Inverno demografico a Nord Est, ecco gli effetti: scuole vuote e quartieri anonimi

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Ormai da quindici anni le nascite stanno calando anche nel Veneto e nel Friuli Venezia Giulia: da 58 mila nel 2008 a 37 mila nel 2024 (-36%). Progressivamente, questo forte calo si sta traducendo in diminuzione della popolazione scolastica. Ad esempio, nel 2024 i bambini in età di scuola per l’infanzia (3-5 anni compiuti) sono 128 mila: erano 172 mila nel 2009, con un calo del 26% in appena quindici anni. Questa diminuzione ha già determinato la chiusura di numerosi plessi, specialmente scuole per l’infanzia paritarie e scuole elementari.

È utile proiettare la popolazione in età scolare nel prossimo futuro. Lo facciamo nell’ipotesi che la fecondità resti quella dell’ultimo quinquennio (attorno a 1,2-1,3 figli per donna), che la mortalità in età 0-39 continui a essere bassissima (oggi, grazie a Dio e al Sistema Sanitario Nazionale, 99 nati su 100 arrivano al 40mo compleanno), e che non vi siano migrazioni né in entrata né in uscita.

Non si tratta quindi di previsioni realistiche, ma di numeri utili per misurare la forza della inerzia demografica naturale, ossia di come l’attuale popolazione e gli attuali comportamenti di fecondità e mortalità potranno riverberarsi sulla popolazione scolastica del prossimo ventennio. È un esercizio utile per ragionare sulle politiche possibili per modificare il “destino” della popolazione giovanile del Nord Est, intervenendo sui movimenti migratori e sulla natalità.

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La popolazione in età scolare

Date queste ipotesi, la popolazione in età scolare (0-23 anni) del Veneto e del Fvg fra il 2024 e il 2044 diminuirà del 32%, passando da 1 milione e 231 mila a 838 mila. La diminuzione non sarà omogenea nel tempo e nei diversi ordini di scuola, ma si propagherà “a onde”, a mano a mano che il calo delle nascite diventerà riduzione prima degli alunni delle scuole per l’infanzia e delle elementari (come è già avvenuto), poi delle medie (come sta avvenendo), delle superiori e infine degli studenti universitari.

L’onda del declino arriverà alle scuole superiori fra pochi anni, e investirà le università a partire dagli anni ’30: senza migrazioni, i residenti di età 19-23 – ossia i potenziali studenti universitari – fra vent’anni saranno un terzo di meno rispetto a oggi.

Le nascite e la fecondità costante

Nel frattempo, nell’ipotesi di fecondità costante, il numero di nascite e poi di bambini in età di nido, scuole per l’infanzia ed elementari continueranno a diminuire, perché le persone in età 20-39 saranno sempre meno numerose: senza migrazioni, le donne in età 20-39 passeranno da 621 mila del 2024 a 506 mila nel 2044. Di conseguenza, fra vent’anni, senza migrazioni e se la fecondità resterà quella di oggi, nelle scuole per l’infanzia del Veneto e del Fvg ci saranno il 23% di bambini in meno rispetto a oggi, e il 30% in meno nelle scuole elementari.

Rischio chiusura delle scuole

Se queste previsioni si realizzassero, ampi territori del Veneto e del Fvg entrerebbero in forte sofferenza. La chiusura di una scuola elementare o media, specialmente nei piccoli paesi, è qualcosa di drammatico, che rischia di innescare e accelerare i circoli viziosi dello spopolamento, perché difficilmente una nuova famiglia andrà a vivere in un luogo dove, per portare i figli a scuola, bisogna fare chilometri e chilometri. Come cantava Bepi De Marzi, senza zughi de bambini, la montagna xe malà.

Ma anche in ambiente urbano, se le scuole elementari e medie non sono diffuse in modo capillare, si generano nuovi flussi di traffico, e rioni e quartieri vengono snaturati e diventano anonimi, perché la scuola è anche un forte elemento identitario.

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I cartelli che leggiamo fuori dei negozi e delle fabbriche (“cercasi commesso”, “cercasi saldatore”), e la difficoltà a trovare badanti, infermieri e baby sitter mostrano a tutti, e con grande evidenza, che senza forti saldi migratori positivi il sistema Nord Est non può reggere, perché i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro sono molti di meno rispetto ai nuovi pensionati.

I riflessi sul lavoro

Nel 2024, nel Veneto e nel Fvg i ventenni sono 59 mila, i sessantacinquenni 81 mila, con un saldo negativo di 22 mila persone, e queste differenze si allargheranno nel prossimo ventennio. Nel 2023 il saldo migratorio in Veneto e Fvg è stato meno di metà rispetto a quello necessario per mantenere costante la popolazione in età di lavoro.

Inoltre, metà dei nuovi pensionati sono operai, mentre l’80% dei nuovi lavoratori hanno un diploma superiore. Quindi, nei prossimi anni, senza nuovi immigrati, ci sarà una forte carenza di lavoratori manuali, che costituiscono il 20% della forza lavoro del Nord Est (e di tutti i Paesi ricchi, a dire il vero).

È auspicabile aumentare la proporzione di donne, anziani e giovani che lavorano, ma è illusorio pensare che la demografia naturale possa essere in grado di “produrre” i lavoratori di cui c’è bisogno. È illusorio specialmente per un’economia come quella del Veneto e del Fvg, fortemente basata sulla piccola e media impresa manifatturiera, sull’agricoltura intensiva, sul turismo, ossia su attività a forte intensità di lavoro.

L’apporto delle migrazioni

Ciò premesso, le proiezioni qui illustrate gettano nuova luce sulle migrazioni. Robusti saldi migratori positivi, simili a quelli del primo decennio di questo secolo, potranno contribuire anche nel Veneto e nel Fvg a frenare la riduzione delle persone in età scolare.

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Potranno aumentare direttamente il numero di bambini e di giovani immigrati di prima generazione, grazie ai ricongiungimenti familiari. Potranno aumentare le persone in età 20-39, che se ben integrate, faranno famiglia, mettendo al mondo bambini di seconda generazione. Sono quindi necessarie e urgenti politiche per incentivare l’immigrazione regolare, l’integrazione degli immigrati, la permanenza e il ritorno in Italia dei giovani italiani.

Menzione particolare meritano le politiche già attuate dagli atenei del Nord Est (all’Università di Padova le matricole straniere sono più del 10% del totale): i corsi in inglese e di alto livello dovrebbero moltiplicarsi, sia per innalzare le competenze degli studenti italiani, sia per attrarre un numero sempre maggiore di studenti stranieri.

L’incentivo alla natalità

Inoltre – come ho ricordato spesso anche in queste pagine – è necessario incentivare la natalità, sia aiutando i giovani che lo desiderano a metter su famiglia, sia rimuovendo gli ostacoli, di varia natura, che frenano le coppie che vorrebbero avere un (altro) figlio.

Insomma, i numeri suggeriscono, anche per il Veneto e il Fvg, di lasciar perdere la sterile propaganda, attuando politiche familiari e migratorie radicalmente riformiste, per evitare un’ulteriore drastica riduzione dei bambini e dei giovani, con il conseguente accelerato spopolamento delle aree marginali, e con il rischio di perdita di identità dei paesi e delle città.



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