanza del porto militare di La Spezia, la miniera di ferro sulle Apuane, la presenza della Montecatini già proprietaria del 60% degli agri marmiferi carraresi, ma che aveva interesse a sviluppare altri settori. Ghiotte le agevolazioni stabilite per i nuovi insediamenti: esenzione dal pagamento dei dazi doganali per materiali da costruzione, per macchine e per l’edificazione di stabilimenti, ampliamenti e loro trasformazione; esenzione per un decennio dalle imposte sui redditi industriali dei nuovi stabilimenti e blocco decennale degli accertamenti stabiliti per la stessa imposta per gli stabilimenti eventualmente ampliati e trasformati.

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Prevista anche la costruzione di una rete di infrastrutturale e una di energia elettrica. Sono costruite strade intermedie, nasce la stazione ferroviaria di Massa Zona collegata agli stabilimenti e al porto di Marina. Sono realizzati quartieri operai come Melara, Castagnola, Nazzano e Romagnano. Viste le condizioni favorevoli, arrivano oltre 110 richieste, 70 ottengono l’autorizzazione e 50 sono le aziende tra grandi e piccole che si insediano. Alcune iniziano l’attività tra il 1939 e il 1940, altre tra il 1942 e il 1943, si sfiorano gli 8mila posti di lavoro ma complessivamente la produzione si attesta tra il 40 e il 50% di quanto preventivato.

L’8 settembre 1943 ci sono 44 stabilimenti attivi con 7.902 occupati, ma i bombardamenti intensificati, le spoliazioni di macchinari e di materie prime operate dai tedeschi, la linea Gotica ferma in zona per nove mesi, il trasferimento al nord delle industrie minacciate, portano alla paralisi delle attività. Alla fine della guerra, 11 dei 44 stabilimenti attivi, risultano completamente distrutti, gli altri gravemente danneggiati e nel 1946 i disoccupati sono migliaia (nel frattempo si era fermata anche la ferrovia marmifera). Per la ripresa post bellica, nel 1947 nasce il Consorzio Zona Industriale con compiti di amministrazione delle concessioni e delle vendite dei terreni, ma anche per curare le agevolazioni fiscali e tariffarie delle aziende.

Nel corso degli anni ’70 si registra il periodo di maggior splendore della zona industriale apuana, per la prima volta l’occupazione supera il livello di anteguerra e si assiste ad una crescita, sia nel numero degli impianti produttivi, che dei relativi dipendenti: si contano oltre 8mila addetti ripartiti in 129 stabilimenti. Tra questi i più importanti sono Rumianca, Montecatini Calcio (poi Ferroleghe), Montecatini Azoto (poi Farmoplant), Cokapuania, Dalmine, Olivetti, Bario e Derivati (poi Sabed), RIV SKF, Nuovo Pignone. Il 1979 è l’anno del massimo storico dell’occupazione con 9.797 addetti.

Ma gli anni bui sono in agguato: le concorrenze straniere iniziano a seminare chiusure a catena mentre il colpo di grazia arriva con i due grossi incidenti nella ex Montedison Azoto, che nel frattempo si era chiamata Diag e poi Farmoplant. Il primo è dell’agosto 1980, il secondo del luglio 1988 mentre il 1987 è l’anno del referendum che sancisce la chiusura dello stabilimento e la fine della chimica in terra apuana.

Maurizio Munda



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